La moglie bugiarda

La moglie bugiarda

di

Screwball comedy tratta da un testo teatrale, La moglie bugiarda di Wesley Ruggles si tramuta in riflessione metalinguistica su menzogna e società dello spettacolo. Reperto anni Trenta di uno degli autori americani più dimenticati. In dvd per Sinister e CG.

Per far fronte a problemi economici, Helen si autoaccusa di un omicidio per farsi difendere in tribunale dal marito avvocato Ken e dare lustro alla sua carriera. Si mette di mezzo però un viscido criminologo, Charley Jasper, che intende ricattare entrambi. [sinossi]

Dal dimenticatoio del cinema classico americano stavolta fa capolino Wesley Ruggles, nome e figura realmente dispersa negli abissi della memoria collettiva. Dopo aver esordito come attore nel muto anche a fianco di Charlie Chaplin, Ruggles si dette alla regia secondo un diffuso principio di eclettismo professionale, prima nel muto poi nel sonoro, nell’ambito della larga industria dello studio system prebellico. Fu diretto da lui il primo western premiato con l’Oscar per il miglior film, I pionieri del West (1930), rifatto poi trent’anni dopo da Anthony Mann con Cimarron (1960).
Della sua pur prolifica carriera, che si arresta a metà degli anni Quaranta per non riavviarsi mai più, si parla molto raramente (più conosciuto è suo fratello maggiore Charlie Ruggles, caratterista di una carriera durata sessant’anni). Viene buona quindi l’occasione dell’uscita in dvd de La moglie bugiarda (1937), edito da Sinister e CG, per tornare in contatto con la sua produzione e riprendere confidenza con uno dei nomi meno celebrati di una più generale idea di cinema dominante in tutto un periodo americano.

La moglie bugiarda è un’ottima occasione anche per rivedere Carole Lombard, Fred MacMurray e John Barrymore, a loro volta vagamente dimenticati per differenti gradi. La Lombard è una pietra miliare della storia del cinema, ma si dubita che la riproposizione dei suoi film raccolga attualmente masse di pubblico davanti alla tv o per la visione di un dvd. MacMurray e Barrymore hanno subito forse una rimozione più marcata, benché il volto (non il nome) del primo sia tuttora riconoscibile e la classe sopraffina del secondo appartenga a una nota dinastia di attori. Tutti e tre agli ordini di Wesley Ruggles per una commedia che può essere agilmente associata alla screwball anni Trenta, sia pure secondo ritmi più classici e meno forsennati rispetto ad altre opere più note e ammirate (basta pensare, e non c’è neanche bisogno di dirlo, al capolavoro Susanna!, 1938, di Howard Hawks, in cui recitò peraltro anche il fratello Charlie Ruggles nell’esilarante ruolo di Applegate).
Ispirandosi a un testo teatrale di Louis Verneuil e Georges Berr, Ruggles narra le vicende di una coppia funestata dalla tendenza naturale della moglie Helen a raccontare frottole. Le bugie della donna sono in realtà spesso funzionali alla sopravvivenza, visto che l’integerrimo marito Ken è un avvocato senza un soldo perché ostinato a difendere solo persone davvero innocenti. Così Helen passa le giornate a tessere fandonie per far fronte ai creditori e per favorire l’ascesa della carriera del marito. Finché non capita l’occasione della bugia colossale che potrebbe risolvere la vita di entrambi sul piano economico: trovatasi per caso invischiata in un caso d’omicidio, Helen decide di accusarsi del delitto per farsi difendere in tribunale da Ken e farsi assolvere da lui, cosicché l’uomo possa costruirsi una solida fama di superbo avvocato e proiettarsi in una brillante carriera. Ci mette però lo zampino un ambiguo criminologo, Charley Jasper, deciso a ricattare entrambi.

Spesso il linguaggio filmico della screwball comedy anni Trenta è preso a mirabile esempio di “classica trasparenza” da studio system americano. In buona parte ciò è confermato anche da La moglie bugiarda, che almeno nella sua prima mezz’ora mostra una netta predominanza di macchina fissa con minimi movimenti (solo quando è necessario, come si soleva dire allora), primi piani o piani americani e lunghe pagine di dialogo.
In realtà il film di Ruggles interviene anche a screditare tali facili approssimazioni storicistiche: resta vero che vige una generale aspirazione alla trasparenza, ma è altrettanto indubbio che La moglie bugiarda si apra ad ampie infrazioni al codice, a cominciare dall’estrema variabilità di set e ambienti, senza disdegnare gli esterni e le relative preziosità fotografiche. Dell’originario impianto teatrale, che ben si sposava alla classica trasparenza, resta visibile la macrostruttura, articolata in tre atti perfettamente definiti con annesso cambiamento di ambienti: il primo atto nell’appartamento della coppia, il secondo in tribunale, il terzo nella lussuosa residenza acquistata dopo il grande successo di Ken come avvocato.
Tuttavia, Ruggles sfugge spesso a tale impianto generale caratterizzandosi per una spiccata varietà d’ambienti che intervallano i principali luoghi narrativi, e soprattutto vivacizzando la messinscena tramite specifiche scelte linguistiche (uno su tutti, il film si apre con un ammirevole dolly ascendente sulle scale rapidamente percorse da Helen per rientrare a casa). Si fugge dalla ripresa in studio anche per ottimi take in esterni, soprattutto nell’ultimo atto sulle rive del lago, con grande mobilità della macchina da presa. Di più: il testo teatrale de La moglie bugiarda si traduce anche in brillante occasione per riflettere sul cinema e la messinscena, tramite giochi di mise en abyme agilmente evocati dalla dimensione della bugia, che trova la sua massima vertigine nella ricostruzione dell’omicidio durante il processo.
Ken ed Helen si ritrovano infatti a dover riagire in tribunale la dinamica del delitto, allestendo un mini-palcoscenico con tanto di porta finta. In quella mirabile sequenza si aprono vertiginosi livelli di finzione nella finzione, non a caso collocati nel contesto dell’aula di tribunale, luogo a sua volta decisamente assimilabile al teatro o al cinema (c’è un pubblico, la ricostruzione di un fatto, l’enfasi spettacolare di testimoni che si presentano al banco con il loro carico d’emotività in funzione di una catarsi collettiva).

