Andriesh

Opera prima in lungometraggio di Sergej Parajanov realizzata in coregia con Jakiv Bazeljan, Andriesh è una fiaba popolare che rivendica la potenza dell’immaginazione come atto di (r)esistenza nei confronti della cultura ufficiale. Una gioia per gli occhi dispiegata su meravigliosi cromatismi. Al Festival del Cinema Ritrovato 2024 di Bologna per la sezione Paradžanov 1954-1966: rapsodia ucraina.

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Portando in giro il proprio gregge, il pastorello Andriješ incontra il leggendario Vojnovan, eroe locale che di lì a poco deve vedersela con il crudele Uragano Nero. Approfittando di un momento di danza collettiva l’Uragano Nero rapisce infatti la bella Liana e minaccia l’intera comunità. Per Andriješ ha inizio un’avventura in mezzo a mille meraviglie e magie, nel tentativo di sconfiggere il malefico nemico, dotato di poteri sovrannaturali, che si è arroccato in un cupo castello…

Realizzato in coregia con Jakiv Bazeljan, Andriesh (titolo internazionale di Andriješ | Andrieš, 1954) è il primo lungometraggio di Sergej Parajanov ma è anche un remake. Lo stesso soggetto era stato infatti alla base del film di diploma con il quale Parajanov aveva concluso la propria esperienza formativa al VGIK (l’Università statale pan-russa di cinematografia S. A. Gerasimov), un cortometraggio dal titolo Moldavskaja skazka (Fiaba moldava) a oggi andato perduto. Dalle note di catalogo del Festival del Cinema Ritrovato 2024 di Bologna, redatte da James Steffen, si apprende che nel corto originario Parajanov aveva costruito un grande pupazzo destinato a rappresentare il protagonista Andriješ integrandolo con riprese dal vero, secondo un’idea di combinazione ardita fra realtà e artificio. Rispetto a tale impostazione Andriesh mostra un progetto cinematografico e una realizzazione meno spericolati, che conserva comunque un’incredibile carica visionaria e immaginifica. Sia Moldavskaja skazka sia Andriesh si ispirano alla medesima fonte letteraria, il poema narrativo Andriješ composto dal moldavo Emilian Bucov nel 1946. Malgrado la realizzazione in coregia, pare che la progettazione e realizzazione del film siano da attribuirsi in larga parte a Parajanov. Fin dalla scelta del soggetto Andriesh palesa in effetti una certa consonanza con l’universo creativo dell’autore armeno/georgiano/ucraino. Se infatti nella successiva produzione artistica di Parajanov si rintracciano vibranti ispirazioni di rivendicazione culturale per le minoranze schiacciate dal panrussismo sovietico, d’altro canto già in questa preziosa opera prima è dichiarato un primario interesse per il folclore, le leggende popolari, la tradizione di narrazioni locali alternativamente tramandate in forma scritta o orale. Realizzato negli studi cinematografici di Kiev, Andriesh affonda in un humus etnografico tramutato in splendente fiaba dai meravigliosi cromatismi. L’uomo è cultura; è la propria intima cultura, alimentata e raccolta dal naturale tramandarsi di racconti di generazione in generazione. È probabile che anche il medesimo poema di Bucov mescolasse diversificate ispirazioni ricavate dalla messe sconfinata di racconti popolari che a varie gradazioni irrobustiscono e identificano culture a ogni latitudine.

D’altro canto il film di fiaba è una presenza costante nella cinematografia sovietica, generalmente approvata anche dalle istituzioni artistiche dell’URSS, sempre molto restie a lasciare margini di libertà rispetto al pensiero unico del Realismo Socialista. In tal senso Parajanov e Bazeljan sembrano aderire a un genere popolare e codificato nel cinema sovietico, conducendo anzi una lieve opera di normalizzazione nei confronti della fonte letteraria – sempre James Steffen fa notare che «nel poema la migliore amica di Andriješ è una pecora parlante […], mentre il cattivo è un dragone con sette teste». È altrettanto vero, del resto, che sia pure all’interno di un genere mediamente ben accolto dalle autorità istituzionali Parajanov mostra da subito una predilezione per il racconto visionario di magie e meraviglie, tenendosi immediatamente ben lontano dalle strettoie espressive del realismo di regime. La sua personalità già si afferma nella scelta di dedicarsi ad altro, con evidente presa di distanza dal cinema fatto di regole scritte e non scritte. Andriesh propone innanzitutto un racconto archetipico di maturazione e coming of age di un protagonista bambino attraverso una serie di avventure magiche e misteriose. È un coming of age, una quest e un viaggio dell’eroe. Il piccolo eroe è un pastore, appartiene agli umili, con immediata adesione al popolo rurale e al suo enorme bagaglio di credenze e suggestioni. Andriješ ha anche un mentore, Vojnovan, un eroe adulto, visto come un modello da imitare e seguire. Forte di un uso prodigioso delle sconfinate risorse espressive del colore, Parajanov evoca un universo popolare in cui il magico cammina costantemente al fianco della realtà razionale. Il rito popolare contiene esso stesso un legame immediato con la magia e con il sacro. Così, musica e danza, elementi fondanti di qualsiasi cultura popolare, si tramutano in varco per altri universi – è proprio durante una danza collettiva in cerchio che si palesa il malvagio Uragano Nero, che porta via con sé la bella Liana. D’altra parte il flauto protagonista conserva a sua volta poteri magici, e significativamente, fra le malefatte perpetrate dal cattivo di turno vi è anche il furto della musica ai danni della comunità protagonista – la musica e la danza sono elementi d’espressione intimamente connaturati all’anima di un popolo, specifico strumento d’identità culturale e di comunicazione con il sacro; privare il popolo di essi è derubarlo di se stesso. Uragano Nero imprigiona non a caso le proprie vittime tramite il sortilegio della pietrificazione, altra forma di spegnimento della vita negli esseri umani.

