The Forest Maker

The Forest Maker

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Presentato al 40 Bergamo Film Meeting, The Forest Maker è un documentario di Volker Schlöndorff incentrato sulla figura di un agronomo ‘alternativo’ e il suo lavoro di rigenerazione forestale nelle zone aride dell’Africa. Un lavoro a stretto contatto con le popolazioni locali, senza quegli atteggiamenti da pianificatore dell’alto, così come la mdp del grande regista del Nuovo cinema tedesco che si confronta con il cinema locale.

Per fare un albero

Tony Rinaudo ha trovato un modo per far crescere gli alberi nelle zone più aride del Sahel. Un lavoro di decenni che ha assicurato il sostentamento di migliaia di agricoltori in Africa. Il suo metodo, “Farmer Managed Natural Regeneration” (FMNR) ripristina non solo il suolo ma anche la dignità e la speranza. Volker Schlöndorff osserva l’effetto che l’FMNR ha avuto sulla lotta alla desertificazione, spesso imbattendosi in questioni che riguardano anche l’Europa: migrazione, cambiamento climatico, giustizia di genere. [sinossi]

Nella filmografia di uno dei protagonisti del Nuovo cinema tedesco quale Volker Schlöndorff, che inizia nel 1963 e di cui fanno parte capolavori, tanti adattamenti letterari, poco spazio trova il cinema documentario. L’autore ne ha fatti alcuni in chiave di ritratto di figure per lui molto importanti, quali Billy Wilder, il sopravvissuto all’Olocausto Leon Schwarzbaum, il produttore Horst Wendlandt, oppure discutibili come il candidato al Cancellierato Franz Josef Strauss nell’opera collettiva Der Kandidat. Appartiene alla prima categoria The Forest Maker, l’ultima opera di Schlöndorff, presentata in anteprima mondiale al 40 Bergamo Film Meeting, come ideale prosieguo della retrospettiva che la manifestazione orobica aveva dedicato l’anno scorso al regista. La figura che ha catturato l’attenzione del regista è, stavolta, l’agronomo australiano, di origine siciliana, Tony Rinaudo. Vincitore del Nobel alternativo, Rinaudo ha sviluppato un originale, quanto semplice, economico ed efficace, sistema di contrasto alla desertificazione nei paesi africani. Si tratta di proteggere e recuperare radici e ceppi di alberi favorendone la rigenerazione, senza bisogno quindi di piantumare ex novo. Quelli che sembrano cespugli sono in realtà alberi in potenza. La riforestazione e il ritorno alla fertilità dei terreni avvengono così a costi contenutissimi e con la semplice opera di manutenzione locale senza aiuti esterni. Questo metodo è stato applicato con successo in 24 paesi africani e, nel solo Niger, è stato possibile restaurare sette milioni di ettari di terra, favorendo così il ritorno dei contadini espiantati per l’avanzamento della desertificazione. A ciò si aggiungono altre pratiche sostenibili e autoproducibili, come il carbone vegetale, la banca dei semi.

La cosiddetta cooperazione allo sviluppo, che sia governativa o meno, ha storicamente generato mostri, frutto di corruzione ma anche di pianificazioni studiate a tavolino non conoscendo il contesto e le culture locali. Tipico esempio è stato quello di usare alberi di eucalipto, di origine australiana, per la riforestazione in territori africani, perché di crescita veloce, senza stimare la sua necessita di grande quantità d’acqua che viene così sottratta agli usi civili. E il concetto stesso di sviluppo sarebbe da mettere in discussione. Dare il pesce, dare la canna da pesca o insegnare a pescare? È uno dei principali nodi da risolvere nel tema degli aiuti ai paesi considerati poveri, che spesso sono così per lo sfruttamento e il depauperamento delle risorse locali risucchiate dai paesi del Nord del mondo come forma occulta di neocolonialismo. L’approccio di Tony Rinaudo appartiene quindi alla categoria dell’insegnare a pescare, laddove l’agronomo trasmette una pratica non prefabbricata, che valorizza la conoscenza locale e rinsalda il rapporto dei contadini con la propria terra. E soprattutto non si vuole mai porre in un rapporto di superiorità ma si mette allo stesso piano delle popolazioni autoctone. Lo vediamo dialogare con gli abitanti nelle assemblee dei villaggi o chiacchierare con le contadine nei campi.

Schlöndorff, ormai autore apolide, segue Tony Rinaudo, a seguito della folgorazione nell’averlo conosciuto per caso. Racconta le persone dei villaggi del Sahel, la loro cultura, le loro tradizioni come quelle della medicina antica. Tornano tutta una serie di istanze di sostenibilità che sono sempre più percepite come necessarie. Per esempio il ritorno alla coltivazione del miglio, il cereale autoctono africano. E il film si conclude con una suggestiva immagine dall’alto, quella di un grande albero affiancato a un campo coltivato. Simbolo di coesistenza tra natura e coltivazione, contro quella concezione della produttività di ogni centimetro quadrato di terra. Anche Schlöndorff, regista che ha un posto di rilievo nella storia del cinema, si pone sullo stesso piano delle culture locali, compresa quella cinematografica. Segue Rinaudo, chiacchiera con lui con la gente dei villaggi. Inserisce brani di film di cineasti locali, Les larmes de l’émigration di Alassane Diago, Les charbonnieres ed Éloge des mils di Idriss Diabaté; quest’ultimo è un’opera d’animazione a fini didattici. The Forest Maker diventa così anche un dialogo di culture cinematografiche. Un regista come Schlöndorff, che ha affrontato tematiche come quelle del terrorismo e del nazismo, arriva così a occuparsi di discorsi altrettanto fondamentali quali l’equità tra i popoli la coesistenza virtuosa tra uomo e ambiente.

Info
The Forest Maker sul sito del Bergamo Film Meeting.

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