My Dear Desperado

My Dear Desperado

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Kim Kwang-sik, già assistente per Lee Chang-dong, esordisce alla regia con My Dear Desperado, commedia sentimentale che trova il suo punto di forza in una serie ben congegnata di situazioni comiche e nell’affiatamento tra i due interpreti principali, Jeong Yu-mi e Park Joong-hoon. Al Far East 2011.

A Dog’s Night

Se-jin, una giovane donna di una città di provincia, si trasferisce a Seoul subito dopo la laurea per lavorare in una grossa azienda, che ben presto però dichiara bancarotta. Deve dunque lasciare il suo bell’appartamento per trasferirsi in un economico locale seminterrato. Tra un colloquio senza fortuna e l’altro fa la conoscenza del suo vicino di casa, Dong-cheol, un gangster che passa gran parte della sua giornata a ciondolare in giro senza meta… [sinossi]

La tredicesima edizione del Far East Film Festival continua a distinguersi per l’attenzione riservata alla commedia, fulcro della principale rassegna della kermesse di quest’anno: dopo Cina (lo sconclusionato ma interessante Welcome to Shama Town) e Giappone (il divertente film a episodi Quirky Guys and Gals) tocca alla Corea del Sud, con l’esordio alla regia di Kim Kwang-sik Nae kkangpae gateun aein, che nella sua titolazione internazionale diventa My Dear Desperado. Nonostante sia solo alla sua opera prima, la gavetta di Kim aveva costretto fin da subito a montare delle notevoli aspettative nei suoi confronti: il regista è stato infatti assistente di Lee Chang-dong ai tempi di Oasis (2002). Per quanto sia davvero difficile rintracciare all’interno di My Dear Desperado anche il minimo punto di contatto con l’opera del regista di Peppermint Candy e del recente Poetry, allo stesso tempo non v’è dubbio che questa piccola commedia mostri nella sua messa in scena una mano assai più matura di quella di un normale autore che muove i suoi primi passi nel mestiere. La storia del rapporto amoroso che poco per volta si instaura tra la dolce disoccupata Se-jin e il goffo malvivente Dong-cheol è tratteggiata rinunciando fin da subito a qualsiasi scena madre, mettendo da parte i climax emotivi e preferendo lavorare sui dettagli, sulle sfumature, senza paura di affrontare scelte anche smaccatamente poetiche – la neve che imbianca la città nel momento in cui deflagra una volta per tutte la violenza che attraversa come un filo invisibile l’intero film.

Kim Kwang-sik descrive una Corea diversa da quella con la quale il pubblico cinefilo è oramai abituato a confrontarsi: la nazione di My Dear Desperado è una terra in crisi, dove i giovani cercano disperatamente un lavoro che semplicemente non c’è e in cui anche il ruolo del gangster ha perso qualsiasi allure eroica per appiattirsi su una capitalistica logica del profitto nella quale non vi è più spazio per l’onore o il rispetto. In questo contesto, Kim sceglie la chiave del minimalismo sentimentale per portare alla luce i personaggi dei suoi due protagonisti: e se in un primo momento sembra puntare l’obiettivo su Se-jin (sua la voce fuori campo che apre il film e, con movimento ciclico, lo chiude), fotogramma dopo fotogramma ci si rende conto di come il vero epicentro dell’intera azione sia proprio lo scontroso e svogliato Dong-cheol. È sua la parabola umana più convincente, per amore di una vicina di casa con la quale non sembra all’apparenza poter esistere alcun punto in comune. Con a disposizione una struttura narrativa fluida che non rinuncia comunque alla gag e alla battuta facile, Kim sembra a un certo punto voler dirazzare verso timbriche più propriamente chiaroscurali, innervando la componente noir della vicenda e aprendo la strada a un finale potenzialmente dinamitardo, emozionante e commovente, salvo poi smentire e smentirsi di punto in bianco. Se nel repentino cambio di prospettiva ha giocato un ruolo tutt’altro che indifferente la voglia di non perdere per strada il pubblico – pur essendo una produzione a basso budget, My Dear Desperado è arrivato a toccare la ragguardevole cifra di 700.000 sbigliettamenti, segnalandosi come la grande sorpresa positiva del box office coreano del 2010 – che si era affezionato a una coppia effettivamente senza dubbio ben assortita, rimane almeno parzialmente l’amaro in bocca per un finale forse poco coraggioso rispetto al resto dell’opera.
Ma si tratta di un dettaglio che non riesce nel complesso a distogliere l’attenzione da un piccolo ma godibile film, a tratti spassoso, elaborato in punta di penna da Kim e affidato alle cure di due ottimi interpreti: brava Jeong Yu-mi, già vista in A Bittersweet Life di Kim Jee-woon e Family Ties di Kim Tae-yong, ma addirittura monumentale Park Joong-hoon (il suo nome è tutt’ora legato a Nowhere to Hide di Lee Myung-se), che regala una performance fatta di gesti, atteggiamenti e borbottii.

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