Sangue do meu Sangue

Sangue do meu Sangue

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Esempio molto interessante di film teorico che non scade mai nella maniera, Sangue do meu sangue accosta un approccio formale ultra-realistico a un’evoluzione narrativa che fa leva sui ritmi e gli intrecci dei più classici melò.

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In un quartiere periferico di Lisbona, Márcia vive con i due figli Claúdia e Joca insieme alla sorella Ivete, parrucchiera in un centro commerciale. Un giorno Claúdia, che lavora come cassiera per pagarsi gli studi da infermiera, racconta alla madre di essersi innamorata di un uomo più anziano e sposato; quando Márcia lo incontra, avverte la sensazione che sulla sua famiglia gravi l’ombra di una minaccia. Intanto Joca, già piccolo trafficante di quartiere, decide di soppiantare il suo fornitore, ma il suo piano fallisce e solo il sacrificio di Ivete potrà salvarlo… [sinossi]

João Canijo ha avuto l’opportunità di esordire nel mondo del cinema lavorando come assistente di Manoel de Oliveira sul set di Francisca e da allora ha avuto la fortuna di poter proseguire la sua carriera con nuove collaborazioni eccellenti (Wim Wenders, Alain Tanner e Werner Schroeter): passato poi definitivamente alla regia, i suoi film hanno spesso raggiunto le grandi vetrine festivaliere – talora in selezione ufficiale, talora nelle sezioni collaterali – da Rotterdam, a Venezia, a Cannes.
Sangue do meu sangue, il suo ultimo film presentato in Festa Mobile al Torino Film Festival, è il risultato di un’interessante sintesi e contrapposizione fra sceneggiatura e messa in scena: la pellicola infatti accosta a un approccio stilistico e formale ultra-realistico un’evoluzione narrativa che fa leva sui ritmi e gli intrecci dei più classici melò.
Ambientata durante i mondiali di calcio del Sudafrica in un quartiere periferico di Lisbona, la pellicola è innanzitutto un inno all’amore incondizionato, quello che può portare a mettere a repentaglio le proprie sicurezze e i propri equilibri: attraverso le vicissitudini di una famiglia sorretta dalla figura dolce e al contempo determinata di una madre che ha cresciuto da sola i propri figli, Canijo si dedica alla realizzazione di un affresco emotivo dalle tinte vividissime che dà vita a un progetto di costruzione drammatica nettamente influenzata dal repertorio delle telenovelas sudamericane.

L’iperrealismo è un pilastro fondamentale sul quale si strutturano le scelte registiche di Sangue do meu sangue ma l’elaborazione “percettiva” del risultato finale ricopre un ruolo cruciale: le tracce audio si sovrappongono le une alle altre creando un sottofondo unico costante che accompagna i dialoghi, i discorsi dei personaggi si sommano e si intrecciano anche quando non sono collegati mescolandosi alle telecronache degli incontri calcistici e ai rumori di fondo della città con i suoi sobbalzi. Per quanto concerne la resa visiva Canijo si affida alla multi-composizione dell’inquadratura, dove si sviluppano più situazioni “affiancate” in una lunga serie di piani sequenza e scene parallele: il sapiente uso della scenografia e della suddivisione degli spazi è solo uno degli espedienti formali che il regista utilizza nello smarcare il proprio racconto dalle lusinghe del melodramma familiare più strappalacrime e sdolcinato, escludendo totalmente fotografia patinata ed edulcorazione degli ambienti e dedicandosi a una lettura attenta e trasparente delle vicende di cui si occupa.
Il film ha un carattere tendenzialmente femminile, forte della presenza ingombrante ma non soverchiante di donne dalla personalità decisamente spiccata – Márcia, madre coraggiosa, sua figlia Claúdia alle prese con l’amore clandestino con l’affascinante medico che la segue nel suo corso da infermiera e Ivete, sorella minore di Márcia, fragile e temeraria allo stesso tempo: è attorno alle tre protagoniste che si articola tutta la struttura narrativa che inanella amori, tradimenti, drammatici contatti con la malavita.

Sangue do meu sangue segue il flusso emotivo e l’evoluzione dei rapporti fra i personaggi, evidenziandone costantemente la solidità: ispirato da una riflessione sull’amore di Antònio Lobo Antunes (“L’amore puro può essere messo alla prova, ma non è mai a rischio”), Canijo punta i riflettori sul ruolo redentore del sentimento e sulla strenua ispirazione salvifica che talvolta fa da stimolo alle azioni e alle reazioni, là dove il desiderio della felicità altrui porta a determinare decisioni estreme.
Sperimentale e intrigante pur senza cedere al virtuosismo più sterile, Sangue do meu sangue sfrutta i suoi numerosi e intrecciati piani narrativi per condurre una riflessione sulla depravazione morale e sulla drammatica escalation di violenza che pare caratterizzare la vita quotidiana: “Più il paesaggio emotivo è arido più ogni gesto d’amore diventa incondizionato e autentico” ha annotato il regista e speranza e sacrificio si fondono e uniscono in questa lettura ragionata e ben gestita del sentimento.
Il film è il risultato di uno studio lungo e serrato del regista e del cast (la lavorazione è durata ben due anni) e coniuga anime differenti che si fondono in un’indagine seria e approfondita di un dramma familiare contemporaneo che scava nel disagio, nella corruzione, nell’umiliazione: Canijo si addentra fra le ombre del degrado del quartiere periferico Padre Cruz, fra piccoli spacciatori e vendette mortificanti, dedicandosi con pazienza e scrupolo alla forte caratterizzazione dei personaggi, sia quelli più schematici che quelli più poliedrici.

L’elegante confezione tecnica attutisce qualche contraccolpo narrativo – gli intrecci nel corso della pellicola si fanno davvero avviluppati come nella migliore tradizione soap – e Sangue do meu sangue si dimostra un buon esempio di cinema consapevole, soppesato ma non manierato, che sa raccontare una parentesi familiare con i toni dell’epopea senza rinunciare a una rappresentazione aderente alla realtà, giocando con linguaggi differenti e adattandoli a un discorso coerente e non noioso.

Info
Il trailer di Saunge do meu sangue su Youtube
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