Dal primo intervento di Uragano Nero nel racconto Andriesh srotola successivamente una catena di avventure tutte improntate al meraviglioso. Parajanov si scatena in una sarabanda di entusiasmanti invenzioni visive dal gusto barocco, che acquistano ulteriori suggestioni dalla loro rudimentalità. È di spirito puramente popolare, infatti, il ricorso a una messe di trucchi visivi che tradiscono tutta la loro natura di artificio. Certo, va tenuto conto anche del livello di sviluppo tecnologico del cinema a questa altezza temporale, ed è anzi molto probabile che già l’utilizzo di simili trucchi allora costituisse in realtà avanguardia e innovazione. Eppure un tale comparto di rudimentali meraviglie si attaglia perfettamente all’idea di fiaba folclorica intorno alla quale il film si articola. Secondo una struttura narrativa fortemente episodica il piccolo Andriješ incontra in successione salici piangenti che parlano, spiriti dell’acqua che a loro volta emettono parole dalle pozzanghere, cavalli volanti altrettanto dotati del dono del verbo, giganti burberi ma dal cuore buono, e chi più ne ha più ne metta. Si tratta di un intero universo magico fortemente legato alla natura. Dall’acqua, al fuoco, alla terra, all’aria (il volo), tutti gli elementi naturali trovano proprie espressioni oltre il razionale, in un rapporto diretto e simbiotico con l’uomo che abita gli ambienti – ma attenzione a non trasgredire troppo, la natura è vendicativa ed è pronta a spezzare violentemente il sacro accordo omeostatico con l’essere umano. Parajanov si fa forte insomma di un intero armamentario figurativo che affonda le proprie radici in un universo di magiche personificazioni della natura. I pastori di Andriesh si aggirano in un paesaggio che pullula di spiriti e demoni di campagna, e che danno vita a un’archetipica lotta fra Bene e Male.

Parajanov ebbe modo di esprimere stima e ammirazione per il cinema di Pier Paolo Pasolini. Secondo chiavi espressive sensibilmente diverse, sembra comunque di ravvisare in Andriesh un interesse comune alla poetica pasoliniana per antropologie rimosse dalla cultura dominante. Nel mondo evocato da Andriesh l’omologazione (pure quella sovietica) è ben lontana dal manifestarsi. I rudimentali trucchi visivi utilizzati da Parajanov ricordano la rilettura pauperistica del meraviglioso condotta da Pasolini nella Trilogia della Vita, in particolare Il fiore delle Mille e una notte (1974) – l’idea del volo magico è realizzata, ad esempio, con modalità elementari in entrambi i film. Più in generale, sembra di rintracciare una ricerca comune ai due autori di sacche di resistenza culturale in cui i comportamenti dell’uomo non abbiano ancora reciso brutalmente il legame con il rito e con il sacro. E la fiaba popolare, il racconto orale, costituiscono in tal senso un terreno privilegiato per rimettersi in contatto con realtà culturali a rischio di estinzione. Pasolini fugge dall’omologazione consumistica dell’Occidente in mondi incontaminati dal progresso tecnocratico; Parajanov rivendica l’esistenza di realtà, costumi e antropologie altre rispetto al feroce tentativo di uniformazione culturale condotto dall’Unione Sovietica. E intanto il nostro occhio si allieta e si rinnova nell’incontrare una meravigliosa manifestazione di cinema. Fra i rossi e i blu accesi del fuoco e della notte, Parajanov scarta con atto vibrante dalle istanze del cinema ufficiale. Quell’Uragano Nero che tutto vorrebbe stabilire e preordinare anche in ambito di creatività. Che vorrebbe pietrificare l’invenzione. L’incantesimo si rompe. Gli esseri pietrificati riprendono vita. Il castello crolla. Forse con la potenza dell’immaginazione tutto è ancora possibile.

Info
Andriesh sul sito del Cinema Ritrovato.

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