Via Campegna 58, scala I, interno 8, 80421, Napoli

Via Campegna 58, scala I, interno 8, 80421, Napoli

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Via Campegna 58, scala I, interno 8, 80421, Napoli è il luogo cinematografico in cui Donatella Di Cicco elabora un lutto e passa il testimone. La freschezza del suo sguardo accorato abbatte però le mura di casa, mettendo in discussione quella logica di pubblico e privato che da sempre ne accompagna il lavoro. Nel concorso internazionale di Filmmaker Festival 2024.

‘Stu core me fai sbattere

Dopo la morte del padre, Donatella Di Cicco intavola un doloroso dialogo con la propria casa di famiglia. Presa tra il ricordo del genitore e le due giovani figlie, inizia il suo viaggio interiore. [sinossi]

Il film di famiglia trova la sua ovvia collocazione nel contesto casalingo. Soprattutto, vi trova una prima speranza di comprensione. Il film di famiglia è quasi sempre, se non per definizione, un film amatoriale, impegnato a suo modo nell’articolazione linguistica del proprio discorso. Lontano dal focolare, non sfavilla. Lo spettatore non pagante manca spesso di interesse, e il suo coinvolgimento nemmeno monta durante la visione, considerata la collisione con una parola sin troppo idiosincratica. E senza il coinvolgimento, si sfalda la comprensione. Il film di famiglia può permettersi di articolare con minor attenzione, ossia con minor calcolo, poiché il carattere indicale delle sue riprese offre una particolare garanzia: le immagini tengono traccia di qualcosa che era presente e che, nella sua nuova presenza, rimane prossimo. Tolti dalla sfera privata, dall’impiego domestico del linguaggio, quei ricordi e quelle immagini non possono che affievolirsi. Non per questo, tuttavia, si dissolvono. Per il loro minor calcolo, le immagini amatoriali non sono animate da un gesto cinematografico più debole, inefficace. Se chiunque ne sa ri-conoscere i segni, in un quadro che va ben oltre le nostalgie per il Super 8 per avventurarsi nelle pieghe del mondo contemporaneo, è naturalmente in forza di un qualche modello pubblico di linguaggio, pure in evoluzione. Ecco che dallo schema abbozzato sembrano poter sorgere soprattutto due deduzioni, che rendiamo in maniera ugualmente semplificata: l’utilizzo privato ha una legittimità circoscritta, limitata dalle mura di casa e un poco inconsistente, e fuori da quelle mura valgono invece le ragioni del tutto logiche della comunicazione pubblica, per potersi aprire efficacemente agli altri; oppure l’utilizzo privato è espressione genuina poi corrotta dal bisogno di normalizzarsi per arrivare pubblicamente agli altri. Non occorre, in questa sede, discutere nel dettaglio o parteggiare per una delle due deduzioni, che peraltro potrebbero annodarsi; conviene semmai notare l’appartenenza di entrambe a una stessa logica, alla medesima dicotomia – più o meno sfumata, o moralizzata in questo o quel verso – di pubblico e privato. Distante da prassi cinematografiche di facile categorizzazione, ma non senza numi ispiratori, vicina e lontana rispetto al proprio nido, Donatella Di Cicco perlustra i margini di questa scissione. Via Campegna 58, scala I, interno 8, 80421, Napoli è la casa di famiglia, è quel che resta della casa e della famiglia, visibile a pochi; a un tempo, è un indirizzo, un’indicazione legale visibile a tutti. In questo luogo cinematografico, le vie del pubblico e del privato si incrociano. Nel crocevia, forse vacillano. Film di famiglia e film amatoriale avvertono la scossa.

Capodanno 2020. La famiglia festeggia riunita in casa. Il capitone viene fatto a pezzi, vestigia di un passato superstizioso, anche se la testa si dibatte ancora per qualche attimo. Dal balcone si para un cielo nero punteggiato dai fuochi. La gioia comunitaria per la transizione da esorcizzare si macchia silenziosamente di inquietudine. La camera a mano che si aggira tra i De Cicco si imbatte di quando in quando nel capofamiglia, ormai anziano, e talora sembra indugiare qualche secondo di troppo. Chi sta girando quell’amabile filmino sa che è lui il fragile protagonista di quegli istanti. Presto, lo sanno tutti, non ce ne saranno più. Non rimarrà che attaccarsi a questi video-ricordi. In questa famiglia come in molte altre è abitudine tener traccia del passare del tempo. In passato, chi sta girando questo comunissimo home movie è stato anche oggetto (fragile) delle visioni altrui. Chi sta girando è Donatella; chi girava allora era probabilmente il capofamiglia, suo padre. La piccola inquietudine che, grazie alla cura della figlia, si infiltra nelle immagini raffazzonate comincia intanto a spostare il baricentro; qualcosa di più fa il montaggio, affidato – e non è marginale – a Guglielmo Trupia del collettivo Enece Film. È però la coda di questa prima sequenza, che precede il titolo, a traghettare altrove. Rarefattasi la componente umana, la pura contemplazione dei fuochi apre infatti uno spazio-tempo astratto; e la danza delle esplosioni informi, più che assecondare un vagito di lirismo, svela una crepa anzitutto emotiva, una tragedia di una bellezza dolente. E nello stesso frangente conclusivo, il sonoro in presa diretta si eclissa per inaugurare quel piano extra-diegetico che per ora definiamo interiore e che opererà di tanto in tanto da contrappunto. Arriva Maruzzella e la voce della protagonista si sovrappone senza badare alla correttezza del canto e del ritmo, mimando piuttosto l’intimità dello spazio privato. È questo immaginario doppiamente agrodolce a spianare la strada all’ineluttabile raccolta dei cocci. Mozzato il capitone, la casa perde la famiglia. Donatella si aggira nel nulla. Ma prima del nulla, ecco il frammento di una ragazzina dolcemente distesa sul letto, che non sappiamo identificare. Ormai non siamo nei dintorni del film di famiglia. Sostiamo però nello sguardo di un’amatrice, un’amatrice ferita.

