Song of Silence

Song of Silence

di

L’opera prima di Chen Zhuo, Song of Silence, presentata al Far East nel 2012 e ora in sala grazie a Distribuzione Indipendente.

Il silenzio fa rumore

Jing, un’adolescente sordomuta affidata alla madre dopo il divorzio dei genitori, abita in un villaggio di pescatori con il nonno e lo zio materno perché non vuole vivere con la madre e il suo amante, con il quale non va d’accordo. Trascura gli studi e cerca costantemente rifugio nella barca del giovane zio, l’unica persona dalla quale si senta amata. Il rapporto fra i due finisce per oltrepassare i limiti del lecito e Jing è costretta ad andare a vivere in città con il padre, un ufficiale di polizia ossessionato dal desiderio di avere un figlio maschio. Il padre non la ama ma accetta di portare con sé la figlia proprio quando la compagna Mei, giovane musicista indipendente e ribelle, rimane incinta… [sinossi  – dal catalogo Far East Film Festival]
Hello darkness my old friend,
I’ve come to talk with you again
Because a vision softly creeping
left it’s seeds while I was sleeping
And the vision that was planted in my brain
still remains, within the sounds of silence
Paul Simon, Art Garfunkel – The Sound of Silence

“Un film di dura bellezza”, con queste parole Sabrina Baracetti, presidente del CEC e organizzatrice del Far East Film Festival, ha presentato in anteprima europea Song of Silence, del giovane regista cinese Chen Zhuo. Un’opera prima che nasce dall’occhio attento di un artista formatosi nella pittura con uno sviluppo artistico che abbraccia con successo internazionale anche la fotografia e la video arte. La sensibilità pittorica di Chen Zhuo traspare con eleganza in un’opera sottile e rarefatta come un acquarello e al tempo stesso portatrice di messaggi pesanti come pietre. Dura bellezza appunto.
Ispirato a fatti realmente accaduti, il film è ambientato nello Hunan, provincia di cui è originario il regista; interpretato in maniera più che convincente da attori non professionisti che si esprimono nel dialetto locale, ha avuto una gestazione lunga quasi due anni.

Fin dalle prime inquadrature ci tuffiamo nella vita dei personaggi, in medias res, mentre l’intreccio, i rapporti in tutte le loro gradazioni emergono per l’intera durata del film come in un mosaico che prende forma man mano che vengono aggiunte le tessere che lo compongono.
L’uso della macchina a mano è perfetto per enfatizzare l’impressione di realtà ricercata in questo film che tuttavia conta su una regia tutt’altro che “casuale” o improvvisata. La messa in quadro pittorica, la costruzione del racconto per piccoli tasselli, l’incredibile equilibrio tra silenzio e rumore, tra avvicinamenti e separazioni, tra città e campagna, uomini e donne, tra grigio e colore, tra opposti complementari insomma, denotano abilità e sicurezza davvero poco comuni, specialmente in un esordiente. Una tale disinvoltura nel destreggiarsi tra gli elementi del racconto, dando vita ad un’opera altamente lirica e per nulla scontata, non può che avere origine nelle esperienze maturate dall’autore nella fotografia e nell’arte contemporanea, linguaggi attraverso i quali egli mira a comunicare la propria visione della nuova Cina.

In queste lunghe giornate di festival abbiamo spesso assistito a opere il cui difetto principale risiede nell’eccesso, in generale, e più nello specifico nella ridondanza a volte estenuante del parlato, del detto, dell’esplicito. Non è quindi paradossale che uno dei migliori film passati in rassegna vada invece in direzione opposta, facendo un uso calibratissimo di silenzi, di rumori e di tacite sfumature. Il “non detto”, qui, assume un’importanza straordinaria; gran parte dei problemi che affliggono la famiglia, infatti, derivano dall’incapacità di comunicare. Jing non comunica non solo perché è sordomuta ma soprattutto perché è chiusa in se stessa, sempre rannicchiata in qualche angolino o in fuga dalla realtà, cercando semplicemente di far passare l’attimo. Questa sua incapacità, del resto, affonda in un ambiente altrettanto “sordo”. La madre, seppur preoccupata e piena di buone intenzioni, non sa come rapportarsi con la figlia che le sfugge. Il padre non sa come comunicare con l’universo femminile, mentre l’unico rapporto autentico che Jing riesce a stabilire, è quello con lo zio materno: un rapporto silenzioso dove la parola è sostituita da gesti capaci di trasmettere quel calore che tutti cerchiamo. Il silenzio dunque non è legato all’assenza di parola ma all’incapacità di relazionarsi con l’altro. Non a caso il rapporto tra Jing e Mei subisce una svolta nel momento in cui trovano un canale di comunicazione, anche questo non verbale.

Chen Zhuo lavora per sottrazione riducendo tutto al minimo, dalle parole alle immagini: sappiamo che la madre ha un compagno con cui Jing non va d’accordo senza mai vederlo, anche se possiamo perfettamente intuire la complessità della situazione; comprendiamo le scelte laceranti di Mei, che prende in mano la sua vita, in una sola inquadratura. Less is more.
Con Song of Silence, Chen Zhuo entra a pieno titolo nel mondo del cinema d’autore; mentre siamo certi di poter affermare che ci troviamo di fronte ad un artista che sarà ancora capace di colpire nel segno.

Info
Il trailer di Song of Silence.

Articoli correlati

Array