Se sei vivo spara
di Giulio Questi
A cinque anni dalla morte di Giulio Questi sembra già che la fama datagli dalla retrospettiva torinese di quell’anno – che anticipò di pochi giorni la dipartita del regista – si sia vaporizzata nella memoria di cinefili e addetti ai lavori. Si riparta dunque da Se sei vivo spara, il suo folgorante esordio, che mettendo in scena in forma estremizzata gli elementi tipici dello spaghetti western si rivela uno dei titoli più acuti nel rappresentare la lotta partigiana contro il nazi-fascismo.
L’oro della vendetta
Dopo aver compiuto una rapina, il famigerato fuorilegge Hermano viene tradito dai suoi compagni, ma riesce a sopravvivere. Determinato a vendicarsi, l’uomo parte alla ricerca della refurtiva. Sulla sua strada incontrerà tutta la miseria morale umana, anche nelle persone più insospettabili e nella buona borghesia statunitense. [sinossi]
Giulio Questi è morto a novant’anni il 3 dicembre del 2014. Pochi giorni prima, ospitato dal Torino Film Festival che gli aveva dedicato una retrospettiva (nel 2014 erano usciti anche due volumi che lo riguardavano: Uomini e comandanti, sua raccolta di racconti edita da Einaudi, e Se non ricordo male, pubblicato da Rubbettino proprio in riferimento alla retrospettiva sabauda), avevamo avuto occasione di incontrarlo. Durante l’intervista si era dilungato sulla genesi di Se sei vivo spara, il film con cui esordì alla regia di un lungometraggio nel 1967, a quarantatré anni: «Perché ho fatto un western? Non mi sarei mai sognato di dirigere un western, anche se ovviamente mi piacevano i western americani, ma in quel periodo si produceva solo quello in Italia. Io stavo scrivendo altre cose, ma tutti volevano i western perché la distribuzione volava, vendevano all’estero, c’era un boom. Venne da me un produttore, tra l’altro un tipo pieno di debiti, che era disperato: io stavo lavorando insieme a Franco Arcalli, mio amico, socio e montatore, suonano alla porta ed entra Alessandro Iacovoni che ci chiede cosa stessimo facendo. Noi gli spieghiamo che stavamo scrivendo una cosa interessante, “un film sull’erotismo e sui polli”… Era La morte ha fatto l’uovo, che stavamo abbozzando. “No, no, mettete tutto da parte. Ho bisogno di un western! Ho appena firmato un contratto per tre western con i distributori e non ho niente in mano. Stasera mi dovete scrivere due pagine qualsiasi”. Io e Kim ci siamo guardati e ci siamo messi a ridere. Abbiamo messo da parte quello che stavamo scrivendo e abbiamo buttato giù una paginetta che ho portato a Iacovoni in un bar. Lui l’ha preso di corsa e così è nato Se sei vivo spara. Iacovoni era un produttore in difficoltà, che sapeva però tenere bene i rapporti ma non aveva una lira. Tra i suoi soci il più importante era un padrone di macellerie e aveva soldi da investire. Si era innamorato di un’attrice, e come spesso capitava nel cinema di allora aveva deciso di investire i soldi per produrre un film per lei. I soldi c’erano, ma erano pochini, e la distribuzione non era una major italiana importante, ma un consorzio di distributori regionali. Io però mi sono buttato, basandomi sulla sceneggiatura che avevo scritto insieme ad Arcalli: venivamo tutti e due dalla Resistenza, e quindi anche senza volerlo nelle scene di violenza che di solito ci sono nei western avevamo inserito la memoria di ciò che conoscevamo».
