Nemesi

Nemesi

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Walter Hill torna alla ribalta con Nemesi, marcando una volta di più la distanza tra l’omogeneizzato cinema di genere contemporaneo e la materia purulenta che la sua generazione ha saputo maneggiare con cura. Un film di genere e sul genere, secco e privo di compromessi.

Il cinema di genere

Nemesi è la storia di un sicario di nome Frank Kitchen, assoldato per uccidere il fratello di una brillante chirurga estetica. Il medico si vendica praticando sull’uomo un intervento di riassegnazione di genere non richiesto.
Michelle Rodriguez interpreta lo sconvolto Frank, chiamato a confrontarsi con la nuova condizione di donna, e con gli effetti della crudele tortura psicologica che ne ridefinisce l’identità di genere. Tuttavia lo spietato assassino, divenuto vittima della folle carnefice impersonata da Sigourney Weaver, si sente più forte di prima e ha già un piano per assestare la sua decisiva contro-vendetta.
[sinossi]

Nemesi, il titolo scelto dalla Notorious Pictures per la distribuzione italiana del nuovo film di Walter Hill, si distanzia nettamente dall’originale The Assingment, ben più secco e preciso nel centrare il cuore del discorso: un incarico, da portare a termine quale che siano i meccanismi che ciò mette in atto. Ma nemesi è forse il termine migliore per indicare la sventurata storia distributiva di questo piccolo gioiello del b-movie, in un’epoca in cui il b-movie è di moda solo se riscritto, rivisto, reinserito in un sistema di lettura a posteriori, e non nella realtà produttiva pura e semplice. Walter Hill è un regista passato di moda da molto, troppo tempo: si scriveva di lui al passato già all’epoca del dittico western composto da Geronimo e Wild Bill, vale a dire quasi venticinque anni fa. Quando venne alla luce il livido e cruento Ancora vivo, incursione nel terreno preparato da Kurosawa prima e da Leone poi, per parte della critica era già un regista d’altri tempi, un passatista cui ancora si dava la possibilità di lavorare sul set. Era il 1996, e Walter Hill aveva all’epoca 54 anni. Il terzo millennio ha portato con sé l’oblio in vita di questo rapsodico regista, che pure aveva marcato a fuoco gli anni Settanta e Ottanta, donando nuova vita al genere – e non solo – con titoli passati alla storia quali Hard Times, Driver l’imprendibile, I guerrieri della notte, I cavalieri dalle lunghe ombre, I guerrieri della palude silenziosa, per poi sbancare i botteghini con 48 ore e Danko, l’action-comedy in odor di Perestroika interpretato da Arnold Schwarzenegger e Jim Belushi. I decenni successivi hanno relegato in un angolo un regista troppo cinefilo in maniera materica, sensibile, diretta, priva di filtri: ecco dunque che il pubblico italiano ha potuto incontrare solo di sfuggita lo sportivo e carcerario – e soprattutto morale – Undisputed, le tre ore televisive del western Broken Trail, il thriller d’azione Jimmy Bobo – Bullet to the Head, portato a Roma da Marco Müller ma trattato dalla critica con una sufficienza davvero immeritata e incomprensibile.

Anche Nemesi raggiunge le sale in colpevole ritardo, sia rispetto alla sua realizzazione (il film era al Festival di Toronto nell’edizione 2016), sia rispetto al piano preventivato dalla stessa casa di distribuzione italiana: il film, come testimoniano ancora i manifesti promozionali, sarebbe dovuto uscire lo scorso luglio, salvo essere rimandato “a data da destinarsi”, come indicava il comunicato ufficiale della Notorious Pictures. E dispiace che ora il lancio sia pressoché nullo, con un film che privo di battage uscirà in contemporanea con It, destinato ad accaparrarsi le simpatie del pubblico interessato al genere, che potrebbe preferirgli persino il pessimo Brutti e cattivi di Cosimo Gomez, imperdonabile strizzatina d’occhio al politicamente scorretto.
Non ha bisogno di dimostrarsi corretto o scorretto Nemesi, né Hill ha mai avuto intenzione di fare l’occhiolino a chicchessia. Il suo cinema era ed è un pugno nello stomaco che parte dal basso e con il basso (culturale, ma anche sociale) si confronta senza alcun timore, con una schiettezza che pochi di questi tempi hanno il coraggio e la coerenza di concedersi. Cinema di genere d’antant, Nemesi si muove con agilità su due registri temporali diversi, visto che la storia è ripercorsa a ritroso sia dal protagonista Frank Kitchen che dalla dottoressa Rachel Jane interpretata da Sigourney Weaver. Hill si riappropria degli stilemi del noir, a partire dalla costruzione di un protagonista fallace e infallibile allo stesso tempo, roso da sensi di colpa e dalla impossibilità di accettarsi fino in fondo per quello che è.
Proprio sull’identità e sul suo significato più profondo Hill gioca le carte migliori del suo piccolo gioiello: Frank è uomo trasformato in donna, per mano di una chirurga brillante quanto criminale che vuole vendicare l’omicidio dell’amato fratello scapestrato, morto per mano del bounty killer Frank. La nemesi, la compensazione, nasce dalla privazione della virilità: Frank non ha più il pene, non ha più i testicoli, non ha più escrescenze genitali in evidenza. È uomo-non-uomo, uomo nel corpo di donna, “incompiuto” ma non ermafrodito. La sua lotta per l’io non ha però traumi, perché il maschile non ha bisogno delle proprie fattezze per esprimersi in quanto tale. Frank permane uomo, al di là di ogni immagine illusoria. Un uomo che era in scena interpretato da una donna – Michelle Rodriguez, sempre a suo agio su simili registri espressivi.

Il concetto di cinema “di genere” assume dunque una duplice connotazione, che si vivifica proprio su quel tracciato narrativo basico che è indispensabile per operare una scelta di senso personale, che lambisce in qualche misura – ma con pieno godimento del marchingegno immaginario in quanto tale – il concetto politico. Dirigendo un’opera ferale e crudele, piena di ammazzamenti privi di sensi di colpa, di squallidi bordelli cinesi illegali, di garage gestiti dalla mafia, di sottoscala in cui vengono vivisezionati i poveri, gli ultimi della classe, Hill marca una volta di più la distanza tra l’omogeneizzato cinema di genere contemporaneo e la materia purulenta che la sua generazione ha saputo maneggiare con cura. Nemesi è un canto moribondo o forse già dall’aldilà, funereo come un noir privo di speranza – ma in cui in forma distorta l’happy end è ancora possibile, se tal può definirsi: Hill, come Carpenter, Dante e Landis, è fuori dall’industria, oggetto scomodo perché ingombrante nel suo peso storico. Oggetto da rimuovere, per regalare visioni più controllate, ripulite, solo all’apparenza profonde ma in realtà sterilizzate con cura ed edificate nel culto dell’immagine e non nel senso. In pochi, troppo pochi, noteranno l’uscita in sala di Nemesi. Non siate tra loro.

Info
Il trailer di Nemesi.
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