Taken: la vendetta

Taken: la vendetta

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In Taken – La vendetta, Liam Neeson torna nei panni di Bryan Mills, ma stavolta da cacciatore è costretto a rivestire il ruolo di preda.

Loro ti troveranno!

Mentre si trova a Istanbul, l’ex agente della CIA Bryan Mills riceve l’inaspettata visita della figlia Kim e dell’ex moglie Lenore. Ma il piacevole ricongiungimento si trasforma in dramma quando Lenore viene sequestrata e tenuta in ostaggio dal padre di uno degli uomini uccisi da Mills durante il salvataggio di Kim, avvenuto l’anno prima a Parigi… [sinossi]

“Hanno preso sua figlia, lui prenderà le loro vite.” Recitava così la tagline di lancio di Taken, quando nel 2008 approdava nelle sale nostrane con il titolo Io vi troverò. A quattro anni dalla carneficina in quel di Parigi, la mattanza si ripete e a pagarne il prezzo più alto è ovviamente il cattivone di turno. A cambiare è la cornice che si andrà ancora una volta tingendo di rosso sangue, con Istanbul che prende il posto della capitale francese, ma colui che l’aveva dipinta quattro anni prima e il suo inconfondibile stile restano gli stessi. In Taken – La vendetta, Liam Neeson torna nei panni di Bryan Mills, ma stavolta da cacciatore è costretto a rivestire il ruolo di preda. Come si dice: “occhio per occhio, dente per dente” e nella vita prima o poi qualcuno riemerge dal passato con il conto da pagare rimasto in sospeso. Non a caso Mills e sua moglie vengono presi in ostaggio dal padre di uno degli uomini uccisi dall’ex agente della CIA durante la liberazione della figlia, le cui fasi avevano animate le dinamiche drammaturgiche del primo capitolo affidato alle promettenti mani di Pierre Morel, che si era fatto notare grazie all’action metropolitano B-13.

Di conseguenza, a capovolgersi è la prospettiva, invertendo di fatto le parti in gioco. La palla passa di mano e il dejà vu  prende il sopravvento assoluto sulla narrazione. Su questo presupposto si regge l’intera operazione, quanto basta per dare lo start allo script, ma davvero poco per tenere inchiodati alle poltrone gli spettatori. Non è sufficiente, infatti, rigirare la frittata riproponendo il medesimo spunto drammaturgico e gli stessi personaggi che gli avevano dato forma, solo perché risultati vincenti quattro anni prima, nella speranza che tutto acquisti un senso. Il senso c’è ed è legato al concetto di vendetta privata, ma a distanza di poco dal prologo i motivi d’interesse nei confronti della vicenda cedono il testimone alla prevedibilità degli eventi, a maggior ragione se riproposti fedelmente a parti invertite.Dietro questo capovolgimento c’è dunque il vero tallone d’Achille del secondo Taken, reso tale dalle mancanze strutturali già presenti nel film del 2008. Per cui la scelta di riproporre la medesima formula, apportando solo qualche piccola modifica (come ad esempio il cambio di location), ha finito con il pesare come un macigno sul final cut. Luc Besson, sceneggiatore e produttore di entrambe le pellicole, cerca la continuità a livello di plot, ma ciò che ottiene è una perdita graduale della credibilità nei confronti di ciò che viene mostrato e soprattutto raccontato. Demerito di un sequel che in quanto a credibilità, in tal senso, paga un conto davvero salato, ridotto sin dalla fase di scrittura ai minimi storici da un’alta percentuale di scene da fiera dell’inverosimile (il rilevamento sulla mappa, il lancio di granate, l’inseguimento di corsa sui tetti e quello in auto con la polizia con tanto di sfondamento del check point dell’Ambasciata americana) e da dialoghi un po’ troppo sopra le righe rispetto al mood del film. Non è di certo un elemento che si tiene generalmente in considerazione quando si tratta di cinema d’azione, ma qui il tono dello script risulta piuttosto serioso, nonostante Besson cerchi più volte di introdurre registri più leggeri per provare ad allentare la tensione. Quest’ultima è presente ma, a differenza di Io vi troverò, è distillata con il contagocce attraverso una mezza dozzina di scene, tra le quali la cattura iniziale e il corpo a corpo nella sinagoga abbandonata.

In cabina di regia c’è un altro sodale della factory bessoniana, ossia Olivier Megaton (1), che da dietro la macchina da presa fa quello che può e quel poco si esaurisce unicamente nell’efficacia della messa in quadro degli scambi più concitati, capaci di restituire alla platea quelle rare scariche di adrenalina che la pellicola riesce a produrre nell’arco di novanta minuti. Una costante che ritroveremo in tutta la filmografia del regista transalpino, da Red Siren a Transporter 3 e Colombiana, che di scegliere sceneggiature un tantino più solide sul fronte narrativo sembra proprio non volerne sapere. Contento lui, contenti tutti, almeno fino a quando arriva il momento di fare i conti al box office.

Note
1. Il suo vero nome è Olivier Fontana. Megaton è un nome d’arte, scelto perché nato esattamente nel giorno del ventesimo anniversario del bombardamento atomico di Hiroshima.

Info
Il sito ufficiale di Taken – La vendetta.

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