La valanga azzurra

La valanga azzurra

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Ex sciatore in gioventù e grande appassionato, Giovanni Veronesi viene assoldato da Domenico Procacci per cercare di ripetere il successo della sua serie La squadra (sulla nazionale di tennis che arrivò a vincere la Davis nel ’76). La valanga azzurra di sci alpino si afferma negli stessi anni, e costituisce un altro grande capitolo di epica dello sport nazionale. Presentato in anteprima al Roma Film Fest nella sezione Special Screenings e dal 21 ottobre in sala, per tre giorni.

Gustavo, Piero, Paolo e gli altri

Negli anni Settanta, la nazionale italiana di sci alpino diventa il fiore all’occhiello dello sport italiano, generando un interesse (anche economico) senza precedenti per una disciplina generalmente considerata marginale. Intervistando in prima persona i protagonisti di un’epoca irripetibile, Giovanni Veronesi ne rievoca l’epica ma non dimentica i momenti più bui e cupi (fra incidenti mortali e tragedie private). [sinossi]

Lo stile scelto da Giovanni Veronesi per il suo esordio nel cinema documentario, dopo la lunga militanza da regista e sceneggiatore perlopiù di commedia, è mutuato da quello aggressivo e “presenzialista” dello statunitense Michael Moore, che pare il più adatto a soddisfare le innate qualità istrioniche del Nostro. Per il cinquantennale della nascita della Valanga Azzurra, appellativo coniato da un giornalista della Gazzetta dello Sport dopo lo slalom gigante di Berchtesgaden del 7 gennaio 1974 che vide cinque italiani (Gros, Thoeni, Stricker, Schmalzl e Pietrogiovanna) arrivare ai primi cinque posti, Procacci e la Fandango decidono di produrre un omaggio a quella fantastica squadra che raggiunse risultati incredibili per poco più di due anni, fino alle Olimpiadi di Innsbruck del 1976. La valanga azzurra, dunque, si apre sulle note biografiche del regista accompagnate da filmati d’epoca, giovane sciatore del weekend all’Adamello che vede concludersi precocemente la carriera per un brutto incidente: la madre vieta categoricamente, a lui e al fratello Sandro (futuro doppio Premio Strega nel 2006 e nel 2020), di praticare uno sport che percepisce rischiosissimo per l’incolumità fisica dei pargoli, ma la passione rimane, e quella passione in quel biennio di trionfi coinvolgerà un intero Paese, traghettando verso il popolo, come già parallelamente stavano facendo Panatta e compagni per il tennis, uno sport fino ad allora esclusivamente d’élite. Gustavo Thoeni (usiamo la stessa italianizzazione del nome che si trova nel film) e Piero Gros sono le due punte di diamante, vincitori di Coppe del mondo generali e di specialità e di medaglie olimpiche, ma il movimento riuscì a produrre una squadra competitiva in più elementi, cosa che non riuscì alla star assoluta Alberto Tomba poco più di un decennio dopo, solista totalmente inadatto alla condivisione del palcoscenico, seguito da un team personale staccato dalle attività federali.

