La Vallée des fous
di Xavier Beauvois
La Vallée des fous, nono lungometraggio del regista e attore francese Xavier Beauvois, è un tipico e riuscito esempio di comédie humaine d’Oltralpe, non priva di pathos e piccoli drammi. Ma pur sempre una commedia. Sul partire, sul ritrovare se stessi e gli altri. Presentato nella sezione Grand Public della 19esima Festa del Cinema di Roma.
Da questo nuovo mondo dove sto vivendo
Appassionato di vela, Jean-Paul sta attraversando un momento difficile, accumula debiti e si allontana dalla famiglia. Determinato a prendere in mano la sua vita, si iscrive alla Virtual Regatta, la gara virtuale della Vendée Globe, mettendosi nelle condizioni di un vero skipper, ovvero isolandosi per tre mesi sulla sua barca nel suo giardino. Chissà che compiendo questo viaggio”, non riuscirà a riconnettersi con la sua famiglia ma soprattutto con se stesso. [sinossi]
Da questo nuovo mondo dove sto vivendo
Ti mando dei saluti bagnati di mare
Ti mando dei tramonti infuocati di sole
E una foto nostra, seduti sulla sabbia
Io che guardo lontano, verso l’orizzonte
Riccardo Cocciante, Ti amo ancora di più
Dal regista di N’oublie pas que tu vas mourir (1995) e Uomini di Dio (2010) Xavier Beauvois arriva una deliziosa commedia sulla famiglia, sulle scelte e sulla guarigione. In troppi lo stanno etichettando come “drammatico”, il che riapre la questione su come oggi non si riesca a percepire come commedia un film che non necessariamente faccia sbellicare dalle risate. E invece il nono lungometraggio del regista e attore francese è proprio un tipico e riuscito esempio di comédie humaine d’Oltralpe (e non solo perché vi prende parte il grande Pierre Richard), non priva di pathos e piccoli drammi. La Vallée des fous del titolo, letteralmente “valle dei folli”, è un posto reale (il cui vero toponimo è Port-La-Forêt) fa capo a La Forêt-Fouesnant ed è il secondo porto turistico della Bretagna. È qui che il ristoratore Jean-Paul (Jean-Paul Rouve), vedovo, stanco di una vita di routine, piegato dai debiti e in difficoltà di rapporti con la sua famiglia, decide di tentare un’altra strada e si iscrive alla Virtual Regatta, il videogioco ufficiale della Word Sailing che consiste nel fare e-sailing, ovvero gareggiare come velisti comodamente da casa propria. Solo che Jean-Paul fa qualcosa di diverso dagli altri partecipanti, di diverso e di folle: si chiude con il suo computer non in casa, ma nella sua barca “parcheggiata” in giardino, e si impegna a non muoversi da lì per i tre mesi che ci vogliono a doppiare Capo Horn e tornare al punto di partenza. Un gesto dall’evidente valore simbolico, quasi taumaturgico. I concorrenti sono oltre diecimila, le possibilità di farcela sono remote, anche perché la decisione di quest’uomo, alcolizzato, di non imbarcare alcol (eccetto un paio di bottiglie da stappare in occasione dei due traguardi più importanti del tragitto) lo mettono a durissima prova, con tanto di allucinazioni da delirium tremens sulla falsariga della scena omologa in Giorni perduti (The Lost Weekend, 1945, Billy Wilder).
