Manolescu

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Presentato nella sezione Il canone rivisitato delle Giornate del cinema muto di Pordenone, Manolescu – Der König der Hochstapler, del 1929, è una delle trasposizioni per il cinema del romanzo di Hans Székely ispirato alle memorie delle gesta di George Manolescu, grande truffatore rumeno le cui leggendarie imprese tenettero banco a cavallo tra il XIX e il XX secolo. La regia del dissidente ucraino Viktor Tourjansky è ricca di preziosismi, non a caso il cineasta aveva lavorato con Abel Gance. Una quanto mai ammaliante Brigitte Helm interpreta la femme fatale Cleo, mentre nei panni del truffatore galantuomo troviamo un immigrato russo, Ivan Mosjoukine, protagonista dell’effetto Kulešov.

Cleo da mezzanotte in poi

Le gesta e gli amori di George Manolescu, playboy parigino di origine rumena, che si mantiene nell’alta società insieme alla compagna Cleo, con un’attività di truffatore gentiluomo. Il suo rivale in amore, Jack, arriverà quasi a ucciderlo. E lui troverà conforto in ospedale con l’infermiera Jeanette, con la quale cercherà una redenzione vivendo con lei una vita semplice tra le nevi di una baita in montagna. [sinossi]

Si inizia a Parigi, con la torre Eiffel che campeggia e una carrellata verso il basso che arriva a mostrare un clochard su una panchina, di notte durante la pulizia delle strade. Non di un film di realismo sociale si tratta, perché subito dopo ci trasferiremo nella vita dell’alta società che si snoda tra ricevimenti di lusso, locali notturni, quartieri illuminati dalle insegne al neon. Ma quell’immagine genera subito un senso di divario sociale di una classe di parassiti. Così comincia Manolescu – Der König der Hochstapler, film tedesco del 1929, produzione Ufa, presentato nella sezione Il canone rivisitato della 41° edizione delle Giornate del cinema muto di Pordenone. Il film è uno dei tanti adattamenti, il secondo per la precisione, del romanzo di Hans Székely che racconta vita, amori e avventure, basandosi sulle sue stesse memorie, del grande truffatore gentiluomo George Manolescu, protagonista della vita mondana durante la Belle Époque. Ne è regista profugo ucraino Viktor Tourjansky, fuggito dai bolscevichi, che scrittura come protagonista Ivan Mosjoukine (conosciuto anche con la traslitterazione Mozzhukhin), celebre attore, pure immigrato dalla Russia, noto come corpo dell’effetto Kulešov. La fascinazione del film si gioca sulla figura della sensuale maliarda Cleo, una quanto mai conturbante, voluttuosa e sinuosa Brigitte Helm, che è divisa in amore tra Manolescu e il galeotto Jack, dal corpo tozzo e sgraziato di Heinrich George, il capo degli operai di Metropolis, colui che fu costretto ad abiurare l’ideologia marxista per partecipare a infami film di propaganda nazista. A sua volta il grande truffatore troverà redenzione nell’amore e nella vita semplice di montagna, in mezzo alla neve, dell’infermiera Jeanette, interpretata da una genuina Dita Parlo.

Manolescu – Der König der Hochstapler è un tipico film sofisticato, tra dramma sentimentale ed elegante storia di malaffare alla Leblanc. Non a caso il reale protagonista, George Manolescu, sarebbe stato a breve trasposto, con il nome storpiato di Gaston Monescu, da Lubitsch in Mancia competente (Trouble in Paradise). Le vicende si snodano tra Parigi, Monte Carlo, con brevi passaggi anche a New York e Roma. Manolescu e Cleo si muovono tra cene eleganti di una sfarzosa alta società, vita notturna, grandi e lussuosi alberghi, casinò, teatri con spettacoli circensi o acrobatici con ballerine calate dal cielo con ombrelli e palloncini. La struttura narrativa si gioca sulla specularità dei due personaggi, entrambi snodo di incroci amorosi. Cleo si divide tra George e Jack, due prototipi maschili agli antipodi, mentre si invaghisce leggiadramente sorridendo a un uomo durante un party, con George che vede la propria fine nel di lei viso, direbbe Lucio Battisti. Lui riscatta quella vita dissoluta e disonesta in ospedale, innamorandosi della dolce infermiera Jeanette, con cui andrà a vivere una vita semplice, isolata in campagna, trovando l’epilogo della propria vita libera nell’atmosfera ancora natalizia di una festa di capodanno in famiglia.
Viktor Tourjansky, reduce dall’assistenza alla regia di Abel Gance per il Napoléon, si avvale della fotografia di Carl Hoffmann, collaboratore di Lang e Murnau. Non devono quindi stupire certi preziosismi tecnici, come quello della scena onirica di George, che sogna di essere processato davanti a una giuria severa fotografata in negativo, con il suo solo controcampo in positivo, che prefigura la fine della sua carriera da giocatore del crimine. C’è poi quel movimento rotatorio della mdp che finisce nel giro vertiginoso di una roulette, segno del gioco vorticoso in cui è risucchiata la vita dei protagonisti.

A sancire il decollo della carriera di truffatori dei due protagonisti, il loro ingresso in una porta girevole, reminescente ovviamente de L‘ultima risata (Der letzte Mann). Nella parte finale la mdp entra nella baita attraversando le vetrate della finestra. Niente di nuovo, basta togliere i vetri della finestra simulando che ci siano. Ma qui all’avvicinarsi della camera al vetro, che poi sarà superato, si vedono effettivamente, e inspiegabilmente, dei riflessi. Solo Mel Brooks era riuscito a rompere le vetrate di una villa in Alta tensione.

Info
Manolescu sul sito delle Giornate del Cinema Muto.

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