Car Crash

Car Crash

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Film d’azione e motori, tra gare automobilistiche e scommesse clandestine, Car Crash di Antonio Margheriti (Anthony M. Dawson) testimonia un modo di pensare, fare e fruire cinema ormai perduto in Italia. Prima volta in dvd per Mustang e CG.

Paul è un pilota automobilistico spericolato e senza paura. Nick è il suo amico e sodale, napoletano emigrato in America. Tra Messico e Stati Uniti i due devono districarsi in mezzo a un giro di scommesse clandestine e si trovano a difendere anche una giovin donzella coinvolta in un affare di statuette contraffatte. [sinossi]

In Italia c’era un tempo in cui si poteva entrare al cinema in qualsiasi momento. Pagare il biglietto a spettacolo iniziato, vedersi magari il secondo tempo e poi recuperare nello spettacolo successivo quel che non si era visto (e dopo l’ultimo spettacolo della giornata spesso era prevista anche la replica del primo tempo per i ritardatari). A tutt’oggi il nostro paese conserva un buon margine di tolleranza per l’ingresso in sala rispetto alle rigidità di altri paesi europei, ma ormai da anni anche da noi si controllano gli orari e si cerca di essere sempre puntuali, con grande ossequio all’integrità e vettorialità dell’opera cinematografica. E soprattutto difficilmente gli esercenti permettono la permanenza in sala per anche solo una parte della proiezione seguente. La visione frammentaria di cui sopra, invece, che per molti italiani era una normale prassi fino alla fine degli anni Ottanta, identificava un consumo prettamente popolare, caratteristico soprattutto delle sale di provincia e periferia, dove ancora si conservavano tracce della fruizione cinematografica come pura meraviglia del vedere. E in tal senso il cinema di genere di casa nostra si profilava come la creazione più adatta a uno spettacolo così concepito: trame elementari, grande enfasi sull’attrazione spettacolare, totale autogiustificazione di effetti, frastuoni e fracassi.
Car Crash (1981) del glorioso Antonio Margheriti in arte Anthony M. Dawson sprigiona fin dalla sua sequenza d’apertura (largamente interpolata con immagini di repertorio) i profumi delle sale di profondità: semi di zucca, lupini, aranciata in bottiglia di vetro con la cannuccia e cicche di sigarette nascoste sotto le poltroncine. Il cinema inteso come entusiasmante ludus per chi lo vede e chi lo fa, foriero di stimoli alla fantasia per trovare soluzioni elementari e a basso costo per visioni troppo grandi negli stretti orizzonti italiani.

Com’è noto Margheriti ha attraversato tutti i generi possibili. Per il cinema italiano il biennio 1980-81 vede tra le altre cose la scoperta del filone moto-automobilistico, che aveva colto un buon successo col dittico di Stelvio Massi Speed Cross e Speed Driver, con Vittorio Mezzogiorno chiamato tra i protagonisti a interpretare coloriti partenopei. Accade lo stesso anche in Car Crash, dove Mezzogiorno ricopre il ruolo di un napoletano emigrato oltreoceano, sodale e amico di uno spericolato pilota, interpretato nientemenoché da Joey Travolta, fratello canterino del più noto John.
Ovviamente fin dallo sfruttamento di oscuri fratelli di celebrità internazionali Car Crash dichiara la sua appartenenza al nostro cinema di genere più ruspante, capace di fare spesso ricchissime nozze coi fichi secchi (basti ricordare lo 007 nostrano OK Connery, 1967, girato da Alberto De Martino con protagonista Neil Connery, fratello di Sean). Solo che rispetto al dittico di Massi, il film di Margheriti sfrangia ancora di più i confini del genere, aprendosi sostanzialmente ai più diversi contributi possibili, avvitati intorno all’unico filo conduttore dell’avventura e spettacolarità automobilistica. Così i due protagonisti Paul e Nick attraversano le più svariate vicissitudini, prendendo le mosse da un consueto groviglio di scommesse clandestine intorno alle gare di macchine per scorrazzare su e giù tra Messico e Stati Uniti in una catena di imprevisti picareschi.

