Thunderbird

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Presentato in prima mondiale a Udine al 24mo Far East, Thunderbird cerca di offrire una variante agli stilemi dell’action coreano, ragionando su una società violenta e basata solo sul denaro in cui tutti sono debitori e creditori, e nessun rapporto può essere realmente di fiducia. Un esordio ancora immaturo, privo di particolari guizzi stilistici e narrativamente un po’ confuso, che dimostra tuttavia un reale tentativo di smarcarsi dalle prassi dell’industria locale.

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I soldi che servono al teppistello Tae-min per pagare i debiti di gioco sono a portata di mano, proprio nella sua auto, la Thunderbird. Peccato che questa sia stata impegnata e il ragazzo coinvolge la sua ragazza e il fratello tassista nel tentativo di recuperare macchina e denaro. [sinossi – FEFF 24]

Campeggia sin da subito sul parabrezza l’adesivo Thunderbird, mentre la Audi A4 sfreccia in autostrada verso il monte dei pegni dove l’esattore al volante potrà incassare almeno parte del debito di gioco di Tae-min, pesto e drogato in semi-incoscienza sul sedile posteriore. Si risveglierà su un divano sconosciuto con una ricevuta in tasca, non più proprietario della sua macchina né della grossa vincita in denaro presumibilmente ancora a bordo della vettura, con la necessità di ritrovarla e di riscattarla – «Non ci si compra un’auto coi soldi, ma con il coraggio» – prima che qualcun altro trovi le banconote al suo interno. Eppure non è certo Tae-min l’unico indebitato nella mefitica cittadina di Jeongseon, piccolo borgo fra le montagne in cui tutto ruota intorno al locale Casinò, unica attrazione in mezzo al nulla o peggio alla violenza intrinseca di un microcosmo di usurai, vittime ed esattori. Lo è anche suo fratello Tae-gyun, con la sua mano fasciata dopo essere stato “avvertito” e sempre attaccato al cellulare anche mentre è alla guida del suo taxi per chiedere proroghe di almeno qualche ora, che deciderà di aiutarlo molto più per recuperare il proprio credito con Tae-min e poter così saldare il proprio debito che per solidarietà familiare. Ma più probabilmente è tutta la città, a ritrovarsi in mano agli strozzini. Una società in cui tutti devono soldi a tutti, in cui la paura e lo sconforto dissolvono ogni confine e remora fra la verità e la menzogna, in cui tutti sono al contempo debitori e creditori, vittime e carnefici, martiri e mandanti. Una comunità in cui non può più esistere reale fiducia, ma solo rapporti di forza e inganni, solo reciproche convenienze, solo spalle al muro e scelte disperate. Solo persone da usare, anche fra amici, anche fra fratelli, se necessario anche fra fidanzati, per lo meno fino a quando non se ne renderanno conto e decideranno di prendersi la macchina e fuggire. Una lettura sociale in cui nessun personaggio può essere del tutto innocente, ma è necessariamente ambiguo e in penombra, contraddittorio nei toni di grigio dei suoi quasi inevitabili dissesti finanziari, travolto da eventi e giri criminali troppo più grandi di lui, perseguitato da qualche esattore e parallelamente mandante di altri esattori per riscuotere i crediti propri. È in questa totale impossibilità di distinguere buoni e cattivi che, dopo più di un quarto di secolo di produzioni di genere coreane e in mezzo a sempre più opere che sembrano conseguentemente adagiarsi in qualche modo sull’alto livello tecnico quella macchina ormai perfettamente oliata che è l’industria cinematografica locale, l’esordiente regista Lee Jae-won sembra volersi smarcare dagli stilemi e dalle prassi dell’action per virare su una personale rotta parallela, meno prorompente ma decisamente più politica e sociale del prodotto medio, meno adrenalinica ma con la reale aspirazione di cercare una via differente e il più possibile originale all’interno del mainstream. Con un film che parte da una situazione disperata e che costantemente insiste nel farla ulteriormente precipitare, lungo una notte di scelte obbligate che si rivelano sempre più sbagliate, e si ramificano sempre più gravi in un’escalation apparentemente irrefrenabile di colpe e rimorsi.

