Hai paura del buio

Hai paura del buio

di

Presentato alla Settimana della Critica di Venezia 2010, Hai paura del buio vive di un doppio pedinamento: quello della macchina da presa sul percorso di Eva dalla Romania alla provincia italiana e quello di Eva sulle tracce della madre Katia, che non vede da nove anni. Coppola sceglie di stare a distanza ravvicinata dalla sua protagonista, optando per una regia molto fisica, a stretto contatto con il corpo dell’attrice (la brava Alexandra Pirici).

Anime periferiche

Eva, una ragazza rumena appena licenziata dalla fabbrica in cui lavorava, decide all’improvviso di vendere tutti i suoi oggetti personali e di partire da Bucarest alla volta dell’Italia. La sua meta è Melfi, cittadina lucana dove ha sede uno stabilimento della FIAT nel quale lavora Anna, una giovane operaia che vive con il padre disoccupato, la madre e la nonna inferma, che la incontra per caso e la ospita a casa. Anche la famiglia accoglie Eva benevolmente, perché la ragazza è disposta a fare da badante alla nonna di Anna. Ma Eva, che si è intanto legata sentimentalmente a un operaio, non ha scelto a caso di recarsi a Melfi. È qui infatti che vive sua madre Katia, che non vede da nove anni e che vive con un losco individuo di nome Mirko. Mentre Eva fa i conti con il suo passato, Anna, che intanto ha lasciato Melfi perché lo stabilimento è stato temporaneamente chiuso in seguito a un incendio, si sforza di costruire un futuro diverso a Napoli per studiare all’università… [sinossi]

Il primo lungometraggio di finzione di Massimo Coppola, dopo un apprendistato documentaristico che dagli esordi televisivi è giunto a quel Bianciardi!, sullo scrittore toscano, presentato nel 2007 a Venezia, è un lavoro che pone le sue radici senz’altro nella pratica documentaria ma che cerca, al contempo, di distanziarsene in modo marcato. Questa duplice anima di Hai paura del buio è ciò che lo rende un oggetto irrisolto e sbilenco, anche se fuori dalle coordinate abituali del cinema italiano recente.
Il film vive di un doppio pedinamento: quello della macchina da presa sul percorso di Eva dalla Romania alla provincia italiana e quello di Eva sulle tracce della madre Katia, che non vede da nove anni. Coppola sceglie di stare a distanza ravvicinata dalla sua protagonista, optando per una regia molto fisica, a stretto contatto con il corpo dell’attrice (la brava Alexandra Pirici). L’obiettivo la abbandona solo per brevi squarci documentari (l’inizio in fabbrica, certi totali sui palazzoni di Bucarest) mantenendo con lei una prossimità zavattiniana e sposandone il punto di vista: quello di una ragazza come tante, ostinata, che non vuole cadere nello stereotipo della rumena in Italia, comune a tante sue conterranee. Eppure la storia raccontata dal regista è o vuole essere certamente emblematica di una condizione sociale diffusa e nel contempo di una provincia italiana grigia, tanto operosa (gli stabilimenti Fiat Sata a Melfi) quanto al fondo disillusa della possibilità di un riscatto. In questo senso è il personaggio di Anna (Erica Fontana, esordiente e ancora grezza) il secondo centro focale del film, con i suoi ostinati silenzi e l’espressione assorta, perennemente in lotta con l’ambiente che la circonda.

Bravo a catturare gli elementi di realtà che s’insinuano tra le pieghe del racconto, Coppola lo è molto meno quando deve costruire la narrazione e darle una forma, compiuta, di film. La fugace storia sentimentale di Eva con un ragazzo di Melfi, certi dialoghi sentenziosi a rischio di retorica, la fuga di Anna verso Napoli, il confronto finale tra Anna e Katia, la stessa scelta delle canzoni dei Joy Division come supporto sonoro, così cariche di significati e simbologie troppo ingombranti: sono tutti momenti piuttosto goffi in cui il film arranca alla ricerca di una costruzione che sia anche romanzesca e non più solo cronachistica. Anche l’apparato formale soffre d’incertezze tipiche dell’opera prima. Il regista ha dichiarato di aver voluto «raggiungere la realtà attraverso l’astrazione, non attraverso la mimesi». Quindi partire dal dato oggettivo per trasfigurarlo attraverso un’accorta manipolazione. Tuttavia l’esito si ferma al livello di lodevole tentativo. Spesso le inquadrature soffrono di un’eccessiva casualità, con una messa a fuoco incerta, stacchi bruschi e diversi ostacoli alla visione, mentre altre volte (vedi il già citato, lungo dialogo di confronto tra Eva e sua madre) si fa un ricorso insistito a lunghi piani sequenza che appaiono più dimostrativi che di reale necessità. Coppola non ha ancora, insomma, il polso fermo del vero regista. Ciò nonostante il suo è un passo incerto nella direzione giusta, quella di un cinema poco interessato agli orpelli, denso di richiami alla realtà e con un’attenzione genuina per la vita ordinaria delle persone. Lo aspettiamo alla prossima prova.

Info
Il trailer di Hai paura del buio.

  • Hai-paura-del-buio-2010-Massimo-Coppola-01.jpg
  • Hai-paura-del-buio-2010-Massimo-Coppola-02.jpg
  • Hai-paura-del-buio-2010-Massimo-Coppola-03.jpg

Articoli correlati

Array
  • Festival

    Venezia 2010Venezia 2010

    Nonostante una lista degli assenti abbondante e i problemi legati al cantiere per il nuovo Palazzo del Cinema, la Mostra di Venezia 2010 appare come un terreno di aperta sperimentazione, per niente facile da classificare...
  • Venezia 2007

    Bianciardi! RecensioneBianciardi!

    di La vita agra che ci ha mostrato Bianciardi nel corso della sua carriera diventa l'occasione, in mano a Coppola, per un viaggio di conoscenza che ci troviamo a difendere per la sua cocciuta intenzione di mettersi sulle piste del sommerso.