The Lovers and the Despot

The Lovers and the Despot

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Presentato al Far East 2016, The Lovers and the Despot, documentario dei britannici Ross Adam e Robert Cannan ricostruisce con toni da spy story la vicenda del rapimento del cineasta sudcoreano Shin Sang-ok ordita nel 1978 dal dittatore cinefilo Kim Jong-il per (ri)lanciare l’industria cinematografica del Nord. Fra microcassette, rare immagini di repertorio e interviste.

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Documentario sul rapimento del regista sudcoreano Shin Sang-ok insieme alla sua ex-moglie e attrice Choi Eun-hee, che il dittatore nordcoreano Kim Jong-il mise a segno alla fine degli anni ’70 con l’intenzione di lanciare un’industria del cinema al Nord. Avranno una seconda occasione per amarsi, ma una sola per fuggire… [sinossi]

Iniziano a girare le bobine, il nastro magnetico giunge placido alle testine, svelando per la prima volta agli ascoltatori le conversazioni catturate e intrappolate in quel lento e costante scorrimento della microcassetta. È il 1986, e per la prima volta al di fuori dei confini nordcoreani si può ascoltare, nello stridore ferruginoso di una registrazione rubata, la voce di Kim Jong-il, secondo della dinastia familiare di dittatori della Corea del Nord, cui seguirà dopo la morte nel 2011 il terzogenito e attuale Leader Kim Jong-un. Quello che giunge alle orecchie degli astanti, investigatori dei servizi segreti sudcoreani e statunitensi, è un Jong-il neanche quarantenne e non ancora Leader Supremo, ma già delegato dal padre Kim Il-sung, ora Presidente Eterno e al tempo ancora vivo e in carica, a buona parte dei compiti politici. La sua voce incisa sul nastro rivela un dittatore in pectore inaspettatamente cinefilo e una storia vera quanto incredibile, una storia che probabilmente nessuno scrittore di noir avrebbe avuto l’ardire di concepire: quando la realtà supera qualsiasi immaginazione. “L’industria cinematografica della Corea del Nord frequenta la scuola elementare mentre quella del Sud va all’università”, lamenta un futuro Presidente scoraggiato dalla qualità scadente dei suoi stessi film di regime e dalla nulla considerazione internazionale, mentre i dirimpettai capitalisti stavano formando una cinematografia che veniva premiata a Berlino e aveva passerelle nei principali Festival mondiali. “Ho visto molti film della Corea del Nord, e c’è sempre una scena di pianto. Perché piangere sempre? Il cinema non è un funerale”, chiosa infine Kim, rivelando tutta quella tensione che il regime ha sempre avuto ad imboccare la propria popolazione con gioia forzata e false consapevolezze.

Da qui parte l’opera prima del tandem cinematografico britannico composto da Ross Adam e Robert Cannan The Lovers And The Despot, che giunge al Far East di Udine pochi mesi dopo i passaggi al Sundance e alla sezione Panorama Dokumente della Berlinale. La coppia di registi, Adam al debutto assoluto dopo una gavetta come attore di serial tv, Cannan alla seconda regia dopo l’esordio in solitaria con Three miles north of Molkom (2008), firma un film sospeso fra il documentario e la spy story più intrigante, raccontando attraverso interviste, registrazioni clandestine e rare immagini d’archivio condite da una fotografia cupa e musiche d’ambiente ai limiti dell’industrial che potrebbero tranquillamente essere parte della colonna sonora di un film di genere, il rapimento del regista e produttore sudcoreano Shin Sang-ok e della sua ex-moglie, assistente e attrice feticcio Choi Eun-hee, perpetrato nel 1978 dalla dittatura del Nord. L’obiettivo di Kim Jong-il era quello di creare un’industria cinematografica florida anche nel suo Paese, e quale mezzo poteva apparire migliore della conversione coatta a (quella bruttissima copia del) comunismo e culto della famiglia Kim del più quotato regista di quel Sud capitalista e filoamericano?

Quella documentata dai registi britannici è una vicenda ai limiti dell’incredibile, come capita le rare volte in cui si riesce ad avere a che fare con la chiusissima Corea del Nord. Un Paese fondato sulla menzogna di Stato e sulla natura divina di chi lo governa, un Paese costruito sul lavaggio del cervello ai propri cittadini e sulla loro formazione militare, un Paese imperniato su una lettura estremamente libera e di comodo delle ideologie marxiste che si traduce in povertà per la popolazione e opulenza per chi la schiaccia. Quella dei Kim è una dittatura oppressiva quanto bizzarra, pronta a imporre ai cittadini, oltre a una realtà deviata dal regime e ripetute feste di Stato per glorificare i governanti, persino i tagli di capelli. La stessa dittatura recentemente svelata e presa per il naso dal capitale Under the Sun di Vitalij Manskij, vincitore della sezione documentari dell’ultimo Trieste Film Festival e straordinariamente abile a denudare il re con la pura forza onirica del cinema. Ma dove il film del regista russo, che è impossibile non citare parlando della famiglia Kim, ha avuto a disposizione i permessi (con le ovvie e severe imposizioni tanto abilmente evase da Manskij) per girare in Nord Corea, The Lovers And The Despot compie un lavoro completamente diverso, nel quale il raro found footage d’epoca incontra i nastri registrati di nascosto da Choi Eun-hee durante i dialoghi con il tiranno, per tuffarsi poi insieme nelle sequenze dei film di Shin accompagnati dalle interviste alla famiglia, agli investigatori, ai critici cinematografici presenti al tempo – che avranno un ruolo essenziale nella fuga della coppia e nella consegna dei nastri alle autorità sudcoreane e statunitensi, dimostrando che ogni tanto anche la critica serve a qualcosa – e alla stessa Choi, testimonianza che fa da filo conduttore di tutta la narrazione.

