Les Parapluies de Cherbourg

Les Parapluies de Cherbourg

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Palma d’oro al Festival di Cannes del 1964, il meraviglioso Les Parapluies de Cherbourg di Jacques Demy torna sulla Croisette nella sezione Cannes Classics. Musical dirompente nella sua semplicità, ancora freschissimo nonostante lo scorrere dei decenni, il film di Demy è un inno pervaso di nostalgia all’amore, al candore della giovinezza, al potere scenografico dei colori. Un musical cantato, non ballato, cadenzato da un ritmo costante da chansonnier, come se da ogni angolo sbucassero dei piccoli Georges Brassens o Jacques Brel.

Que connais-tu de l’amour \ Des yeux bleus, des cheveux fous

Geneviève Emery, la cui madre gestisce un’impresa di ombrelli, ama Guy Foucher. Madame Emery non vede di buon occhio questa storia d’amore con un giovane meccanico. Guy viene chiamato alle armi per la guerra d’Algeria e Geneviève gli si concede prima della sua partenza. Lei è incinta. Il ragazzo dà poche notizie. Spinta dalla madre, Geneviève accetta di sposare Roland Cassard, un ricco mercante di diamanti. Qualche anno dopo, una sera di Natale, nevica e… [sinossi – festival-cannes.com]

È già tutto contenuto nel suo incipit Les Parapluies de Cherbourg, da quel movimento di macchina che dal totale del porto ruota fino a porsi parallelamente al pavé, sopra le teste dei passanti, soprattutto sopra i loro ombrelli. Piove, mentre nel finale nevicherà. I colori sono già accesi, pastellosi, cromatismi raffinati che domineranno la pellicola; le note di Michel Legrand ci suggeriscono di diffidare dei grandi amori fiabeschi, di preparaci al retrogusto amaro della (azzurra, celeste) nostalgia; Demy ricorre di tanto in tanto a qualche raffinato movimento di macchina, ma senza strafare, misuratissimo nella composizione delle inquadrature, elegante, commovente nella sua caleidoscopica semplicità. Ma sì, scriviamolo: Les Parapluies de Cherbourg è un capolavoro.

È facile pensare a una declinazione europea, autoriale e molto controllata dei musical minnelliani. Il cuore cinefilo batteva lì e la strada dei generi europei passava per forza attraverso la rielaborazione dei capisaldi hollywoodiani. Guardando molto più avanti, decenni dopo, le fonti d’ispirazione in parte si rovesciano e si rintracciano facilmente le suggestioni di Demy, mescolate ad altri autori e altri classici, in La La Land di Damien Chazelle. Eredità fertili, passaggi di consegne, anche se probabilmente irripetibili. Restando però alla prima immagine de Les Parapluies de Cherbourg, al porto, la mente corre a un’altra inquadratura industriale: questa volta le note sono di Jens Wilhelm Petersen, c’è più gioia che nostalgia, e l’amore sboccia rigoglioso tra la classe operaia dell’altrettanto magnifico e fondamentale Otto ore non sono un giorno (1972-73) di Rainer Werner Fassbinder. Hanna Schygulla come Catherine Deneuve, Gottfried John come Nino Castelnuovo. La questione di classe emerge anche in Demy, centrale ma mai invasiva: se Fassbinder, non potendo proseguire la sua avventura televisiva, non porta all’ultimo stadio la parabola amorosa di Marion e Jochen, Demy ci prende per mano e ci mette di fronte al destino fatale, incanalato dalla guerra in Algeria, dalla madre di Geneviève, dai diamanti di Roland.

«Je t’aimerai jusqu’à la fin de ma vie!». Nevica. Le stagioni dell’amore sono oramai lontane, ripiegate senza colpa su scelte più semplici, anche appaganti. La famiglia, i figli, la tranquillità economica, un lavoro. L’addio innevato era già scritto sul volto della Deneuve in uno dei passaggi più ispirati e strazianti, quando la bella Geneviève si domandava «io, che sarei morta per lui, perché non sono morta?». Les Parapluies de Cherbourg è diviso in tre atti, La partenza, L’assenza e Il ritorno, in un arco temporale che da novembre 1957 segue i due innamorati fino a una sera di dicembre del 1963. Geometrico anche nella scansione temporale, Demy ci suggerisce via via l’impossibilità di questo amore, l’incalzare di eventi piccoli o grandi, della Storia e delle storie. Perché, in fin dei conti, ne Les Parapluies de Cherbourg a cantarei loro versi d’amore ci sono anche Roland e Madeleine, a loro modo salvifici. Insomma, non è tempo di morire d’amore, nemmeno in un film.

1964\2024. L’eterna giovinezza de Les Parapluies de Cherbourg è probabilmente figlia dei suoi cromatismi grimaultiani, dei toni addolciti, della sinuosità dei movimenti di macchina, dell’alternanza di quadri fissi, di primi piani emotivamente densissimi ma mai sovraccarichi. Tra i tanti perché, ne indichiamo uno: l’incoronazione di Geneviève. Inquadrata frontalmente, Geneviève\ Deneuve tiene lo sguardo basso, per poi guardare verso Roland (verso il pubblico): «voi siete il mio re». Con la corona in testa, tornati al medesimo primo piano dopo un totale della tavolata, Geneviève abbassa le palpebre e lievemente la testa. In queste due inquadrature, in questo gesto finale, c’è tutta l’ineluttabilità della sorte, c’è tutta la bellezza de Les Parapluies de Cherbourg.

Info
La scheda di Les Parapluies de Cherbourg sul sito del Festival di Cannes.

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