Per quanto Se sei vivo spara rientri in tutto e per tutto nel filone – ricco, altro che l’oro del Klondike! – dello spaghetti western, al punto che all’estero sia stato venduto in modo un po’ truffaldino come l’ennesimo capitolo della saga dedicata a Django, è indubbio che sia difficile non accostarsi al film con una certa sorpresa, sia per le scelte tematiche che per l’evidente estremizzazione del concetto della violenza. Se il western all’italiana era visto, anche oltreoceano, come una barbarica rilettura di un genere “nobile”, che approfittava della demitizzazione del canone per solleticare gli appetiti del pubblico, in un voyeurismo che giocava sulla brama di violenza, di sangue, di sesso, nessun film aveva il coraggio di osare che mostrarono Questi e Kim Arcalli, suo fedelissimo sodale in fase di scrittura e successivamente al montaggio – Arcalli in ogni caso non partecipava al set in senso stretto, tanto che l’unico italiano in Spagna insieme a Questi era l’operatore Franco Delli Colli, cugino del più celebre Tonino. Fin dalle primissime sequenze è evidente come di dover maneggiare il western a Questi interessi solo in maniera laterale: l’epica viene brutalizzata, il senso dello spazio riletto in chiave pessimista, ogni singolo elemento viene ribaltato più e più volte, in una via crucis interminabile in cui l’eroe è a sua volta villain, la morale non ha più residenza alcuna, il senso dell’onore e soppiantato dal profumo dell’oro, e via discorrendo. Girato con pochissimi mezzi, anche perché Iacovoni aveva abbandonato Questi e la troupe al loro destino in Spagna, senza garantir loro un budget a dir poco sufficiente, Se sei vivo spara è un profondo e intelligente atto di ribellione tanto contro la produzione egemone e dominante – lo spaghetti western viene ridotto, di fatto, a una sequela ininterrotta di efferate crudeltà spesso fini a loro stesse, perché incapaci minimamente di modificare il corso degli eventi – quanto contro il progressismo di un Paese che è uscito dal fascismo, sembra suggerire il regista, indenne, facendo finta di nulla.
È invece un ritorno in montagna, Se sei vivo spara, fertile memoria della lotta Partigiana che Questi e Arcalli svolsero in prima persona in due luoghi diversi d’Italia, il valtellinese per il regista e il veneziano per il montatore. L’idea di riprendere gli avvenimenti di cui i due furono protagonisti tra il 1943 e il 1945, raffigurandoli e trasfigurandoli per poterli rendere credibili in un vecchio west che non ha nulla di storico – non che questo rappresenti un problema, sia chiaro – rende il film uno spiazzante viaggio poetico e politico, che riflette sull’Italia deragliante del boom economico. Seguendo una traiettoria coerente che troverà il suo riverbero nei successivi La morte ha fatto l’uovo e Arcana (unici tre lungometraggi della filmografia dell’autore: è davvero un peccato che l’industria non abbia saputo confrontarsi con un immaginario così fertile, intelligente, acuto e rivoluzionario), Questi sfrutta il genere per posare lo sguardo su un Paese la cui borghesia ha ucciso i banditi solo ed esclusivamente per sostituirvisi, utilizzando la medesima ferocia nei confronti delle classi subalterne e delle minoranze – non a caso le uniche vere vittime di Se sei vivo spara sono i nativi americani –, senza alcuna soluzione di continuità. Uno sguardo disperato che utilizza le armi del sadismo per evidenziare al di là di ogni ragionevole dubbio la colpa della democrazia o supposta tale, l’incapacità di una nazione di ergersi al di sopra della propria abiezione morale, riducendo tutto alla brama di denaro, di potere, di dominio sull’altro.
Allo scopo di raggiungere questo obiettivo Questi organizza un’impalcatura visiva stordente, subliminale, continuamente sorprendente e priva di paletti. Una sorta di orgia onirica in cui il giallo dell’oro e il rosso del sangue diventano le coordinate cromatiche principali, in avvicinamento e in collisione grazie al montaggio mai banale di Arcalli, che accentua il dinamismo e dunque la violenza dell’azione, senza però mai renderla parossistica. Un utilizzo dello scarso budget a disposizione che dimostra una volta di più la straripante capacità cinematografica di Questi, e la sua inventiva.
