Le parc

Le parc

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Presentato al Sicilia Queer Filmfest 2017 il nuovo lavoro di Damien Manivel, Le parc, che aveva iniziato il suo percorso festivaliero all’Acid di Cannes del 2016. Un racconto leggero, un racconto d’estate di rohmeriana memoria, un racconto adolescenziale che degenera nella comunicazione di messenger.

Una ragazza, un ragazzo

Naomie e Maxime si incontrano in un parco un assolato pomeriggio d’estate. È il loro primo appuntamento, e timidi silenzi scandiscono il loro vagare tra i sentieri poco battuti. Pian piano, pudicamente, si avvicinano, si accarezzano, si innamorano. Non servono a molto le parole tra i prati erbosi sfiorati dal sole, tra due giovani uniti dal desiderio. Ma col calare del sole arriva il momento di salutarsi, si scioglie l’incantesimo, e quello che era sembrato un dolce sogno si tramuta lentamente in un incubo. [sinossi]

Naomie e Maxime, due adolescenti, si danno appuntamento in un parco. Si capisce che si conoscono appena e che questo è il loro primo appuntamento. Approfondiscono la conoscenza, parlando di loro, delle scuole che frequentano, dei lavori dei rispettivi genitori. Si tratta di una situazione tipica di “farfalle nello stomaco” che il regista Damien Manivel in Le parc coglie con leggerezza rohmeriana e con uno sguardo di tenerezza. E soprattutto dandosi delle precise regole di regia, formato 1.41:1, inquadrature spesso fisse, lunghi piani sequenza, unità di luogo, il parco esplorato in lungo e in largo, tra sentieri e boschetti, sostanziale continuità di tempo che dalla giornata volge alla notte. Il tutto in un tempo filmico molto ristretto, di poco più di un’ora. Già dall’inizio la regia allude a dei fuori campo, quando i due ragazzi vedono uno scoiattolo ma la mdp resta su di loro, senza l’ideale controcampo.

Tutta la prima parte di Le parc è un delicatissimo crescendo di uno stato di innamoramento, di invaghimento adolescenziale, con approcci molto misurati e timidezza. Il tutto nella natura rigogliosa, tra i prati, le fronde degli alberi scosse dal vento, gli spiragli di luce dalla volta del bosco, le nuvole, il frinire delle cicale. Gradualmente si arriva alla sensualità, al bacio, all’accarezzare il corpo a torso nudo di lui e poi le immagini del bosco e delle nuvole suggeriscono che si siano lasciati andare ai piaceri dei sensi. Fanno tenerezza nei loro discorsi, nella loro ingenuità anche quando il ragazzo – più istruito di lei e dalla spiccata curiosità intellettuale – parla di Freud, le chiede se non abbia già iniziato lo studio della filosofia, materia che gli piace perché “fa pensare”. Per arrivare a raccontarle il lavoro della madre, psicanalista che mediante ipnosi riesce a far tornare indietro nel tempo le persone, nel riaffiorare dei loro ricordi.

Tutto questo idillio vira in una situazione infernale nella seconda parte, quando il ragazzo va via e lascia sola la ragazza nel parco. Avviene la separazione che si consuma, dopo l’estasi nella natura, con il linguaggio proprio dell’alienazione e della sostanziale, e paradossale, incomunicabilità del mondo virtuale. Lui si rivela il classico ‘stronzo’, aveva già una fidanzata cui non intende rinunciare e comunica così a Naomie di aver troncato con lei. Il tutto via messenger per non aver trovato il coraggio di dirglielo in faccia. Lei si dispera, cala la sera e la notte e diventa tutto un incubo. L’unico modo per uscirne è tornare indietro, camminando a ritroso, seguendo la suggestione del lavoro della madre di Maxime.
Qui tutto prende una piega del tormento per Naomie, di una fiaba nera, di un cupo onirismo. Compare un misterioso guardiano di colore – già si era verificata una situazione strana in precedenza, quando Maxime aveva incrociato una donna di colore, dall’abito colorato tipicamente africano, che aveva presentato come una sua zia –, che porta la ragazza in barca come un Caronte, amoreggia e con lei e diventa Maxime. Ma forse si è trattato di un brutto sogno. E lei rimane sola.

Dopo aver avuto una menzione speciale ai Cineasti del Presente di Locarno, e trionfato con il premio Lino Micciché a Pesaro con la sua opera prima Un jeune poète, Damien Manivel torna con un’opera di rigida osservanza minimalista, Le parc, visto al Sicilia Queer Filmfest, che funziona bene nella sua coerenza, fino quasi alla fine, quando sembra non sapere più dove andare a parare, non riuscendo più a giostrarsi all’interno delle rigide coordinate che si era creato.

Info
La scheda di Le parc sul sito del Queer Filmfest.
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