La Vallée des fous è un film “facile”, cioè a dire trasparente nella costruzione e nei livelli di lettura, ma non per questo superficiale. Possiede quella limpidità che consente di approcciarsi in maniera diretta al gruppetto di personaggi coinvolti, incarnati da un cast tutto di alto livello. Jean-Paul è un uomo che si è perso, che da piccolo seguiva pedissequamente suo padre (Pierre Richard) nelle sue regate, fin quando un incidente non gli aveva passato la voglia di andare per mare. Quando era viva sua moglie, si occupava del ristorante al quale lei teneva, e dopo che è morta, si è ritrovato a gestirlo ma senza passione. Ha due figli: il maggiore ha ereditato la passione materna per il cibo e la cucina ed è diventato uno chef raffinato e attento al chilometro zero, allo spreco e all’ambiente. Ma per qualche ragione i due non si parlano e si detestano. La più piccola (interpretata da Madeleine Beauvois, figlia del regista e presente già negli ultimi due film) invece vive ancora con lui ed è preoccupata nel vederlo bere, nel saperlo infelice. Suo padre, dalla battuta pronta e lo sguardo penetrante, cerca come può di tirarlo fuori dal suo pantano. È in questo gioco di sguardi, di rimbrotti, di grandi affetti dimenticati o messi in attesa, che batte il cuore di La Vallée des fous. Rapporti umani che si amplificano con la “distanza”: dal momento, cioè, in cui l’uomo si rinchiude nella barca per il suo viaggio solitario da fermo. Da lì in poi è tutto un telefonarsi, videochiamarsi, la barca bene in vista dalle finestre della casa: Jean-Paul ha sempre puntati addosso gli occhi dei suoi famigliari, nonché dei clienti del ristorante. Egli viene perciò costantemente “spiato” (ma con amore, preoccupazione, partecipazione, sostegno) e al tempo stesso spia se stesso, si rovista dentro, si cerca con la stessa furia con la quale prima tentava di darsi l’oblio con l’alcool.
C’è poi l’importanza degli schermi e della loro funzione mitopoietica: Jean-Paul vive la sua avventura tenendo d’occhio i risultati della sua regata virtuale sul monitor del PC, che però quella regata la raffigura come fosse vera: il mare, la costa da cui si allontana, le onde sulle quali la sua barca stilizzata ondeggia e avanza. Perciò la sua esperienza è per lui così reale che a un certo punto gli pare di sentire il verso di un albatro provenire da fuori e perciò sale in coperta per vederlo. Ergo, Jean-Paul “si fa i film”. D’altra parte egli è precisamente il regista di se stesso, un uomo che, con l’aiuto della famiglia, produce e dirige il suo stesso film, che pianifica e che controlla poi su quel monitor, con tutti gli aiuti e gli intoppi del caso, con tutte le probabilità di sfondare o di fare flop che ne derivano. C’è poi la condivisione dell’avventura su YouTube, e qui i social, in un momento di isolamento obbligato (la mente non può non andare al periodo della pandemia), rivelano la loro funzione non solo utile/utilitaristica (creare una fanbase, trovare gli sponsor), ma soprattutto quella meno egoriferita e più preziosa, che è quella del contatto e della condivisione, non solo con la famiglia e i fan, ma anche con i maestri: si collega con Jean-Paul, tramite una giornalista, il campione Jean de Cam, che ha sostenuto ben sei regate (reali) e che compare, nei panni di se stesso, per incoraggiare quest’uomo fragile e caparbio, impegnato in una sfida difficile. Il viaggio di Jean-Paul è dunque tante cose: una sfida con se stessi, una terapia, un allontanarsi dagli altri per ritrovarli. Una riabilitazione, in tutti i sensi del termine. E se Jean-Paul Rouve è bravissimo nel far scorrere sul suo viso e nei suoi gesti tutte le fasi di questo viaggio interiore, l’ottantenne Pierre Richard, oramai una leggenda della commedia francese più di cassetta – un successo sugellato in particolare dall’esilarante La capra, La Chèvre, 1981, di Francis Véber, in cui recitava a fianco di Gerard Depardeu – offre un’interpretazione eccellente, misuratissima e di un’umanità disarmante: riesce a commuovere persino quando fa una battuta. Perché, per l’appunto, la comédie, quando è veramente tale, quando è profonda, quando ha qualcosa da dire, è sempre e innanzitutto humaine.
Info
La Vallée des fous, un trailer.
- Genere: commedia
- Titolo originale: La Vallée des fous
- Paese/Anno: Francia | 2024
- Regia: Xavier Beauvois
- Sceneggiatura: Gioacchino Campanella, Marie-Julie Maille, Xavier Beauvois
- Fotografia: Julien Hirsch
- Montaggio: Julie Duclaux, Marie-Julie Maille
- Interpreti: Hugues Delamarlière, Jean-Paul Rouve, Joseph Olivennes, Madeleine Beauvois, Pierre Richard
- Colonna sonora: Mike Moore, Pete Doherty
- Produzione: France 3 Cinéma, Les Films du Monsieur, Les Films du Worso, Pathé Films
- Durata: 120'