La caduta della dinastia Romanov

La caduta della dinastia Romanov

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Commissionato per celebrare il decennale della Rivoluzione d’Ottobre, La caduta della dinastia Romanov risplende sullo schermo delle Giornate del Cinema Muto come uno dei capisaldi dell’avanguardia sovietica, fondamentale documento storico e film teorico di solo montaggio.

Nicola secondo, e ultimo

Usando materiale d’archivio, Esfir Shub mette insieme una cronologia della Russia dal 1913 al 1917. Introduce i leader della Duma, borghesi e contadini, capitalisti e soldati, marinai e donne, fino allo Zar. Nel maggio del 1913, le corone d’Europa si recano a Pietrogrado per celebrare i 300 anni della dinastia Romanov, ma buona parte di loro sta già pianificando l’ingresso in guerra. Allo scoppio del conflitto, in Russia iniziano le sommosse popolari: si avvicina il momento della Rivoluzione… [sinossi]

Dalle teorizzazioni sullo specifico filmico di Pudovkin alla drammaturgia della forma di Sergej Michajlovič Ejzenštejn, passando per il cineocchio di Dziga Vertov, il cinema d’avanguardia sovietico ha sempre considerato il montaggio come l’elemento peculiare dell’arte cinematografica, quella caratteristica unica che crea una cesura netta con le altre arti ponendosi come il linguaggio, in grado di emozionare, spaventare e “parlare” al pubblico. Attraverso l’arte del montaggio, il cinema russo degli anni Venti crea per la prima volta associazioni e sovrapposizioni, fa emergere analogie e ambiguità, dà ritmo e nuovo senso alle immagini, trovando il suo afflato teorico e la sua unità filmica proprio nell’estrema frammentazione, mentre sulle basi del marxismo-leninismo l’opera d’arte si presentava scevra della sua precedente aura religiosa, capitalista e reazionaria, reinventandosi come una nuova forma atta a riaffermare le ideologie e le istanze della Rivoluzione bolscevica. Il “come” si racconta un evento, superata la fissità frontale primordiale del cinema degli esordi, supera il “cosa” si sta raccontando: è la nascita del linguaggio cinematografico, fra messa in scena e rielaborazione, quando non dichiarata manipolazione, della realtà.
Nel ricco e prezioso ventaglio di sperimentazioni sovietiche sul montaggio, La caduta della dinastia Romanov di Esfir Shub fu nel 1927 un ulteriore passo in avanti teorico sulla centralità della moviola, con la totale rinuncia alla macchina da presa – che fosse utilizzata per la messa in scena o immagini “rubate” al vero poco importa in questo discorso – per svolgere uno dei primi e più capillari lavori di found footage e riedizione che la storia del Cinema ricordi. Del resto Esfir Shub, storica amica di Vertov e collaboratrice-maestra di Ejzenštejn, prima di esordire alla regia con questo film documentario aveva lavorato per anni come ri-montatrice dei film “inaccettabili” che giungevano in Russia dall’estero, spesso dovendo reiventarli del tutto, ricostruendo senza possibilità di girare nuove scene una trama inedita che fosse fedele alle ideologie socialiste. Un’esperienza pluriennale che le consentì, al momento delle celebrazioni del decennale della Rivoluzione d’Ottobre, di accettare la commissione del Museo della Rivoluzione per dare vita a un film, uscito insieme a Ottobre di Ejzenštejn, La fine di San Pietroburgo di Pudovkin e Undicesimo anno di Vertov, il cui processo creativo era solo di forbici e pennellino con la colla, sostituendo alla fase delle riprese un lungo e paziente lavoro di ricerca negli archivi.

Visionando chilometri e chilometri di nitrati, Esfir Shub si lanciò nella sfida di ridare nuova vita e senso a immagini senza cartelli – curiosamente definite “mute” già ai tempi del muto, una sorta di mutismo alla seconda – mettendo insieme con puro spirito rivoluzionario immagini della Russia zarista, della guerra, delle rivolte popolari e della cacciata della Duma da parte dei Soviet, fino alla sognante chiusura sul sorriso di un Vladimir Lenin di freschissimo ritorno dall’esilio. È un film profondamente idealista e collettivo, quello di Esfir Shub, fatto di uomini di potere e religione intrecciati con i braccianti, con i passanti, con gli operai, fino ai soldati, ai troppi morti e mutilati, e poi ai vittoriosi e festanti uomini rivoluzionari del Partito finalmente liberi dalle oppressioni zariste. Perché La caduta della dinastia Romanov, questo non va dimenticato, nasce esattamente come film di regime, propaganda e celebrazione della Russia bolscevica ormai al quinto anno di Stalin. Lo è dichiaratamente, nella committenza che appare nei titoli di testa, nella ridicolizzazione della potenza zarista al momento della sua massima auto-celebrazione mostrando come le parate fossero tutte uguali e i soldati un plotone meccanico e spersonalizzato, nelle stoccate alla religione, nei cartelli che sottolineano come i contadini fossero “sotto il giogo della proprietà”, oppure come si stessero mostrando “sciacalli capitalisti in lotta per i mercati, speculatori, banche, oro”, o ancora come lo come lo zar Nicola, che appare come apice dell’iniziale presentazione dei personaggi della Russia dei Romanov, fosse “secondo e ultimo”.
In quanto tale, La caduta della dinastia Romanov è un film nato, oltre che per raccontare e commentare cinque anni di Storia dal finale glorioso, per risvegliare o comunque mantenere all’erta le coscienze, per rinverdire i fasti rivoluzionari, per riaffermare i principi di uguaglianza e collettivizzazione che caratterizzavano l’ideologia e la forma statale in Russia prima degli incalcolabili danni dell’imbarbarimento stalinista. Si tratta di un film, però, non realmente imposto dal regime che pur lo ha finanziato e al quale ha fornito le necessarie consulenze storiche, ma figlio di una commovente e incrollabile fede, quella della montatrice-regista, nella causa del Comunismo. Curioso, tutt’al più, notare retrospettivamente come questo film sia nato in un certo senso troppo tardi, con il marxismo-leninismo ormai già irrimediabilmente avviato, con la morte di Lenin nel 1922, al terrore e al culto della persona che impose Stalin negli anni successivi – anche se le purghe vere e proprie erano ancora di là da venire, e il film è stato concluso dalla Shub in reale libertà. Ma la sua forza rivoluzionaria – intesa sia come Rivoluzione sociale contro la sottomissione del Popolo, sia come ulteriore rivoluzione del mezzo cinematografico in periodo d’avanguardia – rimane ancora oggi di una purezza, di un entusiasmo e di una potenza assolutamente fuori dall’ordinario.

