Warriors of the Rainbow: Seediq Bale

Warriors of the Rainbow: Seediq Bale

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Prodotto da John Woo e selezionato in concorso alla 68. Mostra del Cinema di Venezia, Warriors of the Rainbow: Seediq Bale è contrassegnato da un ricorso quasi sbalorditivo al ralenti, cifra stilistica che procede a braccetto con l’overdose di retorica: Wei inserisce slow motion ovunque, spesso fuori posto, probabilmente con l’intenzione di enfatizzare l’afflato epico. Non giova l’apporto degli effetti in computer grafica, tra improbabili aeroplani ed esplosioni smaccatamente fasulle.

Storie del monte Chilai

Il film rievoca uno straordinario episodio della storia del XX secolo poco conosciuto persino a Taiwan. Tra il 1895 e il 1945 l’isola era una colonia giapponese abitata non solo da una maggioranza di immigranti cinesi Han, ma anche dai discendenti di quelle tribù aborigene che per prime si erano stabilite sul suolo montagnoso dell’isola. Nel 1930, Mouna Rudo, il leader di una delle tribù Seediq stabilitesi sul Monte Chilai e nei suoi dintorni, formò una coalizione con altri capi tribù Seediq per organizzare una rivolta contro i coloni giapponesi. La rivolta scoppiò ad una celebrazione sportiva dove i membri delle tribù presenti attaccarono e uccisero gli ufficiali giapponesi. La rivolta iniziale prese i giapponesi di sorpresa ed ebbe un successo quasi completo. Ma i giapponesi ben presto mandarono l’esercito per stroncare l’insurrezione, con l’aiuto dell’aviazione e di gas velenosi… [sinossi – labiennale.org]

All’origine del pasticciato Warriors of the Rainbow: Seediq Bale, prodotto da John Woo e selezionato in concorso alla 68. Mostra del Cinema di Venezia, c’è il mediocre Cape No. 7. In bilico assai precario tra musicarello e melodramma, l’opera seconda di Wei Te-Sheng aveva scalato il box office taiwanese nonostante il budget ridotto [1]. Quasi inevitabile, quindi, il passaggio successivo: l’investimento di venticinque milioni di dollari e la regia affidata a Wei, incaricato di allargare fino ai blockbuster in salsa epica i confini dell’industria cinematografica taiwanese [2]. L’operazione, quantomeno sulla carta, poteva risultare piuttosto interessante, intrecciando storia ed effetti speciali, scene d’azione e misticismo primitivo, anticolonialismo e crudezze tribali. Qualche apprezzabile risultato si è intravisto, soprattutto nella parte centrale: suggestiva ed efficace nella (comprensibile) ferocia vendicativa la lunga macrosequenza della strage di soldati e civili giapponesi. Accompagnata da un canto tribale e inizialmente immersa in una nebbia premonitrice, la mattanza non risparmia donne e bambini, in uno sfrenato susseguirsi di teste mozzate e insaziabile sete di sangue. In questa sequenza, con tanto di esemplare uccisione del maestro che infieriva sui bambini indigeni, la messa in scena di Wei sembra persino trattenuta e, almeno per una volta, il ricorso a qualche ralenti non sconfina nel kitsch involontario.

Lunga e sconsolante, invece, è la lista delle scelte estetiche, tecniche e narrative che affossano qualitativamente il progetto. Warriors of the Rainbow: Seediq Bale è contrassegnato da un ricorso quasi sbalorditivo al ralenti, cifra stilistica che procede a braccetto con l’overdose di retorica: Wei inserisce slow motion ovunque, spesso fuori posto, probabilmente con l’intenzione di enfatizzare l’afflato epico. Non giovano la gratuita soggettiva del militare giapponese colpito a morte, l’inquadratura dal basso del guerriero seediq mentre precipita in un dirupo o, dopo una serie di sequenze abbondantemente oltre i limiti della verosimiglianza, il tuffo nel vuoto (ancora in ralenti) del giovane e fin troppo eroico Pawan.
Cercando una via taiwanese al blockbuster epico, Wei e Woo sembrano guardare soprattutto a recenti esempi cinesi/hongkonghesi [3]: fatale, in questo senso, la caratterizzazione caricaturale degli occupanti nipponici, tratteggiati come un’accozzaglia di colonizzatori isterici e grotteschi. Paradossalmente, non giova alla rappresentazione dell’eroismo mistico dei seediq il confronto con dei nemici privi di qualsiasi valore. E non giova l’apporto degli effetti in computer grafica, tra improbabili aeroplani ed esplosioni smaccatamente fasulle.

Warriors of the Rainbow: Seediq Bale resterà una presenza bizzarra nel Concorso della Mostra del Cinema di Venezia, utile per inquadrare i nuovi orizzonti del cinema taiwanese e per confrontarsi con una cultura singolare come quella dei primitivi e orgogliosi guerrieri Seediq, ma insufficiente dal punto di vista artistico e tecnico – davvero singolari alcune scelte, come la marcia collettiva verso l’aldilà, tra nuvole colorate che sembrano rubate a un film anni Quaranta/Cinquanta. A suo modo, un film che resterà nell’immaginario collettivo della Laguna.

Note
1. Cape No. 7 era stato selezionato dal Far East 2009: una scelta quasi obbligata, visto il debordante successo commerciale della pellicola.
2. La definizione di blockbuster potrebbe risultare fuorviante, soprattutto alla luce dei modestissimi effetti in computer grafica, ma bisogna tener conto delle dimensioni dell’industria cinematografica taiwanese, solitamente orientata verso il cinema autoriale, da Tsai Ming-liang a Hou Hsiao-hsien.
3. Si vedano ad esempio gli eccessi nazionalistici di Ip Man 2 di Wilson Yip e Legend of the Fist: The Return of Chen Zhen di Andrew Lau.
Info
Il trailer originale di Warriors of the Rainbow: Seediq Bale.
La pagina facebook di Warriors of the Rainbow: Seediq Bale.
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