Intervista ad Amir Naderi

Intervista ad Amir Naderi

Approda in Italia Amir Naderi, regista ormai apolide, dopo aver lasciato l’Iran e aver lavorato come cineasta indipendente negli Usa, poi in Giappone con Cut. Per Monte ha lavorato in alta quota in Alto Adige e in Friuli Venezia Giulia, con una troupe italiana, raccontando la storia ancestrale di Agostino e della sua lotta per la sopravvivenza contro la montagna che sovrasta il suo villaggio. Abbiamo incontrato il regista alla Mostra del Cinema di Venezia dove il film è stato presentato fuori concorso. Monte sarà in sala dal 24 novembre.

Sei un regista apolide e in ogni paese che vai affronti anche il relativo contesto. In Monte quanto conta la peculiare vulnerabilità del territorio italiano, la sua friabilità e fragilità? Te lo chiedo anche perché tra le location in cui hai girato il film figura anche Erto e Casso che è il luogo del disastro del Vajont, la diga che è strabordata a seguito della frana del monte Toc.

Amir Naderi: Io e i produttori abbiamo trovato un ragazzo che abita in quei luoghi, Gianluca, una grande persona, che ha cercato di mostrarmi tutto, inclusa questa montagna dove è avvenuto il disastro. È stato così triste perché quella tragedia si è abbattuta sulla popolazione proprio quando stava per arrivare il tramonto. Tempo dopo ho fatto una passeggiata da solo nel punto in cui poi è stata girata la maggior parte del film, e c’era sempre una nebbiolina. Credo di aver sentito qualche rumore, qualche eco, della tragedia del Vajont; pensandoci, l’ho sentito nella mia testa. Tornato in hotel ho pensato che forse, per caso, c’era stato un buon motivo nello scegliere di fare il film lì dove l’abbiamo fatto, perché prima avevo visto questo luogo e poi Erto e Casso. Sembrava quasi che questa location mi avesse aspettato, che coincidesse con i miei pensieri. Questi luoghi avevano più informazioni e background di quanto potessero essercene nella mia immaginazione a proposito della location di cui avevo bisogno. Allora ho pensato: “Ecco, questo è il loro significato”. Perché volevo fare un film che parlasse dell’ossessione di fare qualcosa di impossibile, e di portare finalmente la speranza e il futuro alle nuove generazioni. Volevo mostrare di potere fare qualcosa per portare speranza in questo lembo di terra, sempre immerso nel buio. Ho pensato che fosse ottimo avere trovato questo posto per caso. “Prendi questo luogo, portalo fuori dalle tenebre”, ho pensato.

Trovo qualcosa in Monte che richiama anche il poeta italiano Giacomo Leopardi, questo concetto della Natura come nemica, come qualcosa di ostile. Una concezione che ti porti dietro già da Acqua, vento, sabbia, film che condivide con questo una catarsi finale. Confermi questa sensazione?

Amir Naderi: Non faccio mai film che parlino di relazioni, di famiglia, o di vita regolare o di problemi quotidiani. Vorrei sempre cercare di fare film in cui si sfidano gli elementi della natura. Ogni mio film parla di quello, sempre. Per me l’elemento della natura è al centro della scena. In Monte lo puoi vedere, puoi vedere che lentamente il monte diventa il protagonista. Per catturare questo personaggio lo devi avvicinare, andarci molto vicino. Prima di tutto, trovare la montagna giusta è stato difficile, non tutte le montagne mi davano la possibilità di fare quello che volevo. Questa montagna l’abbiamo trovata per caso, magicamente. Di solito prima vedo le location, poi penso a come fare il film. La location è la cosa più importante, non io. Se vuoi salire a 2700 metri e magari starci anche per dei mesi per catturare le sensazioni che da questa arrivano, devi essere davvero tanto vicino a quella natura. Sai, ho parlato tanto con quella montagna, al tramonto o la mattina quando mi alzavo, perché credo che la montagna abbia molto potere, non è semplicemente un posto dove puoi fare una foto bella o brutta. Prima di tutto, la montagna è qualcosa di così grande che è vicina all’eternità. Molto di più di qualsiasi edificio moderno, che è senza spirito, fatto di freddo metallo. Le montagne sono testimoni dell’universo. Ora arrivi lì e la vuoi sconfiggere. A volte avevo la sensazione che dovessi chiedergliene il permesso e quindi le dicevo: “Se ti voglio sconfiggere, è perché voglio dare valore all’essere umano. Portare il sole all’essere umano, la cui rabbia non è contro di te, o montagna!, ma contro il suo destino, contro la situazione in cui si è trovato a vivere. La situazione in cui si trova il villaggio, la sua maledizione, le ombre. Lascia che lo faccia. Non vogliamo tagliarti per fare una strada o un palazzo o un hotel [ride, n.d.r.] come si fa di solito”. Penso che se la montagna non avesse voluto, non avremmo potuto fare il film.