Veronesi personalizza subito la narrazione e fa iniziare il lavoro a casa propria, mentre attende l’arrivo di Lorenzo Fabiano, esperto giornalista di settore che lo aiuterà nella ricostruzione e nel racconto. La prima parte si concentra su Thoeni, antidivo per eccellenza e noto per la sua timidezza: la sequenza in cui cerca di farlo parlare sciogliendogli la lingua con una birra dopo l’altra, ottenendo scarsi risultati, ha i tempi e il passo delle migliori pagine (non moltissime, a dire il vero) di commedia del regista toscano. Di tutt’altra pasta il “rivale” Piero Gros, lunghi capelli al vento in un’era in cui la sicurezza degli sportivi non interessava a nessuno e il casco non era ancora obbligatorio, idolo delle donne e vera e propria rockstar in tuta da sci. Il terzo elemento principale, quel Paolo De Chiesa da anni commentatore in Rai, è stato meno vincente degli altri due ma vero e proprio collante emotivo dell’ensemble, un po’ alla stregua di Tonino Zugarelli nell’ALTRA squadra rappresentativa dello sport italico nei Settanta, quella del tennis. Un’epoca in cui il calcio, anche per i rovesci nella Nazionale che non si qualifica agli Europei del ’72 e del ’76 ed esce malamente dai Mondiali tedeschi del ’74, era in piena crisi di popolarità prima dell’avvento del “vecio” Bearzot, e le camerette dei ragazzini italiani erano tappezzate di immagini di Thoeni, Panatta e del grande pilota austriaco della Ferrari Niki Lauda. La Valanga Azzurra era guidata dal controverso e iperpresenzialista Mario Cotelli, il Nicola Pietrangeli della situazione sempre per rimanere nel parallelismo, e da Oreste Peccedi, scomparso da pochi mesi e a cui il film è dedicato. Sarà proprio l’abbandono di Peccedi, oltre all’arrivo sulla scena del più grande sciatore di ogni tempo, lo svedese Ingemar Stenmark, a causare il veloce declino successivo ai Giochi olimpici austriaci. L’incalzante racconto contiene al suo interno anche pagine di thrilling vero e proprio, come l’entusiasmante finale della Coppa del mondo del 1975 con lo slalom parallelo di Ortisei, con Thoeni e Stenmark a giocarsi tutto uno contro l’altro, circostanza mai più verificatasi anche per i giochi incrociati di squadra che questo tipo di competizione permette, con i compagni impegnati a perdere apposta nei turni precedenti per permettere a Thoeni di giocarsi tutto all’ultimo fiato. Veronesi non si abbandona soltanto all’esaltazione, ma rimesta anche nel torbido (in un caso, quello della straziante confessione del tentativo di omicidio da parte dell’ex fidanzata di De Chiesa verso lo sciatore, con un proiettile che gli trapassa la mascella e una dinamica dei fatti misteriosa che ricorda da presso il caso Pozzolo-Del Mastro dell’ultimo Capodanno, si sfiora la gratuità), a tratti anche in maniera apertamente pruriginosa. Proprio De Chiesa appare duro e spietato nell’appoggiare la decisione presa della Federazione di radiare i “sindacalisti” Azzi e Besson dopo le loro rivendicazioni salariali. Giusto far menzione anche degli altri intervistati e intervenuti, come Rolando Thoeni, cugino di Gustavo, il compianto Fausto Radici, Marcello Varallo, Franco Bieler, Tino Pietrogiovanna: nel corso di tutti gli anni Settanta, si assommano 46 vittorie in Coppa del mondo, 156 podi, cinque Coppe assolute, 2 ori alle Olimpiadi e quattro ai Mondiali, accompagnati da 3 argenti e 3 bronzi.

Veronesi è bravo, dopo un inizio “faticoso” dove si stenta a ingranare, a lasciar andare il freno come i migliori discesisti liberi, a manipolare e usare materiali video spesso straordinari e a volte inediti, a mettersi finalmente da parte per dare voce ad un pugno di uomini che hanno fatto la Storia. Mezzo punto in meno nella valutazione per una singolare presa di posizione, senza indagare di quale posizione si tratti per non cadere nell’assoluta capziosità: non si fa quasi per nulla menzione della componente femminile, della coeva Claudia Giordani si nomina a stento l’avvenenza, mentre non si nomina mai Deborah Compagnoni, lasciando al solo Alberto Tomba il compito di fare da trait d’union con quell’esperienza. Forse accortosi della mancanza, ecco spuntare Sofia Goggia e Federica Brignone durante i titoli di coda, ad autoassegnarsi il ruolo di nuova Valanga. Nei mesi che ci traghetteranno verso le terza Olimpiade invernale italiana e quarta in assoluto, quella di Milano-Cortina che si svolgerà nel febbraio del 2026, un utile ripasso delle nostre glorie passate, utile anche per gli appassionati come chi scrive che scoprirono la bellezza dello sci alpino qualche tempo dopo i fatti, per mere questioni anagrafiche, con i trionfi di Tomba (allenato da Thoeni) ai Giochi canadesi di Calgary ’88, che interruppero persino la sacralità del Festival di Sanremo per poter trasmettere in diretta la seconda manche dello slalom speciale che consegnò l’oro al campione bolognese. In questi nuovi tempi di crisi vocazionale nel calcio, è ancora il momento di concentrare l’attenzione su altri sport, come Jannik Sinner, Lorenzo Musetti, Jasmine Paolini, Sara Errani e compagnia insegnano grazie al trionfo in Davis dell’anno passato e alle medaglie alle ultime Olimpiadi parigine. Il consiglio è quello, quindi, di consultare le pagine un po’ ingiallite dello sport passato grazie al lavoro di Veronesi, per reimmergersi in un’epoca più semplice e ruspante, che tutti quelli che l’hanno vissuta non potranno mai dimenticare.

Info
Il trailer de La valanga azzurra.

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