Leme do destino

Leme do destino

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Cineasta, filosofo, pensatore critico: Júlio Bressane è tutto questo e anche di più, e l’omaggio a lui dedicato dalla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro ha rappresentato l’occasione per ragionare di e insieme a lui su una filmografia ricca e coerente come poche altre. Leme do Destino è uno dei due inediti presentati nel capoluogo marchigiano, in anteprima europea, la prova ulteriore della vitalità artistica di un quasi ottantenne perfettamente calato nella contemporaneità, alle prese con gli assoluti primari: l’Amore, la sua concettualizzazione, lo squilibrio fisico ed emotivo che comporta.

Navigare tra i flutti nell’impossibilità di un approdo

Due amiche di lunga data si abbandonano a una storia d’amore. Nel loro rapporto si nasconde un velo di mistero, un’idea sbagliata, un non detto segreto e ignorato, qualcosa di distante e lontano che in una particolare cornice di tempo e spazio si staglia davanti ai loro occhi. Il film cerca quella corda, quel cuore incostante, quella linea di fuoco che divide gli affetti. [sinossi]

La Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro ha scelto, in occasione della sessantesima edizione, di fare presiedere la giuria del concorso Nuovo Cinema ad uno dei più grandi cineasti viventi, il brasiliano Júlio Bressane, attivo da quasi sessant’anni e con altrettante opere licenziate a suo nome, tra lunghi, medi e corti. Autore che non ha mai pesato il suo operare sulla bilancia dell’adesione a un formato, e quindi il più adatto possibile a presiedere un concorso come quello pesarese, da qualche anno senza più alcuna barriera legata al minutaggio, al genere e allo stile, se non per la rappresentatività del concetto di “nuovo” in ogni sua declinazione. In occasione, quindi, della calata in Italia del grande cineasta, l’occasione è stata ghiotta per riportarlo al centro della scena cinefila (da cui comunque non è mai realmente uscito) in vari modi: Fuori Orario (cose mai viste) gli ha dedicato quattro serate nel weekend parallelo alla Mostra e in quello successivo, mostrando, insieme a Limite di Mario Peixoto, cinque sue opere (anche, come sempre, disponibili su RaiPlay per un periodo di tempo limitato). Si va dalle già mostrate più volte A Agonia (1976), Rue Aperana 52 (2012) e O Garoto (2015), alle inedite in Italia Ideograma: limite/fada do oriente/agonia/abismu (2024) e A Longa Viagem de Onibus Amarelo (2023), quest’ultimo un compendio e un vertiginoso montaggio comprendente cinquantotto opere della sua lunga carriera. Last but not least, anche durante la rassegna pesarese si è avuto modo di ammirare due film di Bressane: Relâmpagos de críticas murmúrios metafísicos (lungo viaggio attraverso la storia del cinema brasiliano, dal 1898 a oggi), in anteprima mondiale assoluta, e Leme do Destino, che analizzeremo nell’articolo sottostante.

