1977: Punk is (not) Dead

1977: Punk is (not) Dead

1977: Punk is (not) Dead. Trentacinque anni fa Londra bruciava, e il mondo iniziava a prendere confidenza con il termine “punk”.

Pensare di lanciarsi in un piccolo compendio di storia musicale, sfruttando il serbatoio di video a disposizione di youtube potrebbe apparire a prima vista uno scellerato suicidio giornalistico… E in effetti non ci si allontana troppo dalla realtà. Eppure appare indispensabile, soprattutto dopo aver osservato l’ostracismo culturale che ha costretto l’universo di punk, new wave e post-punk in un angolo remoto della memoria ai giorni nostri, dedicare lo spazio opportuno a una delle rivoluzioni musicali più radicali e salvifiche di cui si abbia memoria. Buon ascolto e, perché no, buona visione!

1.
SEX PISTOLS – God Save the Queen
Probabilmente impossibile non iniziare questo excursus storico-musicale partendo dai Sex Pistols: spesso considerati (con un ragionamento ai limiti della blasfemia!) “la band di Sid Vicious”, le pistole del sesso spararono via un unico album prima di sprofondare in un abisso dal quale sarebbe emersa la splendida creatura di John Lydon/Johnny Rotten, i Public Image Ltd. Ma in questo esemplare unico c’è da godere di alcune delle gemme punk più dirompenti e basiche, come Anarchy in UK e Holidays in the Sun. Non è da meno, ovviamente, God Save the Queen, vero e proprio inno slabbrato e crudele, nel quale la band grida il No Future destinato a diventare di lì a poco slogan (non) ufficiale dell’universo punk. Ah, ultima annotazione per i male informati: Sid Vicious, al contrario di quanto si possa pensare, suona il basso solo ed esclusivamente in Bodies. Lo strumento, tranne un’incursione di Glen Matlock in Anarchy in UK, è suonato nell’album dal chitarrista Steve Jones.

2.
THE CLASH – London’s Burning & White Riot
Come dicevamo in principio, Londra brucia. Sono i Clash ad accorgersene per primi, incendiando il pubblico inglese con un punk da guerriglia che si propone di sfondare le classifiche senza per questo dimenticare l’orgoglio dell’impegno politico. Fu proprio un concerto dei Sex Pistols a far intravvedere a Joe Strummer la via per la rivoluzione musicale (ma non solo); partiti con ben tre chitarre in line-up, i Clash videro la dipartita dalla band di Keith Levene (futuro membro dei già citati Public Image Ltd.) prima di trovare un assetto definitivo. Qui li vediamo dal vivo, in una performance che mostra tutta l’irruenza e la voglia di non lasciarsi assoggettare dalla prassi che animava il punk della prima ora.

3.
THE DAMNED – New Rose
I Damned sono immensamente meno noti al grande pubblico di Sex Pistols e Clash, eppure la loro importanza all’interno della storia del punk-rock non dovrebbe essere sottostimata con tanta sicumera: uscito il 16 aprile del 1977, il loro esordio Damned Damned Damned è in assoluto il primo album sulla lunga distanza dato alle stampe da una punk band anglosassone. Un primato che è legittimato dalla straordinaria vena compositiva del gruppo capitanato dal frontman Dave Vanian, come si potrà notare ascoltando l’esaltante New Rose, dal riff poderoso e trascinante.

4.
BUZZCOCKS – Orgasm Addict
Se c’è un gruppo di musicisti che è stato capace di fare del singolo un’arte, quelli sono i Buzzcocks. Eppure a inizio 1977 la band sembra già a un punto di svolta decisivo, visto che a febbraio Howard Devoto abbandona il progetto per fondare i Magazine: a quel punto i Buzzcocks hanno dato alle stampe solo l’EP Spiral Scratch. Ma a settembre i membri rimasti della band entrano in studio e registrano Orgasm Addict, primo di una lunga serie di successi: tanto per fare un esempio l’anno dopo sarà la volta di Ever Fallen in Love, What Do I Get e I don’t Mind. Tutte queste luccicanti perle le potete rintracciare nella fondamentale antologia Singles Going Steady, pubblicata dalla EMI alla fine del 1979.

5.
THE JAM – In the City
“In the city there’s a thousand things I want to say to you / But whenever I approach you, you make me look a fool / I wanna say, I wanna tell you / About the young ideas / But you turn them into fears”. Ha le idee piuttosto chiare il diciannovenne Paul Weller quando viene pubblicato l’album di debutto dei Jam, e tra queste c’è quella di mescolare il nuovo approccio punk al fragore dell’epopea mod (di cui gli Who incarnarono al meglio l’essenza). Quello che ne viene fuori è un lavoro secco e tagliente, melodico e rumoroso, nervoso senza perdere la seduzione del pop. La canzone che abbiamo scelto, manco a dirlo, la conosce mezzo mondo.