Quello di Adam-Cannan è un film decisamente meno interessato rispetto a quello di Manskij alla sfera politica, è un film incentrato su una vicenda che ha avuto luogo fra il ’78 e l’86 e non sul presente, è un film che va a ricostruire fatti realmente accaduti e non a scardinare un sistema apparentemente perfetto che rivela le proprie falle, è un film preposto e propenso a raccontare ben più che a mostrare. Eppure, al di là della zona geografica di interesse e della dittatura dei Kim anticipata di una generazione, i punti di contatto con Under the Sun non sono pochi. Ci sono in primis la clandestinità e l’illusione, con quel registratore nascosto in borsa forse ancor più sfacciato del montaggio secondo Manskij e marito e moglie che, ritrovatisi in prigionia, fingono un cambio di mentalità giurando eterna fedeltà al regime; ma soprattutto a unire i due film c’è il motore di una profondissima cinefilia: laddove la potenza onirica e immaginifica del cinema è stata per Manskij il grimaldello per forzare la censura dittatoriale, in The Lovers And The Despot emerge come la vita sia il cinema e il cinema sia la vita, fra le sequenze dei film di Shin che ricalcano quasi perfettamente i racconti di Choi, il racconto del profondo amore per le immagini in movimento del regista-produttore e dell’attrice, ma anche la viva passione di un insospettabile Kim Jong-il, con una sala di proiezione privata in ogni casa e tanti sogni di gloria festivaliera. Fino a una versione locale (meravigliosamente goffa e quindi gustosissima, a giudicare dalla sequenza che viene mostrata) di Titanic che, a dispetto degli sforzi produttivi dell’industria nordcoreana, purtroppo non vedrà mai distribuzione internazionale.

I critici cinematografici, incalzati dalle macchine da presa dei registi, raccontano come il precedente cinema norcoreano fosse fatto solo di eroi pronti a morire per i Kim, mentre con l’arrivo di Shin, seppur sotto stretta sorveglianza affinché il film non fosse “occidentale” o “capitalista”, si siano finalmente viste al cinema delle vere persone. Ed è sulla verità dei nastri e delle testimonianze in prima persona che anche il documentario del duo britannico, forte di un montaggio di chiara ispirazione herzoghiana, punta tutta la sua potenza empatica. L’ormai anziana Choi racconta i giorni di prigionia, quei lunghi istanti passati a urlare i nomi dei figli rivolta verso sud, ma parla anche di come i momenti belli e indimenticabili, e il cinema, abbiano cancellato buona parte del dolore.
The Lovers and the Despot racconta la storia delle Coree attraverso la storia di chi nelle due Coree ha fatto cinema. C’è la vita di Shin Sang-ok, ci sono la sua viva passione, il suo talento e la sua vocazione per la narrazione, c’è la moglie incontrata sul set, c’è la produzione indipendente con tanto di strozzini (paradossale come Shin abbia dovuto barcamenarsi per anni nella capitalista Corea del Sud, trovando invece budget pressoché illimitati in un Nord nominalmente comunista), c’è il divorzio, c’è il doppio e separato rapimento degli ex coniugi, c’è la prigionia, ci sono i quasi cinque anni in un campo di concentramento fino a che i due, che non si vedevano da anni, decidono di fingere un cambiamento di mentalità accettando di mettere il proprio talento a disposizione della Corea del Nord, firmando diversi film per i Kim. E ritrovando, ovviamente, la vecchia passione. Perché il documentario di Ross Adam e Robert Cannan è anche e soprattutto, come suggerito da un titolo che sembra mutuato di fratelli Grimm, una storia d’amore infinito, una fiaba di gioie, dolori e poi di nuovo eterna felicità, un perdersi per poi ritrovarsi, una seconda occasione che non capita a tutti. Gli amanti sconfiggeranno il despota, dimostreranno con quei nastri di non aver davvero tradito il loro Paese se non per temporeggiare al mero scopo di salvarsi, sfrutteranno l’unica occasione per la fuga e vivranno liberi negli Stati Uniti fino alla morte del regista. Vissero tutti, insomma, felici e contenti.

Info
La scheda di The Lovers and the Despot sul sito del Far East Film Festival 2016.
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