Cane di paglia

Cane di paglia

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Natura e cultura, istinto e legge morale. Cane di paglia di Sam Peckinpah si riconferma un sagace western camuffato da dramma psicologico, spietatamente lucido e intelligente. Pessimista, nichilista, semplicemente splendido. In dvd per Sinister e CG in versione restaurata.

David Sumner, professore americano di matematica, si trasferisce con la moglie Amy in un villaggio britannico del quale la donna è originaria. La comunità, gretta e isolata, guarda subito con sospetto e disprezzo al nuovo venuto, considerato un nerd senza spina dorsale. Dal canto suo, Amy scopre che il marito è diverso da come si aspettava, e che non reagisce alle provocazioni come lei vorrebbe. La tensione va crescendo finché Amy non viene violentata da alcuni operai. Ma sarà la caccia all’uomo ai danni dello scemo del villaggio a far cambiare le cose per David… [sinossi]

Il maschio è feroce, attacca il nemico alla gola, specie se invaso nel suo territorio, opportunamente segnato come fanno i cani. Lo è altrettanto la comunità degli uomini, svelta a darsi man forte per escludere e togliere dignità al nuovo e al diverso. Il cinema di Sam Peckinpah è sempre stato fortemente pessimista, ma nel capolavoro Cane di paglia (1971) deflagra in tutta la sua potenza una costante della sua opera: è l’uomo ancestrale e primitivo a occupare il centro del racconto, la sua ferocia istintiva, il suo egoismo, rintracciabile come un universale umano anche nelle vesti meno prevedibili.
Le dinamiche tra uomini sono pure quelle della caverna, dell’uomo che sfida il contendente sul terreno del dominio fisico, del possesso della donna, della conquista del territorio. Il cinema di Peckinpah non è fascista, come spesso è stato detto a suo tempo: semplicemente parla per lo più dell’universo maschile con pieno pessimismo nei confronti della violenza dell’uomo, rintracciandone i segni millenari in comportamenti “culturali” di altre epoche. Non è un caso in tal senso che Peckinpah abbia dedicato buona parte della sua carriera a una rivisitazione del western, dandone una propria lettura sporca e istintiva.

Ma nell’ordine di primitive forme di socialità umane c’è un filo rosso che tiene insieme ad esempio Cane di paglia con Getaway! (1972), opera diversissima di appena un anno dopo in cui però ha luogo un altro violento esproprio di femmina ai danni di un remissivo veterinario. Benché in Getaway! l’episodio faccia parte di un subplot secondario, le dinamiche sono davvero molto simili alla brutale effrazione di territorio di Cane di paglia: l’atto sessuale con la donna a vari gradi di consenso e violenza, femmina che si vuole strappare a un marito/compagno ritenuto indegno e inferiore alla propria carica virile (in Getaway! l’atto si fa ancora più violento poiché avviene alla presenza del marito legato a una sedia).
In pratica, in un mondo di istinti primordiali la prima vittoria in battaglia è quella sul territorio del furto di dignità. E all’uomo vulnerato non restano che due strade: o rispondere alla violenza dando libero corso al Neanderthal che è in lui (Cane di paglia), oppure suicidarsi (Getaway!). Ma il cinema fascista è decisamente altrove, quando l’uomo-contro-uomo diventa oggetto di esaltata celebrazione. Peckinpah è invece dominato da uno spirito di amarissima constatazione, fortemente persuaso delle proprie riflessioni. Il distruttore forse più convinto del Sogno Americano e delle sue smaglianti certezze.

Com’è ben noto Cane di paglia vede infatti l’escalation di violenza di un pacato (ma probabilmente nevrotico) professore americano, David Sumner, che va a vivere con la moglie Amy nel villaggio britannico del quale la donna è originaria. Lo scopo del professore è trovare un luogo abbastanza quieto e isolato per concentrarsi nella scrittura di un saggio, ma da subito gli abitanti del luogo non sembrano particolarmente accoglienti nei confronti dell’americano. Mentre la moglie Amy ritrova vecchie conoscenze, David è a poco a poco deriso e denigrato dai villici del luogo, che vedono l’americano come una specie di nerd senza spina dorsale. Il massimo segno di disprezzo nei suoi confronti si esplica quando alcuni operai lo coinvolgono in una battuta di caccia per abbandonarlo poi in mezzo alla campagna e andare a violentare sua moglie rimasta a casa da sola. Lo stupro rimarrà un segreto, ma un successivo episodio di giustizia sommaria ai danni dello scemo del villaggio scatena la bestia nascosta al fondo di David.

