Il gladiatore II

Il gladiatore II

di

A più di un ventennio dal capostipite, che lanciò definitivamente a livello internazionale Russell Crowe e trionfò agli Oscar, Ridley Scott con Il gladiatore II dona un seguito al film che fece ritornare il nome del regista britannico al centro della scena, dopo la crisi d’ispirazione e incassi della seconda metà degli anni Novanta. Grandi battaglie, azione adrenalinica, esacerbati conflitti di potere e più di un riferimento allo stato delle cose.

Mantenere il centro dell’arena

200 d.C. Vent’anni dopo la morte di Massimo Decimo Meridio, il giovane Lucio, nipote di Marco Aurelio e figlio di Lucilla, viene ridotto in schiavitù in seguito alla conquista della Numidia, dove viveva con la moglie e il figlio, ad opera delle centurie di Marco Acacio. Ispirandosi a Massimo, Lucio decide di combattere come gladiatore e sfidare il potere degli imperatori Geta e Caracalla. [sinossi]

Il cinema hollywoodiano è da sempre ideologico, e questo consente di poterlo analizzare a posteriori come espressione perfetta di determinati momenti della porzione di mondo situata sulle due sponde dell’Atlantico, proprio in quanto fusione, nei suoi più alti livelli produttivi, di industria, tecnica, lobbysmo economico e politico, intenti artistici e/o pedagogici. Nel 2000 il nuovo secolo non era ancora davvero iniziato, e gli anni Novanta avevano rappresentato un momento da “fine della Storia” (occidentale, per dirla con Francis Fukuyama) di massimo fulgore per gli Usa e il loro impero, dopo la fragorosa dissoluzione del concorrente sovietico. In quel clima di ottimismo e tracotanza, con i nemici interni identificati solo con un gruppo di No Global presto ridotti al silenzio, e con l’11 settembre del 2001 ancora di là da venire, Il gladiatore di Ridley Scott può essere oggi letto come perfetta espressione di un momento storico “terminale”, e allo stesso tempo come film generatore, in ambito cinematografico, di un rilancio del film storico di stampo epico/spettacolare che filierà decine di prodotti di livello diseguale negli anni successivi (lo stesso Scott darà ampiamente il suo contributo, con Le Crociate – Kingdom of Heaven, Robin Hood, Exodus – Dei e re, il più intimista The Last Duel, lo slabbrato Napoleon). Se in Matrix dell’anno precedente quegli anni venivano definiti, in diretta e da un futuro remoto, come il periodo di massimo fulgore della razza umana (occidentale,ci si dimenticava sempre di specificare a quell’epoca mentre noi c’impunteremo a precisare ogni volta), l’aggancio all’Impero romano, nel film niente più che ambientazione alla stregua di un pianeta alieno, era necessario per certificare le alte aspirazioni di una civiltà che puntava alla gestione (e alla sottomissione culturale) del mondo intero. Massimo Decimo Meridio è davvero il “last action hero” delle emozioni semplici nella loro insistita bidimensionalità eppure dirette e potenti, che prendono a piene mani dal feuilleton e da Shakespeare come elementi dello stesso calderone, il Passato appunto. Anche l’Oscar per il migliore attore protagonista non sarà dato molte volte successivamente a ruoli così “fisici” come quello di Russell Crowe, che ruba il ruolo al collega e proveniente come lui dall’Oceania Mel Gibson, che cinque anni prima con Braveheart aveva realizzato l’ultimo kolossal con inserti non preponderanti di CGI, massicciamente presente (e non invecchiata benissimo) invece a patinare le immagini de Il gladiatore.

