Terrifier 3

Terrifier 3

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Terrifier 3 segna il ritorno della sanguinolenta saga ideata e diretta da Damien Leone con protagonista Art il Clown; efferato e crudele, strutturalmente rozzo, un trittico che si può rifiutare criticamente ma di cui non si può non cogliere l’urgenza nello scenario contemporaneo.

Babbo Natale rosso sangue

Creduto morto dopo il massacro avvenuto cinque anni prima, lo spietato Art il Clown torna a seminare il terrore durante il periodo più magico dell’anno, proprio quando Sienna e Jonathan – sopravvissuti al folle killer – si accingono a celebrare il Natale, convinti ormai di essere fuori pericolo. [sinossi]

In principio fu Un Natale macchiato di sangue, vale a dire Christmas Evil di Lewis Jackson con protagonista Brandon Maggart, ma con ogni probabilità il titolo natalizio-orrorifico più celebre resta Silent Night, Deadly Night, uscito nel 1984 anche in Italia come Natale di sangue: il film diretto da Charles E. Sellier Jr. si fece notare sia per la caratterizzazione del “povero” Billy Chapman, quasi costretto a diventare assassino dal proprio trauma infantile, sia per la sua capacità di dare vita a una saga che se a conti fatti ha lasciato scarsa traccia di sé nell’apparato critico si è quantomeno eretta fino a raggiungere lo status di cult generazionale. Occorre forse partire da qui per cercare di confrontarsi con Terrifier 3, che in questi giorni sta facendo sfracelli anche al botteghino italiano, segnalandosi come vera e propria anomalia all’interno di uno scenario spettatoriale che sembra di solito muoversi in direzioni differenti quanto non diametralmente opposte. Il film di Damien Leone, il primo a trovare distribuzione in sala in Italia, segue i precedenti Terrifier (2016) e Terrifier 2 (2022), ma come i più attenti cultori della saga annoteranno si inserisce in un filone assai più corposo, che comprende i cortometraggi The 9th Circle (2008) e Terrifier (2011), nonché il lungo All Hallows’ Eve (2013). Il minimo comun denominatore di tutti questi titoli è rintracciabile nella figura angosciante di Art il Clown, demone dalla forza sovrumana, inscalfibile, e pronto a risorgere in ogni occasione, che è ciò che con estrema puntualità accade anche in Terrifier 3, dove l’antieroe sadico e privo di qualsivoglia umanità torna a far sentire la sua diabolica presenza durante le festività natalizie, vestito con il classico color rosso.

Il risuonare del barbarico Art pare aver ringalluzzito un pubblico del tutto infrequente per questa tipologia di film, anche perché Leone punta tutto su un’efferatezza d’altri tempi, come testimonia già da solo l’incipit di Terrifier 3: teste mozzate, sangue a profusione, squartamenti, in una sorta di sabba infernale dello slasher e dello splatter che da tempo non si vedeva sul grande schermo (si veda come si possono utilizzare i ratti, tanto per dirne una). Gli spettatori che hanno avuto in sorte di vedere i due precedenti film sappiano che qui torna Sienna, ancora nel pieno della crisi psichiatrica che l’ha colpita dopo essere sopravvissuta al mostro, che ha la bella idea di andare a festeggiare Natale a casa degli zii. C’è ancora vivo e vegeto anche il fratellino – cresciuto – Jonathan, ed entrambi si ritroveranno inevitabilmente a fronteggiare Art il Clown. La trama è in fin dei conti solo un espediente per passare da massacro a massacro, come sovente capita con le opere del genere, e non occorre prestargli troppa importanza. In realtà l’operazione in quanto tale potrebbe benissimo passare in sordina, perché nonostante tutto – e David Howard Thornton si prodiga ancor più per rendere memorabile il suo villain, riuscendo nel tentativo – si agita in un territorio acquitrinoso, un po’ per la regia monocorde di Leone, che ha l’unico pregio (ma non secondario, e ora si tornerà proprio su questo punto) di permettersi di tutto di più e di lavorare per accumulo, un po’ perché lo stesso Art altro non è che un babau creato artificialmente ricorrendo a pezzi di demoni a lui precedenti nella storia del cinema horror, da Freddy Krueger a Pinhead, da Pennywise a Chucky – ma la lista completa sarebbe lunga.

Eppure non si può sorvolare con troppa noncuranza sul fenomeno collettivo cui sta andando incontro Terrifier 3, e non per un altrimenti vacuo “rispetto per il pubblico”. La verità probabilmente è che in un’epoca sempre più anodina ed esangue il profluvio di aberrazioni che Leone mette in fila svolgono un ruolo vivificante, come se permettessero al pubblico di risvegliarsi, di rendersi conto che l’immaginario ha diritto di esistere in zone liminari che con troppa facilità sono state espunte dalle mappe produttive internazionali, a partire proprio da quella Hollywood che negli anni Settanta e Ottanta era stata culla e patria di un cinema del terrore che non avesse più alcuna reticenza, né si nascondesse dietro ipotesi vaghe di pudore o etica. Art il Clown ha trovato un terreno fertile in cui affondare la sua ascia, e dunque paradossalmente poco conta la rozzezza e la mediocrità di una saga che non ha modo di incidere davvero nella storia del cinema (ma all’alto dei suoi incassi Leone saprà farsene una ragione); ciò che ha valore ora è tentare di comprendere come un fenomeno quale Terrifier 3 vada a colmare un vuoto spettatoriale, e in realtà possa divenire l’occasione per tornare a ragionare sull’orrore anche come forma di disgusto – in tal senso l’operazione assai più raffinata condotta da Coralie Fargeat con The Substance è un altro elemento d’interesse – e sul corpo umano come elemento da dissezionare, smembrare, ridurre, distruggere e ricostruire. Nell’età del digitale, dove ogni cosa è smaterializzata, una lezione comunque da studiare con attenzione, senza per questo lasciarsi sedurre da un demone troppo monocorde per meritare di mascherarsi da Babbo Natale.

Info
Terrifier 3, il trailer.

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