Intervista a Justine Triet
Tra le figure più interessanti del nuovo cinema francese, Justine Triet dopo il folgorante esordio con La bataille de Solférino ha portato alla Semaine de la Critique a Cannes 2016 la sua opera seconda, Victoria. L’abbiamo intervistata per l’occasione.
Vi sono diverse similitudini a livello di trama tra i tuoi due primi film. Ne La bataille de Solférino c’era già in scena come protagonista una donna che lottava per assicurarsi una posizione professionale e la cui vita privata andava a mischiarsi inevitabilmente con il lavoro. E così accade anche in Victoria.
Justine Triet: Sì, è vero, ma nel caso di Victoria volevo concentrarmi di più sui personaggi, magari anche riprendendone solo alcune caratteristiche e cercando allo stesso tempo di approfondirle. Ne La bataille de Solférino c’erano una situazione e un’idea molto differenti [il piano reale delle elezioni presidenziali francesi si mischiava con quello fictionale dei personaggi, n.d.r.], mentre in Victoria volevo descrivere il percorso di una donna, interpretata da Virginie Efira. E dunque, ad esempio, ho concepito il film in modo tale che man mano che si andava avanti con la narrazione, si finivano per scoprire delle cose intime della protagonista e lei stessa si trovava a ragionare su se stessa insieme allo spettatore. Emergono infatti aspetti del suo carattere e della sua personalità che vengono confermati o meno dagli analisti da cui va e dagli amici con cui parla, e attraverso i quali capisce se quel che lei pensa di sé è vero oppure no. Quindi si mette in scena un ripensamento costante della sua vita. E poi il punto da cui sono partita per lavorare su Victoria era completamente differente da La bataille de Solférino: in Victoria, seguendo parzialmente lo schema delle commedie sentimentali, intendevo lavorare in contemporanea sulla fine di una storia d’amicizia e sulla nascita di una storia d’amore. È questa la genesi del progetto: l’amico, che lei difende come avvocato dall’accusa di omicidio, e insieme il suo ex, che fa il blog su di lei, sono le persone da cui lei si allontana; mentre allo stesso tempo – accanto alla fine di questi rapporti – si ha l’apparizione di un giovane uomo, un po’ candido e naïf, che la aiuta a mettere ordine nel suo caos.
E comunque dal punto di vista formale i tuoi due primi film sono invece molto differenti. La bataille de Solférino è frenetico, esagitato, sempre sopra le righe, mentre Victoria è più posato, con un ritmo e una messa in scena più calibrati.
Justine Triet: Beh, intanto per Victoria avevo più soldi, e anche più tempo. E quando si ha più tempo al cinema significa necessariamente che hai più soldi. Dunque ho potuto lavorare con cura sulla costruzione dell’immagine, sui colori dell’appartamento e del tribunale, sul décor. Rispetto a La bataille de Solférino, in questo film mi sono molto concentrata sulla messa in scena. E dunque è andata a finire che Victoria è più classico nella forma e nella struttura, ed è esattamente quello che volevo. Io credo che l’aver inserito in questo mio secondo film il codice della commedia mi abbia permesso di andare più a fondo nella descrizione dei personaggi, di essere più dura e più crudele nei loro confronti. E dunque ho la sensazione al momento di non voler più fare film – come dire – naturalisti, film che lavorano su un grado zero della scrittura, come era La bataille de Solférino. Il codice della commedia, se vuoi anche quello della commedia sentimentale, mi ha permesso di distanziarmi un po’, di guardare un po’ più dall’alto i personaggi, ma allo stesso tempo di avere uno sguardo più crudele su di loro. Comunque, la commedia sentimentale ho provato a decostruirla attraverso il côté amorale. Ad esempio nel film si parla tantissimo di sesso, in modo quasi ossessivo. Persino in tribunale è oggetto di indagine, a partire dalla foto in cui si parla delle mutandine. Eppure il sesso – sia pur impostato in modo amorale – non viene mai mostrato, per un discorso di freni inibitori di Victoria, di sua stanchezza e confusione. E, attraverso la parola sul sesso, va a finire che il privato di Victoria esplode ovunque, dal blog gestito dal suo ex all’aula del tribunale.