È lo stesso regista a rimarcarlo, sempre nella succitata intervista: «Il nostro villaggio western, per esempio, non era in Almeria come tutti i grandi spaghetti western: noi eravamo alle porte di Madrid, su una sierra di cui non ricordo il nome. Nella troupe l’unico italiano, a parte me, era l’operatore Franco Delli Colli, cugino di Tonino ma bravissimo a sua volta. Uno dei problemi era legato al deserto, perché come ogni western che si rispetti anche il mio prevedeva molte scene nel deserto. Io pensavo che almeno per quello saremmo andati in Almeria ma no, non c’erano i soldi. Disperato ho iniziato a girare tutte le montagne lì vicino, ma non tornavano i conti. Tornando da questi convulsi sopralluoghi per strade polverose, alla periferia di Madrid dico all’autista di fermarsi e vedo delle collinette completamente nude. Erano tre colline che le ruspe avevano ripulito dalla vegetazione perché lì doveva sorgere un quartiere residenziale. Se stavi sulla collina vedevi la città, ma restando sul fondo delle colline e guardavi verso l’alto era tutto perfetto, un deserto mai visto, completamente bianco e non rossiccio come quello dell’Almeria. Magnifico. L’abbiamo fatto lì. Il materiale girato, che partiva per Roma per lo sviluppo, era così bello che una notte mentre dormivo ricevo la telefonata di Sergio Corbucci che io conoscevo relativamente, che mi chiede dove avessi trovato un deserto così bello. “Sai, un cantiere”… Da quel momento non ne ha più parlato, ha messo giù. Il film poi è stato completato a Roma e quando è uscito è andato anche bene, ma i distributori si sono comunque messi le mani nei capelli perché era qualcosa di diverso da qualsiasi western, mancavano le icone classiche. All’estero si sono tutti innamorati di questo film, l’hanno comprato dal Giappone alla Germania. Quando è uscito pare che siano svenute un paio di persone in sala, e non me ne capacitavo perché nel western si era visto di tutto e di più. Arrivò anche un ordine della questura per bloccare il film e ho dovuto tagliare un paio di scene. Se si parla ancora di questo film dopo così tanti anni è perché si tratta di un film bastardo, strano, che ognuno interpreta a modo suo. Per alcuni è un film sulla Resistenza, per altri un film sulla borghesia corrotta che fa fuori i banditi pur essendo più banditi di loro. Poi ci sono perfino gli omosessuali, raccontata solo dalle divise nere e dalle concupiscenze verso un ragazzo, ma per tutte queste voci in molti continuano a parlare del film. E non ne posso più!». A distanza di cinque anni dalla sua dipartita, quando per qualche giorno il mondo del cinema sembrò ricordarsi di lui, Giulio Questi è ripiombato nell’oblio. Con lui l’idea di un cinema popolare che potesse essere squisitamente politico, e di una rivoluzione che partisse dall’immagine per invadere definitivamente la società.
Info
Se sei vivo spara, il trailer.
- Genere: western
- Titolo originale: Se sei vivo spara
- Paese/Anno: Italia, Spagna | 1967
- Regia: Giulio Questi
- Sceneggiatura: Franco Arcalli, Giulio Questi
- Fotografia: Franco Delli Colli
- Montaggio: Franco Arcalli
- Interpreti: Antonio Pica, Ángel Silva, Calogero Azzaretto, Eduardo de Santis, Fernando Vellena, Francisco Sanz, Frank Braña, Gene Collins, Herman Reynoso, Marilù Tolo, Miguel Serrano, Milo Quesada, Mirella Pamphili, Patrizia Valturri, Piero Lulli, Rafael Hernández, Ray Lovelock, Roberto Camardiel, Sancho Gracia, Sisto Brunetti, Tomas Milian
- Colonna sonora: Ivan Vandor
- Produzione: Cia Cinematografica, Hispamer Films
- Durata: 117'