Proiettato alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone in una copia 35mm splendidamente graffiata e con qualche sbalzo nel quadro a sottolineare ulteriormente la sua natura di film di solo montaggio, La caduta della dinastia Romanov passa inizialmente in rassegna i personaggi della Russia pre-rivoluzionaria, le autorità religiose ortodosse, gli uomini di governo, le parate militari, i sovrani stranieri in visita a Nicola II in occasione delle celebrazioni dei 300 anni di Romanov, ma anche le fabbriche, i campi, i contadini ridotti in miseria e i (pochi) capitalisti pasciuti nei loro salotti borghesi. Attraverso il materiale per lo più di scarto che gli archivi del tempo fornivano, Esfir Shub riesce a raccontare la Storia di quegli anni, facendo emergere con la potenza delle immagini ancor più che con i cartelli “di parte” quanto la società fosse profondamente iniqua e quanto le politiche zariste schiacciassero il Popolo. Ma, nel frattempo, le varie nazioni – su tutte quelle stesse Austria e Francia sorridenti alla parata insieme a Nicola II – si preparavano alla Grande Guerra, e allo scoppio del conflitto anche in Russia fu mobilitazione generale, con gli uomini mandati al fronte e le donne impiegate al loro posto nelle fabbriche di armi. Ed è proprio a questo punto che il montaggio di Esfir Shub assurge al sublime, riuscendo a portare sullo schermo tutto l’orrore della guerra in una sorta di danza fatta di stacchi dal ritmo forsennato fra le navi impegnate in una battaglia navale e il volo degli aerei, il sottomarino che lentamente si immerge e le esplosioni a terra, il fango delle trincee e la distruzione dei villaggi, fino alla nave battente bandiera statunitense che si inabissa, i feriti, le donne in lacrime e i prigionieri. E intanto, ricordano i cartelli, sono passati tre anni, oltre 35 milioni di persone sono rimaste uccise al fronte, in Russia è drammatica la carenza di provviste, mentre lo zar ordina nuovi rinforzi per le trincee. E mentre il Generale Inverno bussa ancora una volta alle porte di una steppa sempre più impoverita e ormai esausta, i tempi sono maturi per la Rivoluzione, e il film si avvia alla sua terza e ultima parte, il Febbraio e poi l’Ottobre.
Dalla rivolta degli operai di Pietrogrado, con l’ordine di sparare sulla folla ignorato dai soldati che passarono ben presto fra i manifestanti, si passa al trattato di abdicazione dello zar, al governo provvisorio (e borghese), alle Tesi di Aprile di Lenin, fino alle pagine della Pravda che annunciano il potere ai soviet. “Liberato dal giogo della schiavitù, il Popolo distrugge gli emblemi dell’autocrazia zarista”, mentre le insegne cadono, sostituite dalle bandiere rosse. Il Popolo è libero, in festa, nelle piazze volano i cappelli, è il momento di sorridere guardando fiduciosi il Sol dell’Avvenire. La caduta della dinastia Romanov è la Storia scritta dai vincitori, è un commento quasi in diretta agli eventi che hanno portato alla Rivoluzione bolscevica, è un interessantissimo reperto socio-culturale, è una riflessione su come le modalità narrative possano sfruttare e adattare i frammenti di realtà rimasti intrappolati nella celluloide a un discorso più ampio, in una (sempre) nuova frontiera del montaggio sovietico sperimentale. È un manuale di cinema, prima di tutto, un testo fondamentale di applicazione della settima arte, un film in cui la portata storica e teorica vanno di pari passo, sorprendendo ancora oggi per modernità, acume e raffinatezza.

Info
Il sito delle Giornate del Cinema Muto.
La pagina IMDB dedicata a La caduta della dinastia Romanov.
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