Successo mondiale, perfettamente replicato anche qui in Italia, dove il film s’inserì casualmente (ma perfettamente) in un momento di neocentralità di Roma e del suo marchio, tra il Giubileo e i trionfi sportivi delle due squadre di calcio della capitale a stretto giro. Gladiatori, daghe e bighe diventarono soggetti di migliaia di tatuaggi, nelle sale (esperienza personale) si urlava come gli ossessi quando dal film arrivava il riferimento al porto di Ostia. Impossibile replicare quell’atmosfera nel 2024, ed ecco che quindi, dopo questa premessa magari lunga ma doverosa, lo sceneggiatore David Scarpa (riutilizzando mondo e alcuni personaggi creati da David Franzoni e con l’ausilio nel soggetto di Peter “Hunger Games” Craig) porta alla corte di Sir Ridley uno script uguale ma diverso, più cupo e decadente, perfettamente inscritto nella dicotomia figli/padri già al centro degli ultimi capitoli di Star Wars e di tanto cinema di consumo contemporaneo. Come potete leggere già dalla sinossi qui sopra, che si trova negli stessi termini anche nel materiale promozionale ufficiale, il “colpo di scena” che chiude il primo atto viene già ampiamente anticipato: Paul Mescal interpreta il cresciuto Lucio Vero, figlio “bastardo” di Lucilla con Massimo, allontanato e nascosto in Numidia per essere preservato nella sua incolumità ma costretto poi a ripetere lo stesso percorso del padre, prigioniero, gladiatore di provincia, poi gladiatore di Colosseo, in conseguenza del successo riconosciuto capopopolo. Lucio è richiamato all’azione dall’invasione romana che lo priva di casa e affetti, è costretto, dal dolore e dall’astio per le perdite, a riappropriarsi della famiglia ripudiata, in questo aiutato dalle mire politiche di Macrino/Denzel Washington, prima padrone di gladiatori e poi vicinissimo al potere assoluto. Come si può ampiamente intuire già da questi pochi cenni, il racconto è ancora e sempre quello, scarnificato e ridotto all’essenziale. Ma è proprio il momento dell’impero narrato ad essere molto diverso da quello del precedente.

A capo di tutto non c’è l’Aurelio/Richard Harris maestoso e morente, ma una coppia di debosciati rossocriniti senza nessuna dirittura morale, nemmeno deteriore come per il conflitto edipico che oscurava l’animo di Commodo/Joaquin Phoenix, ma solo dediti a edonismo e divertimenti. Parliamo di Geta (Joseph Quinn) e Caracalla (Fred Hechinger), ragazzini malefici che TANTO ricordano la coppia che gli Stati Uniti si ritrovano al potere dal prossimo gennaio, quella formata di fatto da Donald Trump e Elon Musk, ma si possono collegare a ogni amministrazione precedente. Nell’organizzazione dei giochi gladiatori per la vittoria in Numidia e nell’immediata sete di nuove conquiste si sostanzia la loro limitata visione del mondo, e proprio la tre giorni del Colosseo rappresenta il centro spettacolare del film di Scott. Come per regola aurea di ogni sequel che si rispetti, ogni cosa è più: più combattenti, più animali (babbuini, rinoceronti, squali), più modalità di battaglia. Il tanto chiacchierato (e discusso, da chi ancora non ha compreso la totale inutilità del puntiglio dei riferimenti storici per operazioni di questo genere) scontro in acqua tra navi non riveste la centralità delle corse di bighe di Ben-Hur, né di quella degli “sgusci” del lucasiano La minaccia fantasma, ma solo un momento tra i tanti, nemmeno tra quelli che si fanno ricordare di più. L’opera sconta la sua natura di sequel proprio esaltandola, inserendo progressivamente rimandi sonori e visivi al capostipite, affidando al fido Gianluigi Toccafondo un riassunto per tavole e disegni durante i titoli di testa (Toccafondo era già l’autore dei magnifici titoli finali di Robin Hood, tentativo fallito di Scott e Crowe di dare un seguito al Gladiatore cambiando epoca e costumi). Due ore abbondanti che scorrono senza posa ma attraversano lo spettatore atterrandogli alle spalle, senza momenti che, o almeno questa è l’impressione, possano rimanere iconici tra qualche tempo.

Non c’è (più) nulla di dire sulla sapienza registica di Scott, uno degli ultimi grandi esecutori, un eclettico, capace di donare il suo stile a copioni diversissimi tra loro: la macchina da presa segue da presso, anticipa, cade con i gladiatori, con un senso del ritmo quasi senza eguali. Questa volta, però, al contrario di parentesi brillanti come quella di Sopravvissuto – The Martian, la sensazione di déjà-vu non lascia scampo in più di un momento. Come per il magnifico e fallimentare Megalopolis coppoliano, anche Scott ragiona su come e cosa bisogna cambiare per non morire, sulla necessità di riguadagnare il centro dell’arena, di non scrollare più di dosso le responsabilità senza intervenire: il fatto che lo faccia con le spalle coperte da un marchio fortissimo che lui stesso ha lanciato ci fa comunque preferire di gran lunga l’avventurismo del vecchio Francis. Che, tutto sommato, non ha chiamato la sua titanica fatica “Apocalypse Tomorrow”.