Semmai il problema di Thunderbird, presentato in prima mondiale sul grande schermo del Teatro Nuovo Giovanni da Udine al 24mo Far East, è che alle pur chiare aspirazioni del promettente Lee Jae-won sembra mancare ancora la maturità necessaria per riuscire a gestirle a dovere. Tanto dal punto di vista della mera narrazione, con la carne al fuoco che alla lunga si fa probabilmente troppa e con la scelta di procedere per strappi e ripetuti ritorni fra le sottotrame che diventa via via sempre più esacerbata e confusionaria fra i fugaci incontri un po’ troppo smaccatamente funzionali e le reazioni sempre più eccessive e non sempre giustificate dal contesto, quanto da quello formale e linguistico, con quei montaggi alternati dei temporanei dividersi dei personaggi che finiscono per affastellarsi troppo caotici perdendo ben presto d’efficacia, e trascinando in qualche modo il film al centro di quello stesso labirinto di volti e situazioni ordito per lo spettatore. Fino a ritrovarsi a tratti smarrito fra le sue diverse direzioni non sempre convergenti, apparentemente in difficoltà nel riprendere le proprie stesse fila per tornare sulla strada maestra. Eppure, paradossalmente, è anche dai motivi della sua non completa riuscita che emergono gli spunti di interesse di Thunderbird e il talento, ancora acerbo ma potenzialmente interessante, del suo regista. Proprio per il suo non rinunciare in partenza al tentativo anteponendolo all’esito, per la sua capacità di scartare e prendersi dei rischi, rifiutando il prêt-à-porter di un film pedissequo al suo genere per mettersi all’ostinata ricerca di ambizioni, soluzioni e modalità diverse. Con una regia che, pur priva di particolari intuizioni formali o sussulti tecnici, è tutto sommato già più che solida nella sua macchina a mano e nei suoi inseguimenti, nella sua fotografia notturna di tagli di luce dal basso e nei suoi rapidi controcampi, o ancora nella scelta di cosa sia necessario mostrare e che cosa sia sufficiente far intuire quando la macchina da presa segue l’usuraio lasciando fuori campo la carica a testa bassa e «senza cuore» del poco brillante nipote esattore, da bullizzato ai tempi di scuola a bullo di professione. Il resto è una continua corsa avanti e indietro per la città, tutto in una notte fra inganni, inseguimenti e ruote bloccate nella sabbia, ubriachezze moleste e risse sfiorate con chi è accorso in aiuto, ricevute illeggibili e bonifici, telefonate disperate e chiavi da recuperare o riportare al monte dei pegni, garage chiusi e cifre non corrispondenti su cui nuovamente indebitarsi, incidenti inaspettati e raptus improvvisi di cui pentirsi, ore che passano e dita che rischiano sempre più di essere amputate. Ma soprattutto soldi da trovare disperatamente, da farsi prestare a costo di qualsiasi interesse e sigillo, da (tentare di) rubare o magari da gonfiare di uno zero che non esiste per farli risultare più appetibili a chi potrebbe aiutare a recuperarli, mentre il denaro continua imperterrito a regolare ogni rapporto di potere e di (falso) equilibrio di una società iniqua e contraddittoria, in cui (quasi) tutto è mercificato e si può facilmente comprare. Anche il silenzio di un’aggredita per sbaglio nella colluttazione è in vendita e c’è semplicemente da contrattare sui costi, anche un appuntamento con la donna del debitore che la implora di accettare è considerato alla stregua di una transazione o di un interesse, ed è ovviamente acquistabile pure una spedizione punitiva nei confronti del proprio stesso fratello, asfissiati dall’altra parte dai propri debiti personali e dagli esattori alle calcagna. Solo la dignità sembra essere rimasta ancora senza prezzo. Quella delle donne, di In-sook disposta ad aiutare Tae-gyun con chiavi e cerotti ma non in silenzio, e soprattutto quella di Mi-young (ormai ex) fidanzata di Tae-min che finalmente sfreccia via dai due fratelli e da una città irrecuperabile al volante proprio della Thunderbird. L’unica possibile salvezza, con ogni probabilità. Di certo il momento della definitiva autodeterminazione, il solo e unico istante in cui sono le storture della società – e non l’essere umano – a conoscere almeno per un attimo la sconfitta.

Info
Thunderbird sul sito del Far East.

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