Never Let Go – A un passo dal male

Never Let Go – A un passo dal male

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Probabilmente nessuno oramai spera più di ritrovare l’Alexandre Aja dei primordi, magari però vorrebbe almeno divertirsi con il ritmo e i coccodrilli di CrawlIntrappolati (Crawl, 2019). Tocca invece accontentarsi di questo Never Let Go – A un passo dal male, fiaba nera non molto spaventosa e a tratti letargica che pretende di ipotecare l’orrore in nome di significati profondi quanto ostentati e poi subito traditi: il male esiste davvero? Ed è fuori o dentro di noi?

Il male (non) esiste

In un mondo post apocalittico una madre si ritrova segregata in casa con i suoi due figli, perseguitata da un demone. La sicurezza di questa famiglia dipende esclusivamente dalla loro casa e da… Una corda. Un passo senza corda è tutto ciò che serve al demone per impossessarsi di loro. Ha inizio così una terrificante lotta per la sopravvivenza. [sinossi]

Quando non è impegnato nella consueta ed estenuante pratica dei remake e dei reboot, l’horror contemporaneo di più largo consumo, nella fattispecie il survival horror, si fa spesso formulaico. Tutto viene a basarsi, appunto, su una situazione-formula che spesso si concretizza in una trovata visiva, perno su cui ruota il corpo del film e il suo senso presunto. Gli esempi sono molteplici: dal sorriso prima di morire di Smile (Parker Finn, 2022), alla mano mummificata di Talk to Me (Danny e Michael Philippou, 2022). In Never Let Go è la volta di una lunghissima corda alla quale una madre-tiranna, interpretata dall’inossidabile Halle Berry, pretende che i suoi due figlioletti rimangano legati quando escono di casa. Probabilmente nessuno oramai spera più di ritrovare l’Alexandre Aja ispirato di vent’anni fa, quello di Furia (1999), Alta tensione (Haute Tension, 2003) o persino dei discreti remake Le colline hanno gli occhi (The Hills Have Eyes, 2006) e Piranha 3D (2011). Magari però vorrebbe almeno divertirsi con il ritmo e i coccodrilli di Crawl – Intrappolati (Crawl, 2019). Tocca invece accontentarsi di questa fiaba nera non molto spaventosa e a tratti letargica e in odor di The Village (M. Night Shyamalan, 2004) che pretende di ipotecare l’orrore in nome di significati profondi quanto ostentati e poi subito traditi: il male esiste davvero? Ed è fuori o dentro di noi?

Tutto si svolge in una casa immersa in un bosco atavico alla fine del mondo, perché, come asserisce la madre, lei e i suoi due figli sono gli ultimi esseri umani rimasti. Là fuori non c’è che il Male che si manifesta in modi diversi e che aspetta solo un loro passo falso: fantasmi di famigliari morti che appaiono sotto forma di creature ripugnanti, oppure estranei di passaggio che chiedono informazioni. Per qualche motivo, una corda legata in vita impedisce a questa entità di nuocere loro durante le sortite in cerca di una selvaggina sempre più scarsa per l’arrivo dell’inverno. Ridotto in tal modo a questa dimensione schematica, il film di Aja si costituisce in partenza come una versione nera di alcune celebri fiabe già abbastanza orrorifiche di loro come Hansel e Gretel dei fratelli Grimm, ovviamente, ma anche Pollicino di Perrault, con la corda legata attorno alla vita al posto dei sassolini lasciati cadere dalla tasca. I due fratellini, il maggiore e il minore rievocano in qualche modo Caino e Abele, nella misura in cui il maggiore, Samuel (Anthony B. Jenkins), è devoto e obbediente nei confronti della madre, mentre il minore, Nolan (Percy Daggs IV ), ribelle e inquieto, è uno che “pensa con la sua testa” ed è portato a trasgredire i rigidi limiti imposti, sia pure per ragioni di sopravvivenza. Ma sarà davvero come dice lei? Il mondo è davvero finito oppure il loro vivere isolati rischiando di morire di fame accade senza alcuna ragione obiettiva?

In sottotraccia, il film sembrerebbe offrire anche un aggancio al discorso politico e razziale, un po’ sulle orme di Jordan Peele: in una vecchia foto fatta con la Polaroid che la madre mostra ai suoi figli dicendo di essere lei “in un’altra vita”, c’è una giovane donna bianca. Bianca è anche la pelle della madre di lei, in una delle forme assunte dall’entità maligna che pervade il bosco. E poi ci sono l’escursionista e sua figlia, anche loro bianchi. Il copione di Kevin Coughlin e Ryan Grassby sembrerebbe così suggerire una forma di paranoia a sfondo razziale di questa donna nera che preferisce vivere da reclusa, piuttosrto che affrontare un mondo in cui a dominare sono ancora i bianchi. Così come le corde, che servono a proteggere lei e i due bambini, sono anche un qualcosa che lega e imprigiona, rimandando così alla barbara pratica dello schiavismo. Suggestioni destinate però a volatilizzarsi nel prosieguo di un film anch’esso piuttosto volatile e che lo rendono, se possibile, ancora più pretestuoso. Never Let Go si gioca il tutto per tutto sul filo dell’ambiguità, del ragionevole dubbio, ma proprio quando prende una strada che sembra portare il racconto in una precisa direzione, pretende di prendere in contropiede lo spettatore ribaltando la verità: ed è qui che fallisce in pieno, in nome di un colpo di scena oltretutto prevedibile, contraddicendo (in maniera oserei dire reazionaria) tutti quegli assunti elevated sui quali il film millantava di basarsi. Resta, per chi vuole accontentarsi, l’interpretazione convinta di Halle Berry (che oltretutto ha 58 anni e ne dimostra 15 in meno) e qualche buon momento genuinamente inquietante: tutta la sequenza nella serra di notte, e soprattutto l’approdo di Nolan ai confini del bosco-mondo quando, legato alla corda giunta al limite massimo della sua estensione, posa per la prima volta il piede sul nastro grigio e asfaltato di una strada, chiedendosi cosa sia.

Info
Never Let Go – A un passo dal male, il trailer.

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