Memorias de un cuerpo que arde

Memorias de un cuerpo que arde

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Seconda opera per la filmmaker del Costa Rica Antonella Sudasassi Furniss, Memorias de un cuerpo que arde è un delicato racconto sulla senescenza e sulla sessualità femminili, come confidenze intime tra donne, sulla rottura di tabù di una mentalità patriarcale, nell’ambito di una cultura cattolica sessuofobica, per la quale alla donna non è concesso nemmeno il diritto al desiderio. Presentato al Bari International Gender Festival dopo l’anteprima a Panorama della Berlinale e il passaggio a diversi altri festival.

Un racconto di, e tra, donne

Cresciute in un’epoca repressiva in cui la sessualità era un argomento tabù, Ana, 68 anni, Patricia 69 e Mayela, 71 anni, hanno sviluppato la loro comprensione di cosa significhi essere una donna sulla base di regole non dette e aspettative implicite. Ora hanno il coraggio di parlarne apertamente. I ricordi, i segreti e i desideri delle tre si intrecciano in modo poetico: mentre le donne raccontano le loro storie fuori dallo schermo, riempiono il corpo di un’altra donna della loro generazione che incarna la loro vita. [sinossi]

“Questo film è la conversazione che non ho mai avuto con le mie nonne”. Lo dichiara subito la regista Antonella Sudasassi Furniss nell’incipit del suo secondo lungometraggio, Memorias de un cuerpo que arde (Memories of a Burning Body è il titolo internazionale in inglese), ora di scena al Bari International Gender Festival. Solo da poco tempo, e forse il processo non è ancora del tutto compiuto, tanti argomenti connessi alla sfera della sessualità hanno superato quel retaggio, di matrice culturale religiosa, cattolica e non solo, di sensi di colpa, vergogna, peccato. E solo da poco, e a maggior ragione da un punto di vista femminile, non si ha vergogna di parlare della sessualità come di un elemento naturale e fisiologico della nostra vita. La filmmaker ha voluto raccontare di quella società neanche tanto lontana del tempo, in cui la donna doveva semplicemente assolvere alle funzioni riproduttive e domestiche, occuparsi amorevolmente e con dedizione del benessere del marito e della prole, e della cura della casa. Nel film c’è un momento in cui la donna servizievole aiuta il marito a vestirsi, gli mette a posto il colletto, gli aggiusta il vestito, lo sistema al meglio perché possa essere presentabile al mondo esterno. Quante scene del genere sono state vissute in tante case, in tante famiglie? Immaginando quindi una chiacchierata franca con la propria nonna, Antonella Sudasassi Furniss raccoglie testimonianze di donne anziane, anonime, e le fa rivivere nella protagonista del film, nella sua narrazione in voce off e nei flashback.

L’educazione sessuale in una scuola di suore fa già ridere le alunne, con i due disegni alla lavagna rappresentanti un corpo maschile e uno femminile, laddove il primo è disegnato con le mutande. Il pene scoperto accidentalmente entrando in bagno mentre il padre orina; l’esplorazione del proprio corpo, il ciclo, la deflorazione, la scoperta della masturbazione, dei fremiti in tutto il corpo, rivissuta dalla donna anziana a letto, con quel ritratto di Gesù sul comodino che sembra guardarla. E poi il sesso orale, la menopausa, togliersi la sottana e guardarsi allo specchio, prima di fare la doccia, ancora oggi. Il matrimonio («La morte di una relazione è il matrimonio»), la gravidanza, e anche il divorzio. E poi i racconti di molestie, subite dallo zio e dal cugino, il terrore di essere stuprata. In un sol colpo Antonella Sudasassi Furniss rompe tutti i tabù, della sessualità femminile e nella terza età, rivendicando cose che erano considerate alla stregua di un crimine per la morale. È bellissimo essere donna, dice all’inizio la protagonista. Una donna che passerà il tempo a rivivere le sue vite precedenti, accarezzando i suoi ritratti, tirando fuori le foto di una volta.

Memorias de un cuerpo que arde inizia proprio con delle chiacchierate al telefono, sul nero, tra la regista e quelle donne con lei si sono confessate. Si tratta dell’enunciazione del lavoro seguita da quella della messa in scena (ricorda il film giapponese Doppio suicidio ad Amijima di Masahiro Shinoda): nella scena successiva vediamo infatti la preparazione del set, quell’appartamento piccoloborghese di una persona anziana gravido di ricordi, con le pareti tappezzate di foto ingiallite, e decorato di oggetti vintage. La protagonista passa al trucco, ci sono i tecnici, e la stessa filmmaker, che lavorano con affanno. Una mdp a mano si muove in quel caos a esplorare quegli spazi. Quando percorre un corridoio spunta fuori uno specchio, portato da due inservienti. Invece di sbatterci contro, come succederebbe in uno slapstick, mostra la videocamera che riprende. Lo specchio, che torna nel film come mezzo di guardarsi, di contemplare il proprio corpo. È ancora un modo di esibire il dispositivo, il meccanismo della ripresa. Cosa che tornerà inquadrando una macchina fotografica, e poi in una scena con una proiezione, dove si enfatizza il fascio primario luminoso del cinema. La filmmaker usa tendenzialmente due registri per il presente, fatto di immagini ferme, e il passato, con quei personaggi, come le ragazzine ma anche le galline, che irrompono in scena. Nei momenti di flashback la mdp è mossa, può essere nel movimento veloce di una camera a mano, oppure in un senso di oscillazione e galleggiamento di una ripresa ferma, in una panoramica a schiaffo, di raccordo tra la scena presente e le immagini dei ricordi, panoramiche quasi a 360°. Come in quel momento iniziale, la mdp deve spostarsi, inseguire, unico modo per comprendere il passato e il presente, di contemplare la senilità con i ricordi di un corpo che arde.

Info
Memorias de un cuerpo que arde sul sito della Berlinale

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