Si può dire che Monte è un film che parla di un miracolo, come Ordet?

Amir Naderi: No. Il film parla di determinazione, di credere, dell’ossessione, del fatto che devi pagare per quello che fai. Non si può fare semplicemente qualsiasi cosa, devi trattare, bisogna tagliare tante cose dalla vita. Magari sali sulla montagna per starci per sempre o magari muori. La magia accade, ma a una condizione: se ti doni onestamente. In quel caso, forse, la magia può accadere. Senza la tua forza, senza la tua determinazione, non succede. Se non credi, non succede niente. La magia accade per noi, per causa nostra, se ci pensi. Immaginati che stiamo girando un film qui, arriva una nebbia che copre tutte queste montagne, allora dico, va bene, giriamo. Non possiamo acquistare o ordinare quel momento, semplicemente accade. E accade magicamente, perché la montagna è d’accordo con me. Quella è la magia, che a volte arriva mentre stai girando. Il mio personaggio non crede ai miracoli. Si chiede perché dovrebbe aspettare un miracolo invece di fare qualcosa di concreto. Io la penso così.

Perché utilizzi sia il colore che il bianco e nero e perché quell’effetto cromatico con il sole alla fine?

Amir Naderi: Questo film parla dell’assenza di vita e dell’assenza di luce, dell’assenza di terra. Non c’è niente di costruito, mentre di solito tutto quello che è costruito è molto vecchio e brutto. Il cinema è immagine e suono, non volevo troppi dialoghi, e quindi ho fatto queste scelte. Un dialogo in cui si continuasse a ripetere ossessivamente: “Non abbiamo niente”, non lo volevo, volevo invece un dialogo tra il suono e l’immagine. Il pubblico pensa: “Oh, sono morti”, perché quella terra è maledetta, è fuori dalla vita, e ho cercato di rendere il pubblico affamato da quella vita, a poco a poco. E, quando sembra finita, i protagonisti diventano giovani, la vità è tornata. Ho cercato di fare questo solo usando il mezzo cinematografico. Immagine e suono, ho cercato di usare il suono per fare una sinfonia, non so, è stato un bel suono?

Sì, molto. Curi sempre molto il suono e tu sei anche sempre il sound designer dei tuoi film. Come mai?

Amir Naderi: Lascia che ti dica una cosa, non faccio nessun film se fin dall’inizio non sono sicuro che potrò occuparmi direttamente dell’immagine, del suono e del montaggio. Il montaggio è molto importante per me, perché vengo dalla tradizione di Ejzenstejn e Kurosawa. E per quanto riguarda il suono, naturalmente tanti maestri hanno lavorato col suono, ma io comunque cerco sempre di espandere i limiti del lavoro col suono. In questo film ho voluto trattare il suono esattamente come il dialogo, usarlo per raccontare la storia e creare tensione. Ti deve avvertire in che direzione si andrà, quale sarà la conclusione della vicenda.

Come mai invece i personaggi, quando parlano usano l’italiano moderno, non un dialetto o un’altra lingua arcaica?

Amir Naderi: Vedo così tanti film che sono girati con un particolare accento, nel cinema, e dialoghi con questa o quell’inflessione. È un accento fasullo, molti naturalmente lo fanno molto bene, ma io ad un certo punto mi sono detto: “Amir, cosa vuoi?” E mi sono risposto: “Solo qualche informazione. Sii onesto, bisogna dare in un modo molto regolare queste informazioni al pubblico senza nessun accento, senza drammaticità, senza che questo venga dal nord, dal sud dall’est o dall’ovest dell’Italia”. Questo film, ovviamente è ambientato diecimila anni fa, però Monte riguarda anche il presente. Tutti, magari anche tu, hanno ostacoli come quello. Non sai cosa farci, non sai se puoi arrampicarti o tagliarlo. Volevo fare con questo film un racconto universale, ecco perché ho usato quel tipo di linguaggio.

E in quest’ottica, come hai lavorato alla progettazione dei costumi?

