Jess + Moss

Jess + Moss

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Non mancano le idee all’esordiente Clay Jeter, che con Jess + Moss cerca di raccontare la solitudine adolescenziale e i primi turbamenti sentimentali; peccato però che il suo stile non riesca a scendere in profondità, e a spingersi più in là della semplice intuizione iniziale. Al Torino Film Festival.

L’estate del nostro scontento

Jess ha diciotto anni e suo cugino di secondo grado Moss ne ha dodici. Vivono nelle piantagioni di tabacco del Kentucky rurale occidentale, privi del sostegno delle loro famiglie e della compagnia di amici della loro età: possono solo contare l’una sull’altro. Nel corso dell’estate intraprendono un’avventura che li porterà a confrontarsi con i loro più profondi segreti e le loro speranze, ma anche con l’isolamento, la solitudine e l’incertezza del domani. [sinossi – Torino Film Festival]

Sembra davvero una costante in questa edizione del festival, specie nella sezione Festa Mobile, trovarsi davanti una desolata e poco urbanizzata provincia americana in cui si muovono i protagonisti di questi racconti. Ne è un ulteriore prova Jess + Moss dell’esordiente Clay Jeter, con la sua ambientazione campagnola nelle badland del Kentucky, tra aride praterie, case da vecchio far west con sedia sulla veranda, silos di grano e poche strade asfaltate. Un’altra costante, che però più che pensarla come scelta unidirezionale dei selezionatori del festival è in realtà una cifra poetica del cinema indie americano, è la presenza di adolescenti al centro della trama. A sintetizzare quest’atmosfera di cinema estremamente indipendente (e low budget) è lo stesso regista che afferma: “i protagonisti del mio film sono tre: un ragazzo, una ragazza, il paesaggio intorno a loro”.

Tuttavia, rispetto ad esempio al bel racconto di formazione in The Dynamiter di Matthew Gordon, ad una tematica simile corrisponde uno stile completamente diverso. Nel narrare la strana amicizia tra i due cugini (alla lontana), Jeter sceglie la strada della frammentazione, del racconto emotivo che si basa su un allontanamento dalla temporalità dell’azione. Un’operazione molto particolare, in cui innanzitutto la scommessa si basa sullo spazio tra i personaggi: i due ragazzi sono infatti gli unici abitanti in un paese che sembra la classica città fantasma dove non vive nessun altro, in cui le case sono fatiscenti e semicrollate lasciando nel caos mobilia e oggetti che segnano la traccia di chi vi abitava precedentemente. Presto si capisce che l’intento è quello di metaforizzare un’estate infinita e il senso di sospensione delle cose che furono nell’età adolescenziale, quella in cui la vacanza estiva è spesso la scoperta di molte esperienze vitali. Più che un immaginario postapocalittico che il cinema ha spesso codificato, Jess + Moss pare cercare il proprio sè in ambiti diversi che rimembrano teen movie alla Stand By Me, ma con una deriva nettamente meno avventurosa e più intimista. Il microcosmo che Jeter ricrea, a mano a mano diventa a noi riconoscibile solo in virtù della descrizione dei personaggi: lei diciottenne proiettata idealmente dopo l’adolescenza con un certo desiderio romantico, lui dodicenne totalmente immerso negli scherzi, ma anche con l’ambizione di capire materialmente che cos’è il mondo intorno a lui. Entrambi però fatalmente segnati dal vuoto della perdita dei genitori, di cui non viene spiegato nulla lasciando che il realismo non intacchi la natura emotiva del film (con buona pace di chi si aspetta che prima o poi ciò venga reso comprensibile). L’impossibilità di vivere come ragazzi normali, di avere una guida adulta che possa insegnare come coltivare i propri desideri – aspetto da vedere chiaramente come una metafora di ogni adolescente – li porta in un corto circuito che ricorda molto il bel film di Andrew Birkin Il giardino di cemento, in cui fratello e sorella, scomparsi i genitori, vivono da soli e pian piano finiscono per diventare amanti non conoscendo tabù della nostra società come l’incesto.

Jess + Moss si ferma invece prima, assecondando in parte i primi pruriti, forse più sentimentali che erotici, ma lasciando che vengano sopraffatti dal senso di sconfitta e di disillusione dovuto alla condizione di ragazzi abbandonati da tutti, che da soli non bastano a loro stessi per rendersi felici. Questi concetti, uniti al sentimento di nostalgia che chiaramente attraversa tutta l’opera (nostalgia anche di generazioni passate, o di un’ America rurale, originaria, staccata dal progresso come quella che Faulkner descrive nei suoi romanzi), hanno però il difetto di chiudere troppo il film in sè stesso, stesso fatale destino dei suoi personaggi. Il tempo sospeso si trasforma in una ciclicità di azioni sempre simili tra loro, soprattutto nel catalizzare il passato e il ricordo tramite un registratore che entrambi ascoltano tra un gioco e l’altro, unica testimonianza di un mondo precedente a loro. La carne al fuoco è tanta, ma come cantava Gaber “un’idea è soltanto un’idea, solamente un’astrazione…”, e Jess + Moss sembra – per sintetizzare – il classico film sulla carta affascinante e pregno di contenuti ma che non riesce a rendersi davvero vitale ed efficace nella sostanza. Una suggestione che va a vuoto e si affloscia anche se non completamente, non certo per mancanza di originalità o ispirazione, quanto per un esperimento cinematografico in cui coraggiosamente si parte con molte idee senza sapere di preciso cosa ne verrà fuori. Ma è probabilmente l’atteggiamento giusto, specie per un autore esordiente.

Info
Jess + Moss sul sito del TFF.

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