La danzatrice rossa

La danzatrice rossa

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Presentato alla 43ª edizione delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone, nell’ambito dell’omaggio allo scenografo e costumista Ben Carré, La danzatrice rossa è un film del grande Raoul Walsh del 1928, appartenente alla fase di transizione con il sonoro. Dolores Del Rio è una contadina e poi una ballerina in quella che è una pasticciata ricostruzione della Rivoluzione russa di dieci anni prima; un’opera che comunque restituisce momenti memorabili.

Un film di Raoul Walsh sulla rivoluzione

Appena prima della Rivoluzione russa, il granduca Eugen viene richiamato dal fronte orientale della Prima guerra mondiale. Su volere dello Zar deve sposare la principessa Varvara. Per caso, Eugen incontra e si innamora di Tasia, una giovane e bella contadina che viene maltrattata dalla sua famiglia adottiva che la vorrebbe dare in moglie a Ivan Petrofi, un rustico zotico. Con l’avvio della rivoluzione, Petrofi raggiunge rapidamente il grado di generale mentre Tasia diventa una nota ballerina. Per dimostrare la sua lealtà alla causa rivoluzionaria, Tasia deve intraprendere una missione speciale: assassinare il granduca Eugen. Ma come può convincersi a uccidere l’uomo che ama? [sinossi]

Non è ricordato certo come un film storiograficamente accurato, La danzatrice rossa (in originale The Red Dance, mentre il titolo di lavorazione era The Red Dancer of Moscow), film di Raoul Walsh del 1928 per la Fox, che si avvale dell’interpretazione di Dolores del Río e delle scenografie del grande Ben Carré, francese adottato da Hollywood. Proprio nell’ambito della retrospettiva a lui dedicata il film è stato proiettato alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone 2024. La danzatrice rossa ricostruisce, in modo raffazzonato e decisamente approssimativo, con vistose distorsioni storiche, gli eventi della Rivoluzione russa di dieci anni prima. Già è dichiarato lo schierarsi dalla parte dei Romanov nello stemma con due aquile della Russia zarista, che fa da sfondo in ogni cartello di intertitoli. I rivoluzionari sono definiti quali sediziosi agitatori delle folle che si lasciano sobillare. Il governo russo è fortemente influenzato dalla figura oscura del Monaco Nero, evidentemente Rasputin, che impartisce ordini di ritirarsi all’esercito in guerra, nonostante i successi militari. Il villico contadino, che abbiamo visto prima tentare di stuprare la protagonista, diventa un generale rivoluzionario nel corso del film. L’uccisione della principessa Varvara, in pratica la scena dell’esecuzione dei Romanov, è resa come un atto osceno compiuto da rivoluzionari mentre danzano e tracannano alcol, le insurrezioni come delle razzie e dei saccheggi, e l’ammainare della bandiera dei Romanov, in favore di una rossa, come il tripudio di una folla accecata dalla furia. La danza rossa del titolo, il trionfo dell’ideologia comunista, è una danza di sangue.

Il film è comunque cerchiobottista, mostrando il popolo affamato nella Russia zarista mentre i nobili banchettano in lussuose tavole imbandite. Uno dei momenti chiave del film, dovuto al genio di Carrè, è poi la rappresentazione delle prigioni dello Zar, dove sono detenuti ladri e maestri. Un gigantesco golgota che si sviluppa in profondità, tra cunicoli e un pozzo enorme che sprofonda, popolato da una moltitudine di prigionieri che marciano a comando delle guardie e si inabissano in quei meandri su una scala elicoidale. Detenuti schiavi costretti ai lavori forzati, al battito di un grande gong, governati al suon di frusta, tra ingranaggi, macine, con i volti sfiniti. Il tutto per produrre le ricchezze che saranno godute da una classe nobiliare parassita. Una scena magniloquente, con centinaia di comparse, al pari di quelle di massa degli operai dei sotterranei di Metropolis.

La deformazione ideologica con lo strascico di ingenuità, nell’America di quegli anni, e a breve distanza dai fatti narrati, è comunque un elemento da storicizzare e di cui prendere atto come spesso si deve fare per il muto. La danzatrice rossa è un puro feuilleton a sfondo storico, la storia d’amore tra Tasia ed Eugen, personaggi simmetrici, proibita perché interclassista, lui granduca, lei contadina, e perché entrambi già promessi sposi in matrimoni combinati, lui con la principessa Varvara, per volontà dello Zar, lei con un villico che ha tentato di stuprarla, per decisione degli abitanti del villaggio. La figura di Tasia è quella su cui è incentrato il film, anche per l’appetibilità divistica di Dolores del Río, che torna a lavorare con Walsh dopo Gloria e Gli amori di Carmen, per la quale ancora le ingenuità si sprecano. Tasia da contadina diventa una Mata Hari, che peraltro dovrebbe uccidere proprio l’amato, e poi un’acclamata danzatrice del teatro di Mosca, cosa che permette di far indossare alla diva costumi estremamente sofisticati, da sciantosa, che spiccano tra gli abiti modesti nella locanda. Tasia è comunque una vera idealista, che mette prima di tutto il valore della conoscenza come base della libertà, la luce contro le tenebre dell’ignoranza. E alla fine, davanti a un’icona, inveisce contro i rivoluzionari, dopo l’esecuzione di Eugen, accusando loro di aver tradito gli ideali iniziali.

La danzatrice rossa è un film muto cui è stata aggiunta una partitura musicale sincronizzata, con un motivo intitolato Someday, Somewhere (We’ll Meet Again), composto da Ermo Rapée e Lew Pollack, ed effetti sonori, con il processo di registrazione sonora su pellicola Movietone (nella proiezione alle Giornate si è fatto ricorso però solo a musica eseguita dal vivo come nella tradizione del festival). Forse ciò è all’origine delle numerose frettolosità narrative di cui sopra. Tagli sono stati ipotizzati dal recensore del Times, all’uscita del film, per lasciare spazio ai cortometraggi sonori Movietone, di promozione di quella novità nel cinema, che ne accompagnavano la proiezione. Non è il film più importante di Walsh, che pure non lo citò nemmeno nella sua autobiografia, ma contiene tanti momenti memorabili. In generale ci sono tanti movimenti di macchina, arditi per l’epoca, carrelli e panoramiche a schiaffo. La scena, tagliata e rimpiazzata da un breve flashback, come raccontato da Ben Carré, dell’uccisione di Rasputin, era girata con una camera su monorotaia. La rivoluzione che esplode per le strade, le grandi scene di massa, partendo dalla liberazione dei prigionieri che inizia con la soggettiva da una di quelle camionette che irrompono. E poi l’ingresso trionfale nei lussuosi palazzi del potere. E le vertiginose danze di Tasia a teatro, tra un’infinità di ballerini, luccicanti effetti flou e sovrapposizioni. La rivoluzione russa come una grande danza del Bol’šoj.

Info
La danzatrice rossa sul sito del Ritrovato.

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