Fuga in Normandia

Fuga in Normandia

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Fuga in Normandia di Oliver Parker prende l’abbrivio da una storia realmente accaduta, quella del quasi novantenne Bernard Jordan che fuggì dalla casa protetta in cui si trovava per raggiungere le coste francesi in concomitanza con il settantennale del D-Day, cui aveva preso parte. Parker agita la retorica melodrammatica con perizia, ma sono i corpi di Michael Caine e Glenda Jackson a spingere verso una naturale commozione.

J-Day

L’ottantenne Bernie Jordan, per il 70°anniversario dello sbarco in Normandia, scappa dalla casa di riposo in cui vive con la moglie per unirsi ad altri veterani di guerra e commemorare i compagni caduti. La notizia fa il giro del mondo e il veterano finisce in prima pagina. Ma in prima pagina, viene raccontata solo una parte della storia. [sinossi]

The Great Escaper, vale a dire “Il grande fuggitivo”, è il titolo originale trasformato poi per la distribuzione italiana in Fuga in Normandia, che punta l’accento sulla geografia della fuga, sull’obiettivo che deve raggiungere colui che è scappato. Una scelta logica, e su cui non vale la pena soffermarsi, quella compiuta da Lucky Red. È però comunque interessante soffermarsi sul titolo inglese, che da un lato gioca con i classici dell’escapismo – quasi che il personaggio dell’anziano Bernard Jordan fosse una versione aggiornata e corretta del mitologico e mitizzato Steve McQueen –, e dall’altro sembra quasi indicare il potere assoluto del cinema di fuggire dalle regole stesse della vita, e dalla di lei caducità. Quando il 20 settembre 2023 al BFI Southbank di Londra si è svolta l’anteprima mondiale del film, infatti, Glenda Jackson (che nel film interpreta Irene Jordan, la moglie di Bernard) era morta ottantasettenne da oramai tre mesi, apparendo dunque in scena per l’ultima volta ad appena due anni di distanza da quel Secret Love di Eva Husson che aveva segnato il ritorno davanti alla macchina da presa per l’attrice a oltre trent’anni da Il re del vento di Peter Duffell. L’anziana Jackson è eternamente lì, accanto a un Michael Caine che oltrepassati i novant’anni a sua volta ha detto basta con la recitazione, in attesa dell’ineluttabile: eppure per l’appunto sono entrambi lì, per sempre reduci, un po’ come i personaggi che devono interpretare in Fuga in Normandia e che partono da connotati “reali”. È infatti vera la storia di Jordan, che ottantanovenne nel giugno 2014 se ne andò alla chetichella dall’ospizio in cui si trovava per raggiungere la Normandia in occasione del settantennale dello sbarco, di quel maledetto/benedetto D-Day in cui persero la vita – tra forze Alleate e tedesche – quasi ventimila esseri umani e al quale aveva preso parte.

Da un certo punto di vista viene naturale avvicinare Fuga in Normandia ad Appuntamento a Land’s End, il dramma geriatrico diretto nel 2021 dallo scozzese Gillies MacKinnon e arrivato in sala all’inizio dell’anno in Italia grazie a Trent Film: entrambe le opere parlano di un ottuagenario che decide di intraprendere un viaggio in solitaria per riappropriarsi della propria memoria intima, che è però anche collettiva – familiare in un caso, addirittura nazionale e sovranazionale nell’altro –, ed entrambi i film si muovono nel solco della produzione britannica più classica, che si articola attorno ad aggettivazioni quali gentile, commovente, nostalgico, e forse sopra ogni altra cosa attoriale. Viene infatti naturale chiedersi cosa ne sarebbe della storia pur interessante del signor Jordan e della sua fuga in Francia se non venisse impegnato un mostro sacro della recitazione come Caine, qui per di più alla dichiarata ultima apparizione sugli schermi a ben settantatré anni di distanza da Morning Departure di Roy Ward Baker, dove appariva per pochi secondi in un ruolo privo di battute ma che già aveva a che fare con la Seconda guerra mondiale – un sottomarino inglese si imbatte in una mina inesplosa. Tale è infatti lo strapotere dominante di Caine da offuscare, esattamente come accade per Jackson, il resto dell’impianto drammaturgico, che dimostra di sapersi muovere con una certa solidità su un campo prevedibile e preordinato ma senza guizzi di sorta.

Certo, difficile non avvertire un pesante groppo in gola di fronte a determinate sequenze, ancor di più quando ad apparire in scena sono veri sopravvissuti all’orribile giornata di battaglia in riva al mare, sulle coste francesi, ma si tratta comunque di una scelta narrativa semplice, così come quel finale strappalacrime che non può che essere messo in scena così, o per meglio dire viene in automatico istintivo immaginarsi così (e di nuovo si torna alla prevedibilità della regia di Oliver Parker, carneade sessantatreenne che sembrò emergere come novello Kenneth Branagh all’epoca dell’esordio Othello, trista revisione del testo shakespeariano cui prese parte proprio Branagh nei panni di Iago, prima di finire nel dimenticatoio). Un cinema borghese, conciliante anche se non privo di amarezze, quotidiano come le storie che ambisce raccontare. Lo scarto lo dà però il cinema/vita, e non il cinema che imita la vita, e quindi anche questo altresì anodino Fuga in Normandia trova una sua naturale ragion d’essere, un punto che molce il cuore e sospinge in alto la melanconia. E quando Glenda Jackson che più non è e Michael Caine che non sarà mai più ripreso si guardano negli occhi può anche scendere una lacrima, in questo caso non forzata.

Info
Il trailer di Fuga in Normandia.

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