Il leone di Orvieto

Il leone di Orvieto

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Aureliano Amadei ne Il leone di Orvieto racconta le tappe dell’incredibile scalata che ha portato Giancarlo Parretti da scugnizzo di umili origini in quel di Orvieto ai red carpet hollywoodiani. Al Festival Internazionale del Film di Roma.

Una battuta d’arresto

Giancarlo Parretti, nato a Orvieto da una famiglia umile, inizia a lavorare molto presto. Ma già al tempo dei primi impieghi come lavapiatti, quell’adolescente dimostra di avere ben altre ambizioni. Nell’arco di vent’anni si associa con uomini della politica e della finanza, senza preclusione di colore, genere e credo, con l’unico fine di conquistare la leggendaria Metro Goldwyn Mayer. L’operazione si rivela il più grande crack finanziario della storia del cinema. Ma Parretti oggi dichiara candidamente: “Per me l’MGM è come ‘na donna… l’importante era conquistarla, poi doppo quel che succede, succede…” [sinossi]

Cameriere, barman su navi da crociera, imprenditore, presidente di una squadra di calcio, editore, albergatore, costruttore e infine proprietario di case di produzione e distribuzione cinematografiche come la Pathè e la MGM: sono queste le tappe dell’incredibile scalata che ha portato Giancarlo Parretti da scugnizzo di umili origini in quel di Orvieto ai red carpet hollywoodiani. A raccontarcela è Aureliano Amadei ne Il leone di Orvieto, che a distanza di due anni dall’esordio nel lungometraggio di finzione con il pluripremiato 20 sigarette, torna al documentario per la terza volta dopo Cercando Stella – La vita di Celeste di Porto e Non pensavo che la vita fosse così lunga – Biografia di Tiberio Mitri. Ancora un biopic, dunque, dopo quello sull’ebrea collaborazionista tedesca e il celebre pugile triestino, ad aggiungere un nuovo avvincente ritratto alla sua personale galleria cinematografica.

Amadei firma una biografia dell’assurdo spassosa e divertente che approda sugli schermi della settima edizione della kermesse romana nella sezione competitiva Prospettive Italia. Le interviste frontali a Parretti e a un coro greco formato da collaboratori, economi, legali, broker e storici del cinema, permettono al regista romano di portare sul grande schermo una storia improbabile ma realmente accaduta, condita da episodi che credere veri risulta piuttosto difficile. Del resto, la realtà supera spesso l’immaginazione e la vita di Parretti ne è la prova tangibile. Ne Il leone di Orvieto, il regista romano mescola la storia personale e professionale di Parretti con quella degli ultimi trent’anni del nostro Paese, un po’ come Giacomo Durzi e Giovanni Fasanella fanno nel loro S.B. Io lo conoscevo bene, dove raccontano l’ascesa e la caduta del Cavaliere attraverso le testimonianze di un gruppo di dissidenti. E a giudicare dalle rispettive biografie, entrambi i documentari delineano i tratti di esistenze pubbliche e private consumate tra legalità e illegalità, gaffe clamorose e grandi imprese, in un parallelismo che finisce anche per incrociarsi. Amadei firma un ritratto che per il tono può sembrare quasi elegiaco, costruito per mettere su un piedistallo la figura e il personaggio dell’ex “magnate” umbro, quando in realtà si prende gioco e irride il protagonista, ma forse questo allo spettatore non è arrivato e probabilmente nemmeno allo stesso Parretti.   

Il risultato è un racconto dal ritmo serrato, straordinario per il modo in cui Amadei cuce parole e immagini di ieri e di oggi, alimentando il tutto con un collage di fotografie, animazioni, materiali d’archivio e un gioco parodistico sull’immaginario di celluloide reso possibile da una manipolazione di pellicole sottratte al passato. A stonare sono alcune soluzioni di montaggio del tutto gratuite come l’uso della tecnica del rotocalco, ma che fortunatamente non vanno a influire più di tanto sulla riuscita del documentario, arricchito al contrario da una fotografia molto curata, da un montaggio eclettico e da musiche davvero azzeccate.

Info
Il trailer di Il leone di Orvieto.

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