The Sales Girl

The Sales Girl

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The Sales Girl è il quindicesimo lungometraggio del quarantaseienne regista mongolo Janchivdorj Sengedorj, che torna a interrogarsi sulla gioventù della modernissima Ulan Bator, stavolta raccontando la vita quotidiana di una studentessa di ingegneria nucleare che si ritrova a lavorare come commessa in un sexy shop. Garbato, grazioso, un po’ gracile rispetto alla durata scelta. Al Far East 2023.

Sulla buccia di banana

Saruul è una studentessa con velleità artistiche ma con genitori che invece la vogliono ingegnere nucleare. Timida e chiusa, con un’espressione che oscilla costantemente tra l’imbronciato e l’incredulo, non ha amici eccezion fatta per un giovane vicino di casa che ha un enorme cane e sogna di fare l’attore ed emigrare. Quando una compagna di classe che si è fratturata una gamba scivolando su una buccia di banana le chiede di sostituirla per un mese come commessa in un sexy-shop, Saruul accetta… [sinossi]

Per quanto non abbia nulla a che vedere direttamente con le qualità di The Sales Girl – traduzione letterale inglese dell’originale Khudaldagch ohin –, quindicesimo lungometraggio per il quarantaseienne cineasta mongolo Janchivdorj Sengedorj, durante la visione al Teatro Nuovo Giovanni da Udine nella cornice della venticinquesima edizione del Far East Film Festival la mente è più volte volata indietro nel tempo, immaginando come sarebbe stata la storia della giovane Saruul e del suo lavoro provvisorio come commessa in un sexy shop di Ulan Bator se il film fosse stato prodotto un ventennio or sono. Magari sarebbe cambiato qualcosa a proposito delle abitudini quotidiane dei giovani cittadini della capitale mongola, ma ciò che è certo è che Sengedorj non si sarebbe mai azzardato a sforare con il suo film le due ore di durata. L’avvento a livello globale del digitale ha infatti modificato in modo irreversibile la prassi della produzione, e così la graziosa ma in fin dei conti assai semplice vicenda di Saruul, che un tempo si sarebbe svolta all’interno dell’ora e mezza di durata, può arrampicarsi fino alle due ore. Potrà apparire un dettaglio di poco conto, ma nella logica del prodotto industriale popolare questo cambio di prammatica costringe a dilatare in più di un’occasione i tempi. Sengedorj gira con grande consapevolezza, sa bene di voler trasportare l’indie movie statunitense degli anni Novanta nella Mongolia di oggi, e ha tutta la scaltrezza necessaria a orchestrare alcune sequenze di sicura efficacia, come ad esempio quella che vede Saruul e il suo coetaneo vicino di casa impegnati in un rapporto sessuale, o la gag che ha per protagonista il cagnolone del suddetto ragazzo dopo che ha ingerito una pillola di Viagra. Eppure l’impressione è che a The Sales Girl avrebbe giovato una durata più contenuta, in grado di far emergere con maggior forza il punto di contatto più volte ricercato tra l’indie movie e il surrealismo naturale di Aki Kaurismäki.

La prima inquadratura del film connota già con una certa chiarezza i confini nei quali si muoverà la narrazione. La videocamera resta fissa di fronte a un marciapiede su cui è appena caduta una buccia di banana: uno per volta entrano in scena figuranti che schivano miracolosamente la buccia, fino a quando su di lei non si posa lo scarpone di una giovane ragazza, che vola letteralmente a terra fratturandosi una caviglia. E da qui che principia la storia di The Sales Girl, perché la giovane infortunata è compagna di università di Saruul, che studia controvoglia ingegneria nucleare ma vorrebbe potersi esprimere come artista – la notte spesso la passa lavorando a un dipinto – e che accetta la proposta dell’amica, sostituendola come commessa in un sexy shop. Saruul, che si inguaina in pesanti felpe mentre attraversa la città in autobus, è completamente distante dal mondo dei sexy shop, ma il lavoro le permette anche di conoscere e frequentare la proprietaria del negozio, una russa di mezza età che ama Dostoevskij e i Pink Floyd e tiene in casa volumi di Lenin. Tutti questi elementi permettono a Sengedorj di architettare il più classico dei coming of age, con la routine della giovane studentessa che viene stravolta aprendole gli occhi su un mondo che non aveva preso in considerazione, e costringendola a confrontarsi anche con la propria sfera del desiderio. Il regista limita The Sales Girl a una sorta di lungo dialogo frammentato tra Saruul e Katja – questo il nome della tenutaria del negozio –, costrette poco per volta ad aprirsi l’una all’altra, condividendo segreti che non avevano mai confidato a nessuno, e mostrando tutte le rispettive fragilità.

Fragilità che possiede naturalmente anche The Sales Girl, e che come già scritto sono anche evidenziate da un racconto eccessivamente espanso, ben al di là della logica narrativa. Eppure è difficile non provare simpatia per un’opera che cerca di smarcare l’immaginario legato alla Mongolia dalle abitudini pigre dello sguardo occidentale e mostra una realtà compiutamente metropolitana, moderna come le pulsioni della sua protagonista. In questa città dai tratti marcatamente sovietici Saruul si muove alla ricerca della propria verità intima, dello scarto che le permetta davvero di diventare adulta. Un racconto rock forse anche prevedibile ma illuminato dalla bella presenza scenica della giovane protagonista Bayartsetseg Bayangerel, in grado di rappresentare con grande sincerità la goffaggine, l’entusiasmo trattenuto, e il fascino di questa pittrice in erba che si ritrova a trafficare con dildo e Viagra.

Info
The Sales Girl sul sito del Far East.

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