Amir Naderi: Anche per questo ho guardato tanti libri, non film. Ho cercato di essere almeno corretto per il periodo storico, 700 anni fa o roba del genere. Il costume di Agostino è molto importante, e l’ho fatto io, anche se naturalmente il mio costumista mi ha aiutato. Ma in generale ho cercato di rendere quest’uomo credibile in quello che sta facendo. Il pubblico deve credere a lui, deve capire che non può far altro che non sia quello che decide di fare. Perché? Perché sì, perché non c’è altra strada. Deve farlo. In altre parole, quest’uomo è come me, lotta contro il destino, non ci credi ma è grande. Puoi convivere con questo, ma alcune persone poi ti vengono a giudicare e ti dicono: ‘Oh-oh’, come dicono ad Agostino e come a me. Voglio creare il mio destino a modo mio. Se la mia famiglia mi chiede: “Amir, cosa vuoi fare?”, io rispondo “Non tutto, ma voglio provare qualcos’altro, qualcosa di diverso”, e se me ne chiedono il motivo, io rispondo: “Ho ambizioni, è una cosa che non posso togliere dalla mia mente”. Se dico che voglio fare il giro del mondo, se perdo, perdo la mia vita, ma se vinco? Che succede se vinco? Sono andato via dal mio paese, l’Iran, trentadue anni fa, ma non per la politica, niente cazzate! Amo il mio paese. Ho pensato che l’essere umano potrà fare qualcosa di impossibile, se vuole. Tutti ti rispondono: “Impossibile”, ma io ho fatto film in paesi stranieri con lingue e culture straniere. L’ho fatto in Giappone! Non è facile lì. Un paese e una cultura molto complicate. Credo che Dio mi abbia dato qualche talento per fare questo. Ma ho cambiato il mio destino, l’ho deciso io, non sono stato seduto sul mio culo e nel mio paese, per diventare un regista famoso in Iran, diventare un eroe, poi invecchiare fare figli e morire. Non volevo questo, volevo fare una new wave o una rottura o qualcosa di nuovo per la generazione dopo di me. Magari c’è un cineasta oggi che sta dicendo cose centomila volte meglio di me, è un genio, ma non ha la mia energia e la mia follia. Ho usato la mia vita per fare questa new wave, poi una rottura e poi, ok, col tuo talento puoi fare quello che vuoi dopo di me e sarà più facile. Non ci vorranno trenta anni, magari solo uno. In altre parole, cerco di fare delle scoperte. Scoprire cose e fare il mio destino.

Trovo forti analogie tra il protagonista di Cut e Agostino, nell’ossessione, nell’andare contro tutto anche mettendo a rischio la propria incolumità, anche se il primo ha un atteggiamento passivo.

Amir Naderi: Sono la stessa cosa. Sì, l’ossessione, hai ragione. L’Iran è un paese di poesie. Per esempio non fai mai un giorno una poesia sull’amore, il giorno dopo sull’azione, quello dopo ancora sull’oceano ecc. No, noi abbiamo un modo, un’idea sola, un tema, e tutta la vita lo seguiamo. E io cerco di metter questo in diverse esperienze. Anche il mio cinema è così come lo voglio. Da Acqua, vento, sabbia in poi l’ho sempre fatto così. Era lo stesso, faccio sempre così, mi dedico alla durissima situazione del fare film, cercando sempre nuove idee, perché per me è molto importante l’originalità. Spingo me stesso, il mio direttore della fotografia, i miei attori, tutti. Non sappiamo mai se qualcosa la riusciremo a fare o no prima di farla. In Monte non si poteva dire: “Ok, due giorni di riprese e il film è finito”. No! Magari pioveva tutti i giorni e questo non si poteva controllare. In Agostino si riflette la mia vita molto ossessiva e determinata. Cerco di esplorare i limiti del mio personaggio per conoscerlo meglio. Se sbaglia, lo riporto indietro e deve riprovare e riprovare. Poi altri lo vedono e dicono: “Ok, è una cosa che si può fare”. Ma questa è una scoperta, all’inizio non lo sappiamo, non si può sapere. Non sappiamo se il sole tornerà, non lo sappiamo finché non succede. Quando succede è magico, è un regalo dall’universo, dalla natura che permette di rendere possibile qualcosa che era impossibile.

Ancora analogie ci sono tra Agostino e il protagonista di Vegas: Based on a True Story. Anche questo tenta un’impresa, cercare i soldi in giardino, che però non va a buon fine.

Amir Naderi: Sì, certamente. Vegas è un film un po’ più tradizionale, è il mio film più tradizionale. È un bellissimo film, ma con Monte dovevo essere più spoglio, senza troppa storia, perché la storia viene dalla natura, dalla luce, dall’atmosfera. Sono molto felice di Monte.

Info
La pagina Wikipedia dedicata ad Amir Naderi.

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