6.
RAMONES – Carbona not Glue
Ok, è giunta l’ora di spostarsi dall’altra parte dell’oceano. Perché se il punk e il post-punk possiedono una connotazione decisamente british non è che i cugini americani avessero tanta voglia di scherzare. O forse sì? I Ramones sono l’anima più pop e candida del punk: i loro testi, quasi mai legati strettamente alla contingenza storica (fa caso a parte Bonzo Goes to Bitburg, nata nel 1985 sull’onda della vergognosa visita del presidente statunitense Ronald Reagan al cimitero dove sono sepolti i militari delle SS: la canzone, scritta da Joey Ramone, provocò quasi uno scisma all’interno della band) rimandano direttamente a una vita trascorsa sulla strada, tra una sniffata di colla e l’approccio a una ragazza. Musicalmente, invece di rincorrere standard battaglieri degli anni Sessanta, i Ramones si rifanno alle melodie sognanti dei Beach Boys, velocizzate all’eccesso e traumatizzate dallo scontro con la distorsione. Il risultato? È davanti alle vostre orecchie. In questo caso abbiamo selezionato due brani, perché Carbona not Glue è una chicca pressoché sconosciuta, e meritava un recupero – pur tardivo.

7.
RADIO BIRDMAN – New Race
Ancora un viaggio all’altro capo del mondo, stavolta con destinazione Sydney, Australia. È qui che si formano nel 1974, per volontà di Deniz Tek e Rob Younger, i Radio Birdman, che rimarranno insuperati punti di ispirazione di quell’indie-aussie-rock di cui in pochi oggi sembrano serbare memoria. Qui trovate un’esibizione live del gruppo, in cui si nota tutta la loro essenziale “velocità”. Immortali!

8.
THE STRANGLERS – Peaches
Da principio gli Stranglers si dedicarono a un onesto pub-rock, per poi sposare il punk non appena la “nuova moda” iniziò a tirar fuori il capino. Rattus Norvegicus, l’album da cui è tratta la Peaches che qui trovate in un’esibizione dal vivo del 1977, rappresenta l’apice della band, insieme a The Raven, che verrà pubblicato nel 1979.

9.
SUICIDE – Ghost Rider
Torniamo di nuovo a New York. Nella multiforme scena punk fanno il loro ingresso in scena anche i Suicide, tra i gruppi più seminali venuti alla luce durante gli anni Settanta: il loro esordio omonimo è un pugno nello stomaco di formidabile potenza, in grado ancora oggi, a trentacinque anni di distanza dalla pubblicazione, di mandare al tappeto anche l’ascoltatore meno ingenuo o sprovveduto. Un ossessivo vortice di suono, dominato da clangori metallici ed elettronica perturbante, che trascina in un abisso post-industriale, doloroso e ansiogeno. I singulti di Alan Vega (voce, mentre la strumentazione è tutta in mano a Martin Rev) mettono la cornice al quadro appena descritto. Pura e semplice folgorazione sulla via del CBGB.

10.
TALKING HEADS – Psycho Killer
Ancora New York, ancora un punk non punk, ancora una band seminale. David Byrne, che rappresenterà uno dei nomi irrinunciabili della Grande Mela degli anni Ottanta (e recentemente ha lavorato anche per il nostro Paolo Sorrentino), porta in scena la sua musica insieme ai sodali Jerry Harrison (tastiere, chitarra), Tina Weymouth (basso) e Chris Frantz (batteria); l’esordio, screziato da una dominante funk, è irsuto e metropolitano come non mai. Psycho Killer, che qui potete godere in una versione dal vivo, toglie il fiato e diverte fino allo sfinimento. Se riuscite a non farvi coinvolgere dal ritornello potreste non essere umani…

11.
DEAD BOYS – Sonic Reducer
Sempre New York, anche se la band in questione arriva da Cleveland, Ohio. I Dead Boys non hanno conservato un posto nella memoria collettiva, e questo è un crimine davvero ingiustificabile: basterebbero le undici tracce di cui si compone il loro esordio Young, Loud & Snotty, da cui abbiamo estrapolato la canzone che trovate qui (in una sferragliante esibizione al CBGB), per garantirgli ora e per sempre un posto nella storia del rock. Una storia ben più complessa e ricca di nomi di quanto probabilmente si possa pensare. Ascoltare per credere!

12.
TELEVISION – See No Evil
Dei Television, splendida creatura che giocò con il punk senza far veramente mai parte della corrente (la loro era new wave intrisa di rimandi alla psichedelia garage e ai Velvet Underground), non siamo riusciti a trovare stralci live dell’epoca. Un peccato, perché i concerti di Paul Verlaine e compagnia sono davvero entrati nella leggenda, come testimoniano album e bootleg: mostrarli ai giorni nostri, però, ci consente di avviarci alla conclusione del nostro breve excursus rimarcando l’assoluta attualità della rivoluzione punk, che partorì (suo malgrado) l’ancor più esaltante epopea del post-punk, di cui forse prima o poi avremo tempo di parlare. Per ora godetevi questi vecchietti,e le loro immortali melodie.

13.
WIRE – Pink Flag
A proposito di vecchietti agguerriti, cosa si può dire dei Wire? Il loro esordio Pink Flag fu scambiato per un album perfettamente punk, senza capire che ad agitare le menti e le dita della band londinese era qualcosa di più stratificato e meno facilmente intellegibile. Lo dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, l’esibizione che Colin Newman, Graham Lewis, Bruce Gilbert e Robert Gotobed hanno regalato al pubblico romano solo pochi giorni fa, accompagnati per l’occasione da Teho Teardo alla chitarra e Martina Bertoni al violoncello. Cosa dite, trentacinque anni? Già, a volte passano in un attimo…

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