Info
Il trailer de Il gladiatore II.

  • il-gladiatore-II-2024-ridley-scott-01.webp
  • il-gladiatore-II-2024-ridley-scott-02.webp
  • il-gladiatore-II-2024-ridley-scott-03.webp

Articoli correlati

Array
  • Cult

    Il gladiatore recensioneIl gladiatore

    di A oltre vent'anni dalla sua uscita, spentesi ormai le oziose polemiche sul suo innegabile (e voluto) antistoricismo, e in occasione dell'uscita del suo sequel, si può finalmente tornare a parlare de Il gladiatore con altri presupposti e altri intenti.
  • In sala

    Napoleon

    di A quarantasei anni di distanza da I duellanti Ridley Scott torna all'epopea napoleonica, stavolta prendendo di petto la vita e le azioni del generale che si fece imperatore. Inseguendo però soprattutto la vicenda amorosa tra Bonaparte e Giuseppina, il regista britannico finisce per dimenticare per strada tanto la Storia quanto la storia.
  • Prossimamente

    house of gucci recensioneHouse of Gucci

    di House of Gucci, il nuovo film di Ridley Scott, aveva in potenza la possibilità di raccontare una storia fattasi icona esplorando il significato – anche all'interno delle dinamiche di potere – del rapporto tra Maurizio Gucci e Patrizia Reggiani. Invece si perde dietro banalità, lustrini e un pop sbiadito.
  • In Sala

    The Last Duel RecensioneThe Last Duel

    di Il duello del titolo, poderoso e brutale, è la cornice di un racconto che si poggia su una tripartizione dai riflessi kurosawiani e che guarda evidentemente alla sempiterna e quindi attuale questione di genere.
  • In sala

    Tutti i soldi del mondo

    di Tutti i soldi del mondo verrà ricordato, difficile dubitarne, per la scelta della produzione e di Ridley Scott di sostituire il "disdicevole" Kevin Spacey, rigirando le sequenze che lo riguardavano con Christopher Plummer al suo posto. Ma al di là di questo il film si perde dietro una metafora troppo banale.
  • Archivio

    Alien: Covenant

    di Ha un sapore un po' sintetico Alien: Covenant di Ridley Scott, sequel di Prometheus e prequel di Alien che indovina un paio di sequenze action, ma vive di un vistoso riciclaggio di idee.
  • Torino 2015

    Blade Runner RecensioneBlade Runner

    di Blade Runner è fantascienza che forse vivremo tra quarant'anni, è un noir che non esiste più, è una love story impossibile, è la straziante rappresentazione dell'essenza della vita. Al TTF2015 per la retrospettiva "Cose che verranno".
  • Archivio

    Sopravvissuto - The Martian RecensioneSopravvissuto – The Martian

    di Muovendosi tra materie scientifiche e umanistiche, Ridley Scott con Sopravvissuto - The Martian ci propone la sua nuova versione del mito della frontiera, rielaborando gli abituali codici della fantascienza con solido mestiere e qualche guizzo di originalità.
  • Archivio

    Exodus Dei e re RecensioneExodus – Dei e re

    di Un Mosé battagliero e stratega, sempre pronto a menare le mani e a battibeccare con Dio, domina la scena (d'altronde è incarnato da Christian Bale) nel blockbuster biblico firmato da Ridley Scott.
  • Archivio

    The Counselor l procuratore RecensioneThe Counselor – Il Procuratore

    di Uno stravagante film bicefalo dove vige un perpetuo decentramento del quid dell’azione, mentre troneggiano i dialoghi brillanti vergati da Cormac McCarthy, al suo debutto nella sceneggiatura.
  • Archivio

    Prometheus RecensionePrometheus

    di Arricchito da un impianto visivo senza alcun dubbio seducente Prometheus di Ridley Scott è un film che crolla totalmente sotto il profilo narrativo: scoperto, facilmente decodificabile e privo di particolari sfumature.
  • Archivio

    Robin Hood

    di Nonostante il lavoro di riscrittura di Brian Helgeland, il Robin Hood targato Universal Pictures poco aggiunge alla filmografia di Scott e alla leggenda del bandito-eroe.