In Victoria c’è un personaggio, che è quello di Nico, che si installa in casa della protagonista e le fa da assistente-factotum.
Justine Triet: Sì, ed è quello uno dei modi per portare il piano privato su quello pubblico, visto che in pratica abbiamo un ‘osservatore’ in casa di Victoria. Che poi, naturalmente, Nico nel suo ruolo è anche un alter ego dello spettatore. Infatti mi piace sempre quando nei film, in una situazione data, un nuovo personaggio entra a far parte di un ambiente. È un meccanismo semplicissimo, eppure sempre efficace, perché attraverso di lui allo spettatore risulta più facile approcciarsi al mondo che si vuole raccontare. Questa funzione che ne La bataille de Solférino era rappresentata dal personaggio interpretato da Vincent Macaigne – che era l’ex della protagonista e irrompeva con violenza nel contesto – qui invece è incarnata da Nico, interpretato da Vincent Lacoste, che entra nel mondo di Victoria in maniera più dolce, ma non meno disturbante secondo me. Lo è perché, al di là del suo presentarsi in modo ingenuo e naïf, ha invece delle ambizioni, anche sessuali, su Victoria. Aspetti che riesce a nascondere fino ad un certo punto.
Si può dire che il tema del controllo, del tentativo di controllare una situazione, è il tema di Victoria, come anche del resto di La bataille de Solférino?
Justine Triet: Ah, beh, assolutamente. Sì, l’idea di dover superare degli ostacoli e di saper gestire gli inconvenienti…per me è tutta una questione di negoziazione. L’idea che tutto è negoziabile, dai rapporti più intimi a quelli lavorativi, dalle situazioni più complesse a quelle più semplici, mi appartiene profondamente. E per questo motivo la mia ipotesi è che tutto debba rientrare nella commedia, vale a dire che questo elemento della negoziazione – molto materialista – può passare solo attraverso i codici della commedia. Sarebbe terribile se non fosse così. Sarebbe insostenibile. Che cosa sei disposto a fare per l’amico in difficoltà? Cosa pensi di poterti concedere nel momento in cui ti innamori? E così via. Perciò era inevitabile che l’ultima parte fosse ambientata in tribunale… Sì, il film parla proprio di questo: la gestione dei sentimenti, del sesso, e di tutto quanto.
Ti sei diplomata a l’École nationale des beaux-arts. Hai fatto quindi un percorso formativo non direttamente cinematografico. Come influisce la tua formazione artistica nel tuo cinema?
Justine Triet: Non mi sono mai veramente sentita al mio posto lì dov’ero. Quando studiavo a Les Beaux Arts facevo pittura e mi sono sempre sentita una pessima pittrice, mentre invece mi dava molto più piacere lavorare al montaggio. C’era comunque una grande libertà lì. Ma mi sentivo poco stimolata e anche un po’ annoiata. Quindi appena ho potuto ho cominciato a fare dei documentari. Poi li ho portati a un produttore, Emmanuel Chaumet. Vedendoli, lui mi ha detto: “Tu dovresti fare della finzione, e dovresti girarla come se facessi dei documentari”. Ho seguito il suo consiglio e ho cominciato a fare della finzione in un modo molto strano, visto che nessuno mi ha insegnato come si deve girare, come si lavora sull’asse, eccetera. E questo aspetto credo che mi abbia fornito una libertà espressiva, che sento molto mia. Probabilmente è anche per questo che amo molto mettere insieme in scena attori professionisti con attori non professionisti. Non è certo una novità nella storia del cinema, però la loro presenza – degli attori non professionisti – mi dà un senso di libertà in più, mi consente di sentirmi libera io stessa. E poi comunque, allo stesso tempo, tutto questo percorso mi ha portato a far crescere in me il desiderio di avere delle limitazioni, un certo tipo di limitazioni, e di lavorare all’interno di forme più inquadrate, che è un po’ quello che mi è successo con Victoria. Naturalmente, qualcosa mi è rimasto degli studi a Les Beaux Arts, ma più nell’ambito della percezione visiva, di come riprendere un viso. E, in ogni caso, è difficile auto-analizzarsi sotto questo aspetto.