Race – Il colore della vittoria
di Stephen Hopkins
Muscolare, spettacolare nella resa dei trionfi dell’atleta Jesse Owens, Race – Il colore della vittoria si rivela debole sia come puro biopic, che come descrizione di una vicenda umana e sportiva che assumerà un forte valore simbolico.
L’icona che corre
1936: mentre il regime nazista vuole sfruttare l’occasione degli imminenti Giochi Olimpici per far mostra al mondo della sua potenza, gli USA si preparano ad inviare a Berlino un atleta di colore, Jesse Owens. Vincendo le resistenze della comunità nera, che gli chiede di non partecipare, e le perplessità di parte dello stesso Comitato Olimpico, Owens si aggiudicherà ben quattro medaglie d’oro, divenendo un simbolo della lotta alle discriminazioni nel cuore stesso della Germania Nazista. [sinossi]
È singolare che Hollywood non avesse mai, finora, sfruttato una vicenda che ha in nuce forte una componente spettacolare, e in un certo senso “cinematografica”, come quella di Jesse Owens. I trionfi dell’atleta afroamericano ai Giochi Olimpici di Berlino, nel 1936, furono infatti celebrazione per eccellenza dell’America del New Deal (quella che aveva appena portato il paese fuori dalla Depressione) oltre che vetrina per la versione più inclusiva e progressista del Sogno Americano. Una celebrazione portata avanti a dispetto, e in contrasto, con una realtà sociale che, in quegli anni, vedeva i cittadini di colore subire discriminazioni non dissimili da quelle a cui, nella Germania nazista, venivano già sottoposte le minoranze non ariane. Una Hollywood che, nell’ultimo decennio (in parallelo con la presidenza Obama) ha riflettuto più e più volte sulla storia della nazione americana, e sulle contraddizioni che ne hanno caratterizzato la crescita, sembra ora voler colmare la lacuna nel modo più “muscolare” ed esplicito. Questo Race – Il colore della vittoria, è infatti racconto di un’impresa umana e sportiva più che biopic, resoconto di una vicenda che avrebbe anticipato (in parte forzandone e semplificandone le premesse) il ben più tragico confronto internazionale a cui il mondo avrebbe assistito di lì a pochi anni.
Stephen Hopkins, artigiano hollywoodiano che era rimasto in silenzio per quasi un decennio (il suo ultimo film, I segni del male, risale al 2007) non è mai stato regista atto a sottigliezze narrative. Questo suo nuovo lavoro, nonostante il rilievo e la pregnanza del tema, non fa che confermare tale caratteristica: l’approccio celebrativo e mitizzante al suo oggetto, il suo vivere quasi esclusivamente in funzione dell’ultima, catartica mezz’ora (in cui vengono messe in scena le quattro competizioni che vedranno Owens trionfare) si traduce per i tre quarti del film in un andamento stanco e risaputo. Nella descrizione della maturazione umana e sportiva del personaggio, la sceneggiatura sembra voler mettere innanzitutto in luce il legame tra Owens e il suo allenatore Larry Snyder; ma il modo in cui il rapporto tra i due è delineato appare più che mai stereotipato, ricco di luoghi comuni narrativi che sorvolano su una sua qualsivoglia contestualizzazione, oltre che oggetto di un’evoluzione fin troppo rapida. Più in generale, la componente biografica del film, quella che pretende di indagare tra la dimensione privata del personaggio e quella di improvvisa icona internazionale, è di fatto nulla: assente qualsiasi riflessione sulle ricadute familiari delle imprese dell’atleta (oggetto di un subplot stanco, abbandonato nel giro di pochi minuti), consapevolmente e furbescamente sfumata la resa di un contesto sociale ancora animato da un razzismo esplicito.
Race – Il colore della vittoria vive così in funzione, e in esplicita preparazione, della sua mezz’ora conclusiva: qui, la natura di reimmaginazione e ricontestualizzazione del suo oggetto (l’impresa di Owens, più che l’atleta in sé) nella dimensione e nelle modalità di rappresentazione dello schermo cinematografico, può saldarsi al meglio con l’approccio registico di Hopkins. A partire dal lungo piano sequenza che accompagna l’ingresso del protagonista nello stadio di Berlino, l’attitudine muscolare e “maschile” del regista di origini giamaicane può esprimersi in tutto il suo vigore; quasi che la dimensione del biopic, e della ricostruzione storica che vi fa da sfondo, avesse trovato, nei restanti minuti di film, un regista insofferente e poco a suo agio. Un’interpretazione ardita potrebbe persino leggere, nel film di Hopkins, una sorta di risposta hollywoodiana (a ottant’anni di distanza) a quella problematica celebrazione che portava il titolo di Olympia, di Leni Riefenstahl: una riappropriazione di un evento (e di un trionfo) da portare avanti coi mezzi, tecnici e stilistici, che il cinema statunitense già allora stava contrapponendo a quelli delle cinematografie europee.
Pregevole, seppur diseguale, a livello di confezione, Race – Il colore della vittoria sconta da un lato la scarsa dimestichezza del suo regista col genere del biopic (specie se calato, come in questo caso, in un contesto storico fortemente caratterizzato), dall’altro la sua concezione, che ha voluto farne celebrazione di un’icona (e di un combattente ante litteram) più che racconto di un percorso umano, sportivo e sociale. È difficile, in questo senso, persino giudicare la prova dei due protagonisti (il canadese Stephan James nei panni di Owens, Jason Sudeikis in quelli di Snyder) alle prese con due personaggi a cui la sceneggiatura non si preoccupa di dare spessore, credibilità e zone d’ombra. Decisamente più efficaci, seppur aiutati da una buona dose di mestiere, due veterani come Jeremy Irons e William Hurt: ad animare, in due ruoli antitetici, la (sacrificatissima) componente storico-politica che accompagna il percorso di Owens verso i Giochi.
Info
Il trailer di Race – Il colore della vittoria su Youtube.
- Genere: biopic, drammatico, sportivo, storico
- Titolo originale: Race
- Paese/Anno: Canada, Francia, Germania | 2016
- Regia: Stephen Hopkins
- Sceneggiatura: Anna Waterhouse, Joe Shrapnel
- Fotografia: Peter Levy
- Montaggio: John Smith
- Interpreti: Amanda Crew, Arthur Holden, Bruno Bruni Jr., Carice van Houten, Eli Goree, Giacomo Gianniotti, Jaa Smith-Johnson, Jason Sudeikis, Jeremy Ferdman, Jeremy Irons, Jesse Bostick, Jon McLaren, Jonathan Aris, Karl Graboshas, Larry Day, Moe Jeudy-Lamour, Shamier Anderson, Stephan James, Tim Post, William Hurt
- Colonna sonora: Rachel Portman
- Produzione: Forecast Pictures, JoBro Productions & Film Finance, Solofilms, Trinity Race
- Distribuzione: Eagle Pictures
- Durata: 134'
- Data di uscita: 31/03/2016