Il pluri-livello è dato anche dall’incrociarsi di verità e finzioni non equamente distribuite nei saperi dei personaggi messi in gioco. Perché Ken crede davvero colpevole la moglie e vuol trasformare il processo in perorazione della causa femminile, mentre Helen sa di essere innocente e si trova a dover recitare le dinamiche di un omicidio inventandosele di sana pianta. A suggellare l’evidente gioco metalinguistico interviene l’avvocato d’accusa, che sbotta con un chiarissimo “Chiudete il sipario!” guardando in camera e denunciando così una volta di più la convenzione della messinscena.
Il metalinguismo de La moglie bugiarda, che a ben vedere riguarda molta screwball comedy anni Trenta, non rimane tuttavia confinato a puro gioco autoreferenziale, ma si apre a una più ampia riflessione sulla messinscena e la sua etica, puntando il dito sulle proditorie manipolazioni dell’apparenza per i più diversi scopi. In qualche modo Wesley Ruggles finisce per denunciare le mistificazioni di una società che si trasforma in società-spettacolo, identificando nel grande show dei processi penali una prima forma d’intrattenimento di massa di facile strumentalizzazione per cause altre. Collocandosi in un arguto sentimento ambiguo tra proto-femminismo e misoginia, tipico della screwball comedy, La moglie bugiarda vede infatti il tentativo di trasformare un processo in occasione di denuncia degli abusi e delle discriminazioni sul lavoro a cui la donna è sottoposta. Peccato però che non sia vero, che sia tutta una bugia di Helen, e che ciononostante Ken riesca a ottenere l’assoluzione per la moglie soffiando proprio sulla riprovazione morale della giuria per un datore di lavoro che, con le sue pesanti avance, ha condotto una donna all’omicidio. È la parola, la sua manipolazione come primario strumento di apparenza, e più in generale tutto l’armamentario dello spettacolo cine-teatral-tribunalizio ad aver persuaso i giurati di ciò che è accaduto. Ma non è accaduto.

In ambito più largamente culturale, il film di Wesley Ruggles porta su di sé i segni del proprio tempo, in un territorio di ambigua consapevolezza. Molta commedia americana di quegli anni racconta anche in filigrana l’epoca del New Deal rooseveltiano, dove lo scontro con le difficoltà economiche e le tortuose risalite dalla Grande Depressione fungono spesso da motore narrativo (Helen mente soprattutto per far fronte ai debiti e alla faticosa carriera del marito). Non si tratta mai di cinema impastato con la contingenza nell’ottica di presa diretta sul reale, ché anzi la rappresentazione resta sovente adagiata nella tradizione della commedia autoconclusa e il profilmico è solitamente ricco e lussuoso, lontano anni luce da qualsiasi idea di “realismo”. Ma il marchingegno di commedia prende spesso le mosse da un conflitto legato al denaro, al benessere, alle difficoltà in ambito lavorativo. Poi da lì si dipana la “palla pazza” di un racconto che si sa dove inizia e non si sa dove finisce, prendendo a schiaffi sorridenti qualsiasi principio di realtà e seguendo gli infiniti paradossi di una logica rovesciata. Accusarsi di omicidio a fin di bene. Mentire per il meglio. Difendere la moglie in tribunale credendola colpevole e spacciandola per vittima di molestie. Con l’apparenza di innocente commedia, La moglie bugiarda conserva retrogusti feroci e corrosivi perfettamente in linea con le tendenze americane del tempo. D’altra parte, nessuno è innocente. Men che meno gli innocenti.

Curiosità: nei panni della cameriera di colore troviamo Hattie McDaniel, appena due anni prima di vincere l’Oscar per il ruolo della Mamy in Via col vento.

Extra
galleria fotografica.
Info
La moglie bugiarda sul sito della CG Entertainment.
  • La-moglie-bugiarda-1937-True-Confession-recensione-01.jpg
  • La-moglie-bugiarda-1937-True-Confession-recensione-02.jpg
  • La-moglie-bugiarda-1937-True-Confession-recensione-03.jpg
  • La-moglie-bugiarda-1937-True-Confession-recensione-04.jpg

Articoli correlati

Array