A Mãe e o Mar

A Mãe e o Mar

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Alla ricerca di un mito reale e perduto sulla spiaggia di Vila Chã, cerchiamo le donne di mare chiamate “pescadeiras”, in uno dei pochi luoghi al mondo con donne timoniere. Ma dove sono? E dove sono le 120 barche da pesca artigianali? Rimangono otto barche e una sola pescatrice. In una terra di coraggiosa gente di mare, filmiamo la passione della pesca, la passione del mare.  [sinossi]

Stimolato dalle suggestioni che gli derivano dalla lettura del testo “Donne della Spiaggia” (Mulheres da Praia) di Sally Cole, il giovane regista portoghese, alla sua seconda regia dopo É na terra não è na lua, si è recato personalmente nella località di Vila Chã, tuttora terra di pescatori, dove ha incontrato Gloria, l’ultima donna che ancora oggi va per mare, affrontando un mestiere duro e maschile, irto di fatiche e di pericoli, che tuttavia mantiene intatto un fascino dolente e arcano, velato di malinconia. Questo incontro svela a Tocha la possibilità di realizzare un film che si muove alla riscoperta di una piccolissima comunità quasi estinta, dove le donne, per necessità ma anche per amore del mare, si dedicavano alla pesca al timone delle loro imbarcazioni. Esisteva una vera e propria flotta di cui oggi sopravvive solo qualche barca e poche testimonianze.

Prendendo le distanze dal classico documentario a tesi, A mãe e o mar non raccoglie interviste, né sentenzia o argomenta, ma si limita a osservare il reale collezionando indizi, azioni e persone che spontaneamente parlano di sé e del loro piccolo mondo antico. Il racconto si costruisce poco a poco svelandone davanti ai nostri occhi i tasselli che lo compongono: dai ritagli di giornale recuperati tra gli scaffali di una biblioteca, ai vecchi permessi di navigazione che quasi suggellano la veridicità di un mondo così avvolto nella bruma da apparire ammantato d’irrealtà, fino alla presenza degli stessi pescatori, figli e mariti delle “pescadeiras”, con il loro amore per il mare, in fondo il vero protagonista della storia. Lunghi piani sequenza, adottati per evitare di orientare le reazioni emotive del pubblico, lasciano intatti i tempi del reale e le relazioni umane, con il loro bisogno di essere rispettate e ascoltate senza sottostare ad alcuna regola del montaggio. E’ così che Tocha ci riporta la spontaneità dei personaggi, lasciati liberi di esprimersi tra loro, con il regista e di fronte l’immensità dell’oceano. Gloria, donna forte e possente, ha spalle larghe e gambe robuste e domina a lungo la scena con la sua presenza. Il volto segnato e i gesti che appartengono al lavoro quotidiano, trasmettono un senso di solido vigore, senza che ci sia bisogno di aggiungere altro. La visione poetica di Tocha lascia parlare l’immensità dell’oceano, amico e potente alleato, come testimonia anche l’ex pescatore Guilherme, quando in una delle ultime sequenze dichiara alle onde tutto il suo amore. Perfino la musica che accompagna la narrazione è affidata esclusivamente al rumore del mare, puro e semplice, pronto a mostrarsi in tutta la sua fragorosa potenza.

Una narrazione coerente e poetica, asciutta e pulita, intrisa di spontanea bellezza che non ha bisogno di troppi artifici per conquistare lo spettatore. Il cinema di Tocha è fortemente autoriale e condensa al suo interno la tradizione portoghese pur accogliendo chiari riferimenti e suggestioni che appartengono al cinema di De Seta e, più alla lontana, a quello di Visconti. Da sì alta tradizione, Tocha trova il modo di costruire un registro personale che percorre con grande purezza e genuinità.

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