Revolution+1

Revolution+1

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Presentato nella sezione New Visions del 21° Doclisboa, Revolution+1 è il nuovo lavoro di Masao Adachi, un instant movie sull’assassino di Shinzo Abe. Nella migliore tradizione del cinema di Adachi e Wakamatsu, un film underground su un giovane disturbato, distrutto dalla società, che scatena in qualche modo tutta la sua energia repressa. E Adachi, ancora coerentemente con la sua storia politica e cinematografica, prende di petto il discorso scomodo sul terrorismo, o su ciò che la società etichetta facilmente come tale, mettendo il dito nelle varie piaghe della storia giapponese moderna.

La mente di Tatsuya

Tatsuya Kawakami, alter ego semi-romanzato di Tetsuya Yamagami, il probabile assassino dell’ex primo ministro giapponese Shinzo Abe, ha avuto una vita tragica. Dopo il suicidio di suo padre, la madre trova conforto aderendo al culto della Chiesa dell’unificazione, elargendo continue donazioni che lasciano la famiglia sul lastrico. Kawakami si ribella pianificando l’omicidio di Shinzo Abe per i suoi legami con quell’organizzazione religiosa. [sinossi]

L’8 luglio 2022, durante un comizio nella città di Nara, viene assassinato con due colpi d’arma da fuoco il potente uomo politico giapponese Shinzo Abe, più volte primo ministro. L’autore dell’attentato è verosimilmente (ha ammesso la sua responsabilità ma ancora non si è arrivati alla sentenza definitiva) un uomo di 42 anni di nome Tetsuya Yamagami, con una devastante storia personale alle spalle. Un soggetto che si unisce a una galleria di “folli” regicidi solitari, che si sentono investiti da una missione, un po’ come il Travis Bickle di Taxi Driver che vuole uccidere il senatore Palantine. Per Masao Adachi il soggetto perfetto, per il suo cinema sovversivo, volto a scrutare in ciò che la società considera pura abiezione e malvagità, qualcosa da rimuovere, da cui voltare lo sguardo. E così gira, in pochissimo tempo e con pochissimi mezzi, Revolution+1, un instant movie romanzato su Tetsuya Yamagami, ora presentato nella sezione New Visions del 21° Doclisboa. Un’opera nell’autentico spirito militante e sovversivo, un cinema di guerriglia, che Adachi porta avanti dagli anni Sessanta, insieme a Koji Wakamatsu. Il film concepito per essere proiettato in concomitanza con i funerali di Abe, come atto di dissenso alla beatificazione dello statista.

Adachi stesso ha fatto parte, per una trentina d’anni, di un’organizzazione ancora oggi classificata come terrorista da Stati Uniti e Unione Europea, quale il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Dopo essere rientrato, estradato, in Giappone dal Libano, ha realizzato Prisoner/Terrorist, ispirato all’unico superstite del commando giapponese della United Red Army che realizzò il sanguinoso massacro dell’Aeroporto di Lod nel 1972, una strage di civili nel nome della causa palestinese. E nel suo più recente film, Artist of Fasting, Adachi ironizza con sfrontatezza sullo slogan “Je suis Charlie”, creato in solidarietà dell’eccidio nella redazione del giornale satirico francese Charlie Hebdo. E ancora uno dei film storici del sovversivo regista è AKA Serial Killer, che ricostruisce, attraverso la teoria del paesaggio, la vita di un pluriomicida, Norio Nagayama, una vita miserabile, tenuto ai margini da una società opprimente, la vera responsabile dello scatenarsi nell’uomo di quella follia assassina. Tetsuya Yamagami appare quindi il soggetto ideale per Adachi, che ha concepito il film Revolution+1 anche come pamphlet per scagionare l’uomo dalle accuse di terrorismo che sicuramente sarebbero state costruite sul suo conto, mentre è chiaro trattarsi di un attentatore isolato, senza alcun legame con gruppi organizzati.