Cane di paglia è un’opera di rarissima densità espressiva, radicata in una riflessione polifonica sull’uomo e le sue relazioni col mondo. Il conflitto primario ha luogo nello scontro fra natura e cultura, che a sua volta rimanda all’uomo delle caverne e alla distanza tra istinto e legge morale. In tal senso il villaggio britannico isolato dal resto del mondo si profila come un’istituzione sociale dall’impronta primitiva, fondata su clan e tribù. L’elemento estraneo è percepito come diverso e distante, perché troppo serio, troppo educato e impacciato. Il disprezzo nei suoi confronti ha il suo climax nella predazione sessuale della moglie, che del resto arriva a coronamento di una serie di segnali in quella direzione (già nell’incipit il villico Charlie, ex-simpatia di Amy, non si fa scrupoli particolari nel flirtare con la donna quasi alla presenza di David).
Sulle prime David è rappresentante della buona cultura americana, le buone maniere e la cordialità, a loro volta ipocrite e in qualche modo colpevoli se non addirittura complici (per viltà David non reagisce alle avances di Charlie su Amy). È quello che la stessa Amy rimprovera all’uomo, ed è in questo che va forse rintracciata la causa della tanto discussa reazione di Amy allo stupro. A suo tempo, tra le tante polemiche che Cane di paglia suscitò, vi fu anche l’alzata di scudi delle femministe, che puntarono il dito sull’ambigua rappresentazione della donna nel brano della violenza carnale. In sostanza Amy sembra combattuta tra rifiuto e piacere, e questo fu ritenuto inaccettabile.
Ma la ragione di tale ambiguità (ammesso che vi sia, poiché ai nostri occhi sembra che il rifiuto di Amy resti comunque evidente) risiede semmai nel disprezzo che pure la donna inizia a nutrire per il marito e per la sua assenza di reazioni immediate alle provocazioni. È Amy per prima ad avvertire insomma che David non difende abbastanza il proprio territorio, frenato dalla paura degli altri.

Sulla stessa linea degli opposti, il film assume una portata ancora più ampia nell’ultima mezz’ora, in cui natura e cultura vengono a scontrarsi sul terreno dell’applicazione della giustizia. Ciò che fa esplodere l’animale in David, oltre all’inviolabilità “all American” della proprietà privata (la casa), è l’infrazione al principio democratico della “giusta giustizia”. In pratica, se lo scemo del villaggio ha commesso un omicidio, merita comunque un processo e non un sommario linciaggio di massa. Tra gli assediati e gli assedianti dello scioglimento si fronteggiano nientemeno che stato di natura e stato di diritto. E David mostra però a sua volta il carattere fortemente ipocrita e violento dello stato di diritto: per difenderlo e preservarne l’applicazione, il timido americano è costretto a fare una carneficina. Ultimo stadio del Sogno Americano, riproposizione violenta e degradata di un modello culturale agonizzante. Ovvero, il destino dell’uomo è nella violenza, e non vi è alcuna forma sovra-individuale che possa dare garanzie a nessuno. Pessimismo puro e nichilismo esistenziale.

Pur lontano geograficamente e tematicamente dal Far West, Cane di paglia non è altro che un western ricollocato in Gran Bretagna, di cui assume le vesti con piena evidenza nell’ultima mezz’ora, pur avendo già nelle sue premesse tutti i connotati di uno scenario da Frontiera degradata. C’è lo scontro tra uomini senza scrupoli (ma chi è l’eroe? nessuno, men che meno David), c’è la posta in gioco (il territorio, la donna), stavolta però lontana da implicazioni contingenti come denaro e potere, e riportata a una dimensione prettamente istintiva: il possesso per se stesso, autoreferenziale e autogiustificato. C’è l’assedio, lo scontro a fuoco, ci sono i fucili.
Decostruendo miti americani Peckinpah smonta a poco a poco anche il linguaggio-cinema. Dopo una prima parte sapientemente costruita sulla tensione dei rapporti umani e sull’inquieta attesa (preziosissima in tal senso è anche la gestione dei dialoghi, silenzi compresi), Peckinpah fa letteralmente a pezzi il linguaggio classico tramite un montaggio quasi subliminale nella sua frenetica frammentazione. Negli ultimi 40 minuti si potranno contare centinaia d’inquadrature combinate in una catena serratissima del tutto funzionale alla resa espressiva di un interminabile assedio. Altrettanto funzionali risultano le scelte dell’ampiezza di campo, con un uso intelligente e inedito del macro-dettaglio, piazzato spesso a sorpresa con effetto-shock.
E ampie anticipazioni di tale esplosione finale si hanno nella progressiva deformazione dell’immagine, che dalle tacite tensioni dell’incipit si apre a mostruosi contre-plongés durante la squallida festicciola in parrocchia (di rara efficacia drammatica è anche l’uso dei primi piani sempre più allucinati di Susan George, in preda ai ricordi in frammenti di flashback della violenza subita).
Spira un disprezzo generalizzato, puramente misantropico, verso ogni essere umano e verso qualsiasi manifestazione di carnalità, ivi compresa un’estenuata sensualità che sembra permeare morbosamente tutte le relazioni e pulsioni. E nel finale certi picchi sanguinolenti in aria di proto-Tarantino, se ricondotti al 1971, ci parlano di un cinema d’avanguardia anche nella rappresentazione della violenza, all’epoca per lo più confinata ancora al cinema di genere. Per un Sogno da demolire bisogna passare insomma anche attraverso una demolizione linguistica. Mentre l’unica dimensione possibile per l’uomo resta quella dell’istinto, scrutato e raccontato in tutta la sua carica mostruosa e aberrante.

Peckinpah condusse un’operazione interessante anche sul giovane Dustin Hoffman. Nella nevrotica repressione di David Sumner sembra di vedere una sorta di sequel de Il laureato (1967) di Mike Nichols. Il timido Benjamin Braddock, privo di una propria vera volontà, si è trasformato in un adulto impacciato che non sa farsi valere. Almeno fino a quando non vanno a toccargli i fondamenti delle sue sovrastrutture culturali. In quel caso, sono cazzi.

Extra: tv spot e trailer cinematografico.
Info
La scheda di Cane di paglia sul sito di CG Entertainment.
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