In meno di un’ora e mezza, Bressane con Leme do Destino si pone l’obiettivo di analizzare la passione amorosa facendole trascendere i canoni consueti, fisici ed emotivi; o, ancora meglio, non si pone obiettivo alcuno se non quello di affidare all’arte cinematografica per l’ennesima volta il compito di astrarre dalla fenomenologia del reale i personaggi messi in scena e farli interagire tra loro e con ogni artificio quest’Arte, compendio di tutte le altre, possa mettere in campo tramite la pura e semplice creatività del suo autore. Due donne (interpretate dalle attrici Josie Antello e Débora Olivieri) sono sedute ai due lati di un tavolo posizionato davanti ad un muro di mattoni gialli, l’immagine è piatta e meramente illustrativa, quasi come se la macchina da presa fosse lì come un’intrusa, ad ascoltare confessioni private. Quand’ecco che la donna seduta sulla sinistra del fotogramma, che sta ricevendo le confessioni dell’altra, si alza, avanza verso lo schermo, si posiziona leggermente fuori campo e occupa metà dell’inquadratura con l’immagine, o il tentativo della stessa, di un cane composta con le mani, a sottolineare la natura finzionale e performativa di quel momento di apparente “verità”. Una volta tornata a posto, dopo aver appunto attraversato lo spazio in profondità, attraversa anche la barriera rappresentata dal tavolo e bacia appassionatamente l’amica. Questa nuova rottura delle geometria iniziale ci porta alla seconda parte del lungometraggio, incentrata sul delirio e deliquio amoroso di questi due esseri umani osservati nel mezzo del cammin di loro vita: la passione deborda, rompe schemi e barriere, ogni legge fisica perde di senso. Riavvolgimenti, sovrapposizioni, un modellino di veliero che solca il mare/le lenzuola in tempesta di un letto che altro non è che il mondo intero, una rottura dell’ordine delle cose che non può che richiamare alla mente quello che accade, e COME accade, all’interno della Loggia Nera di Twin Peaks. Stiamo dicendo che Bressane conosce o cita David Lynch? No (o non per forza), semmai che Lynch è un cineasta, consapevolmente o meno, di stampo bressaniano. Le analogie con l’opera lynchiana potrebbero anche non fermarsi qui: quando si riemerge dal giorno di passione, ecco che una delle due donne, “liberata” da dubbi e freni inibitori, entra in un bar e inizia una relazione con il ragazzo dietro il bancone, proprio come accade in Mulholland Drive una volta (ri)attraversata la porta dei desideri all’interno del cubo blu, quando tutto finisce e la realtà torna ad aggredire e mordere. Per il personaggio “di rottura”, che aveva iniziato demolendo la quarta parete con il tentativo di ombre cinesi e facendoci percepire la presenza della macchina da presa, non rimane che ritornare spettatrice, osservare da lontano, fornire dubbi allo spettatore persino sulla sua effettiva esistenza. Ma questo conta poco, l’importante, per dirla con le parole dello stesso Bressane, è che “il film si metta da parte per lasciar vedere il Cinema”.

L’immagine più iconica di un film che rimane e rimarrà impressa sulla retina e nel cervello di chiunque lo guarderà (e ci sorprendiamo sempre quando cinema di questo livello viene a volte cocciutamente rifiutato, come pare sia avvenuto durante la prima mondiale al Festival del Cinema indipendente di Buenos Aires con un flusso continuo di persone che abbandonava la sala durante la proiezione) è forse la più semplice del lotto: il primo piano di un foglio di carta appallottolata che brucia lentamente, fino all’ultimo, “corrotto” da una scintilla di fuoco che pian piano lo consuma senza lasciarne traccia alcuna. È l’immagine su cui si chiude il viaggio all’interno del cinema brasiliano (“cinema senza storia e maestri, e quindi sperimentale sempre, per definizione e dal primo vagito”, per usare ancora le parole di Bressane) di Relâmpagos de críticas murmúrios metafísicos, l’omaggio del cineasta ai suoi colleghi e al suo Paese. Cinema novo, cinema marginal (o udigrudi): Júlio Bressane, insieme a conterranei come Rogério Sganzerla e l’italiano naturalizzato Andrea Tonacci, ha contribuito a smussare e annullare le differenze tra la prima ondata del nuovo cinema brasiliano, quella di Glauber Rocha, Nelson Pereira dos Santos, Joaquim Pedro de Andrade e tanti altri, e le successive, che hanno assorbito l’inevitabile riflusso spostando il focus dal contenuto politico alla politica dello stile. Il suo cinema è ancora oggi un ponte, che traccia equivalenze più che marcare distanze; il fatto che da anni divida responsabilità e sceneggiature con la compagna Rosa Dias può essere un’annotazione meno marginal(e) di quello che si può credere.

Info
Leme do destino sul sito di Pesaro.

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