La struttura è vistosamente episodica, aperta alle svolte più diverse e composta di sequenze pressoché autoconcluse, finché Paul e Nick non si rimettono in auto per l’ennesima volta in cerca di nuovi guai. Teoricamente il racconto può andare avanti così all’infinito. È la struttura del fumetto, di cui Margheriti era vorace lettore e collezionista, applicata al linguaggio del cinema tramite la struttura collaudata della coppia di protagonisti dagli opposti caratteri.
In sostanza, come dichiara lo stesso Edoardo Margheriti, figlio di Antonio, che a lungo collaborò col padre, le trame venivano in un secondo momento, dopo aver deciso che il prossimo progetto prevedeva l’esplosione di una diga, il deragliamento di un treno, la caduta di un elicottero o quant’altro. Una volta stabilita la quantità di pirotecnia si poteva passare a lavorare sulla storia che avrebbe ricompreso quegli effetti e quelle meraviglie. Car Crash risponde esattamente a tale metodo: le lunghe sequenze spettacolari costituiscono il cuore del film, girate non solo con consueta perizia ma anche con evidente e contagioso piacere per il gioco-cinema.
Molto affezionato alla messinscena di colossali esplosioni, Margheriti non vi rinuncia neanche in un contesto poco consono come una storia di gare automobilistiche, e per ben tre volte vediamo deflagrare poderose nuvole di fuoco su nel cielo. Ma più di tutto Car Crash sembra rispondere a quella fruizione popolare di cui parlavamo in apertura, sposando un’idea di cinema che giustifica se stesso nel puro atto del mostrare e del meravigliare. È facile immaginare infatti che in una vecchia sala di provincia chiunque potesse entrare in qualsiasi momento e godersi brani del film assumendo in tempi brevissimi le coordinate necessarie alla comprensione della storia. Chase, inseguimenti, gare di macchine, una bella ragazza da difendere e salvare, e buoni contro cattivi di immediata identificabilità. Non è un caso infatti che ai cattivi (a uno di loro soprattutto) venga riservato un trattamento a dir poco lombrosiano, coadiuvato da inquadrature ravvicinate e deformanti su volti mostruosi, solcati da occhiaie violacee e corredati di panze in bella mostra.
Di più: concorre alla facile fruizione il ricorso a facce di notissimi caratteristi, che per anni hanno animato gli schermi delle sale disperse di seconda visione.
Basti pensare che il più violento dei cattivi di Car Crash è interpretato da Sal Borgese, volto notissimo abbonato ai ruoli di perfido talmente spietato da rasentare spesso l’autoparodia. Non ultimo, gioca a favore dell’immediatezza fruitiva il ricorso a figure dialettali (il personaggio di Vittorio Mezzogiorno), tanto fuori contesto quanto efficaci nel conferire rapida empatia e familiarità al pubblico di casa nostra.
E non è altresì da dimenticare l’apporto decisivo dell’intertestualità tra film diversi, che spesso vede la migrazione di personaggi pressoché identici da un film all’altro impersonati sempre dallo stesso attore. Torniamo di nuovo a Vittorio Mezzogiorno, che incarna figure dialettali invischiate in corse di moto e auto in più film diversi. Non si tratta di una vera e propria serialità, bensì di una “serialità diffusa”, fondata sulla riproposizione di storie e personaggi già noti senza alcun reale legame diegetico tra un film e l’altro. Tutto ciò concorre all’allestimento di uno spettacolo che in qualsiasi momento può essere fruito con piena soddisfazione. Pazienza se si è arrivati tardi, si recupererà il primo tempo alla fine. Intanto però possiamo goderci le mirabolanti corse in auto, le scazzottate, le esplosioni pirotecniche. Forma popolare di divertimento ormai aliena ai nostri tempi, e che già nel 1981 iniziava a mostrare la corda, giunta al capolinea di un’idea popolare di cinema destinata a scomparire dai nostri orizzonti nei successivi dieci anni.

È arduo giudicare un film come Car Crash ai giorni nostri. Benché il soggetto porti la firma addirittura di Marco Tullio Giordana, l’intreccio è elementare oltre ogni ragionevolezza e la vicenda di raccordo tra una sequenza d’azione e l’altra è esilissima e incoerente. Sembra venire da un passato ancor più lontano, da un modo di fare, pensare e consumare cinema sconosciuto e perduto. D’altro canto si tratta anche di cinema concepito per un pubblico giovane, idea assai ignota alla nostra produzione attuale (e quel poco che c’è, si aggira intorno a Moccia). Viene da immaginarsi Car Crash programmato tra il 1980 e ’81 in qualche cinema della periferia romana, per un pubblico di ragazzi esaltati all’idea di vedere sullo schermo spettacolari avventure automobilistiche in cerca di immediate identificazioni. Senza voler forzare troppo la mano viene anche da pensare che quel pubblico giovane di borgata, entusiasta per Car Crash, è anche la prima manifestazione di quell’omologazione proletaria preconizzata tra rabbia e sofferenza da Pier Paolo Pasolini. Giovani ex-sottoproletari che vagheggiavano sullo schermo sogni e illusioni ammanniti dal tritacarne omologante. In tal senso Car Crash pullula di nuovi status symbol anni Ottanta, dall’esaltazione della macchina e dell’atto gratuito alla velocità, alla difesa della bella di turno, all’esotismo dei paesaggi messicani, alla ruvida amicizia virile con tanto di scontri e scazzottate, alla legge del più forte, a un certo ribellismo edonistico. Tutto un immaginario da America indigenizzata. Mentre tutta una cultura, contadina e sottoproletaria, agonizzava in una fumosa sala di provincia.

Note: La qualità video non è delle migliori. Frequenti le sgranature ed evidente la riconversione da un master piuttosto rovinato.
Extra: “Margheriti il maestro dei trucchi”, intervista a Edoardo Margheriti a cura di Davide Pulici (19′). Scene tagliate (15′): alcune di esse rendono tra l’altro più chiari alcuni passaggi narrativi che nel montaggio definitivo restano decisamente incomprensibili.
Info
La scheda di Car Crash sul sito di CG Entertainment.
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