La vita di Tetsuya Yamagami, raccontata nel film con il personaggio, già dal nome molto simile, di Tatsuya Kawakami, è stata segnata da numerose disgrazie: il suicidio del padre, quando lui era in tenera età, il fratello malato di cancro. Tragedie cui la madre reagisce trovando conforto nella Chiesa dell’unificazione, il culto nato in Sud Corea negli anni Cinquanta, uno dei tanti diffusi in Giappone. La setta prosciuga la famiglia di tutti i suoi soldi, donati dalla madre su pressione psicologica dei suoi sacerdoti, dietro l’invocazione: «Gli Dei vogliono soldi». Tatsuya non può quindi nemmeno iscriversi all’università per l’impossibilità di mantenersi gli studi. La sua condizione di debolezza sociale lo ha anche portato a essere vittima di bullismo fin da bambino, durante la scuola. Quella dell’uomo è una vita distrutta, senza alcuna prospettiva, e per questo pianifica di uccidere Shinzo Abe per i suoi legami con la Chiesa dell’unificazione. Potremmo trovare nella letteratura nipponica alcuni esempi narrativi vicini a Revolution+1, ovvero il partire da un fatto di cronaca eclatante per ricostruire un romanzo della vita del responsabile di tale fatto, chiedendosi quali situazioni lo abbiano spinto a commetterlo. Lo ha fatto Mishima con Il padiglione d’oro, sul monaco che incendiò il celebre tempio di Kyoto, così come Kenzaburo Oe con Il figlio dell’Imperatore, sul giovane militante nazionalista che assassinò il leader del Partito Socialista Giapponese nel 1960. Anche il cinema di Wakamatsu e Adachi spesso partiva o contemplava eventi di cronaca, come la morte di Mishima in La donna che voleva morire, o l’omicidio di Sharon Tate in Su su per la seconda volta vergine.

Masao Adachi però non vuole una grande costruzione narrativa quanto ricostruire la vita del personaggio con poche licenze romanzate, funzionali a iscrivere la vicenda nel contesto delle tragedie del Giappone moderno. Tra gli amici del padre figura, per esempio, uno degli attentatori dell’aeroporto di Lod, vero tabù per la società nipponica. Le esequie di stato di Abe nel film sono previste nel famigerato santuario Yasukuni, simbolo del revisionismo sui crimini di guerra giapponesi. Nella realtà i funerali dello statista si sono svolti presso il tempio di Zojo-ji: uno stratagemma che serve ad Adachi a contestare l’atteggiamento negazionista del politico nei confronti delle atrocità commesse dall’esercito nipponico in guerra, peraltro uno dei motivi reali addotti da Tetsuya Yamagami per giustificare il suo atto. C’è poi il personaggio femminile, la figlia di un rivoluzionario che aveva raggiunto la guerriglia palestinese nel nome di Che Guevara. Un chiaro riferimento a Masachi stesso, che si mostra anche brevemente in un cameo, tra il pubblico a una commemorazione di Abe. La rabbia di Tatsuya, e quella di Adachi, sono indirizzate verso la famiglia dell’ex-premier, a partire dal nonno, Nobusuke Kishi, che, pur riconosciuto criminale di guerra di classe A, ha ricoperto il ruolo di primo ministro alla fine degli anni Cinquanta. Nel corso di questo mandato, ha siglato il trattato Anpo, di cooperazione e sicurezza con gli Stati Uniti, l’evento che ha scatenato le proteste studentesche, cui si può far risalire la militanza di una generazione, che comprende i registi Oshima, Wakamatsu e lo stesso Adachi.

Testsuya/Tatsuya ha sparato ad Abe con un’arma rudimentale, autoprodotta, a canne mozze. Una metafora del film stesso che esibisce la povertà dei mezzi con cui è stato realizzato. La scena dell’omicidio, ricostruita con le immagini filmate reali degli ultimi istanti di vita dell’uomo politico, con un banale controcampo con la scena ricostruita dell’attentatore che spara, come una versione ultra-semplificata dell’incipit, e non solo, di JFK – Un caso ancora aperto. Pur nella estrema semplicità dell’opera, Masao non rinuncia a tratti poetici. Nel sogno, per esempio, del protagonista di entrare a far parte del cielo, come una stella. Nell’insistenza sull’elemento acquatico, che torna nel film. E in quel finale, dove Tatsuya vaga in un paesaggio brullo, vicino al mare, decolorato che vira al bianco, dove il ragazzo, ringiovanito, si corica in posizione fetale. Ancora un ritorno al cinema di Wakamatsu e Adachi, a opere come Embrione, Su su per la seconda volta vergine. E un paesaggio interiore, un ritorno alla teoria del paesaggio. «Diranno che sei un terrorista», dice l’amica a Tatsuya, «ma il vero terrorista è Abe. È lui il nemico della democrazia». Questo è il messaggio che Adachi sente l’urgenza di lanciare con Revolution+1, da divulgare in tutti i modi, anche con proiezioni clandestine, un po’ come il pamphlet sulla resistenza palestinese Armata Rossa. Dichiarazione della guerra mondiale. Si può ovviamente non essere d’accordo, ma non può essere negata l’energia militante che Masao Adachi mantiene inalterata da sessant’anni con il suo cinema sovversivo.

Info
Revolution+1 sul sito di Doclisboa.

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