Il secondo segmento concettuale di Via Campegna 58, scala I, interno 8, 80421, Napoli conducein direzione del crocevia. Dopo il titolo, reso graficamente attraverso la graduale messa a fuoco, via via, dei numeri e delle parole, una flâneuse vagabonda per la dimora vuota, in un silenzio che soffre del baccano di San Silvestro. Il suo errare fantasmatico si risolve in una soggettiva tutt’altro che fluida, sovente mossa e scomposta, costantemente nella necessità di ricalibrare, rinegoziare la messa a fuoco. Donatella sembra non sentirsi più a casa propria. E la chiusa del segmento non potrà essere più chiara: dopo l’esplorazione audiovisiva, cadono come un macigno, a tutto schermo, le fotografie realizzate dall’agenzia immobiliare incaricata di mettere in vendita l’appartamento, agenzia il cui vistoso watermark solca le immagini grandangolari che, per composizione e illuminazione, risultano freddamente perfette, quasi autoptiche. Il conflitto tra visione privata e visione pubblica non potrebbe essere più manifesto. Nondimeno, le peregrinazioni non si lasciano semplificare troppo. Non sono invero così fantasmatiche: oltre che dalla gestione scomposta della soggettiva, la prospettiva umana è ribadita dal piano sonoro, che testimonia sensibilmente della presenza di un(a) filmante. Soprattutto, però, sono le mani di Donatella – novella Agnès Varda – a frenare la dissoluzione completa, nella incessante ricerca di una relazione tattile con le superfici, con i tessuti, con i texti. Nella ri-scoperta della casa, nello sforzo di ri-stabilire un contatto attraverso il decluttering, quelle mani provano a elaborare un lutto senza arrendersi alla stessa visione cinematografica, la cui possibile precisione tecnica rischia di appiattire le trame di uno spazio(-tempo) vissuto. Nel processo, quelle mani incontrano tanti oggetti ormai incomprensibili, incontrano le foto del padre, incontrano statuette femminili fatte a pezzi come il capitone, incontrano una bambola-carillon che vale la pena ascoltare poggiando la videocamera e che, come i giocattoli del Giardino dei ciliegi di Giorgio Strehler, spalanca un mondo sommerso. Il sonoro gioca questo ruolo; al contempo commenta però in modo tragicomico, con le uniche voci che animano il segmento da attribuire, in sostanza, ai prosaici messaggi vocali dei potenziali acquirenti degli arredi. Anche così, lo sguardo non guadagna mai una chiusura solipsistica; e, con fatica, questa è oltrepassata in maniera inequivocabile nella seconda metà dell’opera, quando Donatella introduce la ragazzina distesa sul letto, sua figlia Isotta, assieme alla sorella minore. In un delicato vortice di collisioni tra passato e presente, tra reenactment diretti e indiretti, tra voci e melodie che si ripropongono per via intratestuale (e che compongono un’interiorità di natura testuale, fatta di trame eterogenee), la prossima Maruzzella sarà arricchita da due giovani voci. L’abitazione venduta e ristrutturata è ormai alle spalle ma non dimenticata. Lo sguardo libero, amatoriale, di chi – direbbe Friedrich Nietzsche – ha imparato ad amare (e ad ascoltare) sospinge infine a riva un nuovo passato. E da un nuovo passato, anche memoria d’un capitone, germoglia un nuovo futuro, ché di futuri ce ne possono essere anche di vecchi. In questo nuovo futuro, guardandosi indietro, Via Campegna 58, scala I, interno 8, 80421, Napoli – un indirizzo e un film, visibili a tutti – e casa, quella di famiglia, possono scoprirsi più vicini.

Info
Via Campegna 58, scala I, interno 8, 80421, Napoli sul sito di Filmmaker.

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