Folly of Vanity

Folly of Vanity

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Grande scoperta delle Giornate del Cinema Muto 2024, Folly of Vanity è una sorprendente opera del 1924 di Maurice Elvey e Henry Otto, che funziona con un clamoroso cambio di registro: da un film naturalistico a sfondo sociale, sui vizi della borghesia, si passa alla stravaganza fantasy di un reame sottomarino.

La ragazza con la collana di perle

I coniugi Alice e Robert partecipano a una festa stravagante organizzata da uno dei ricchi clienti di Robert, Ridgeway, il quale dona una collana di perle alla donna. Tutti gli ospiti si ritrovano in una crociera in yacht durante la quale Ridgeway è attento ad Alice, mentre Robert flirta con una ricca vedova. Una notte, Alice sogna di cadere in mare e venire accolta alla corte di Nettuno. Ma viene bandita dal reame sottomarino per la vanità che quella collana di perle evidenzia. Alice si sveglia e si riconcilia con Robert. [sinossi]

Una giovane donna scrive sul diario di non aver mai avuto nemmeno una lite con il marito in sei mesi e oltre di matrimonio. Una simile premessa, in un film, non può che voler dire che a breve succederà un disastro, e la cosa puntualmente avviene in Folly of Vanity, del 1924, opera di Maurice Elvey e Henry Otto, passata alla 43ª edizione delle Giornate del Cinema Muto, sezione Riscoperte e restauri, nell’edizione più completa, conservata dal Národní filmový archiv di Praga. Già il modo in cui il marito si comporta con la giovane donna, lanciando via la saponetta che le è caduta dalla vasca da bagno, invece di porgergliela, denota un rapporto di coppia non esattamente idilliaco o paritario. Alice e Robert, i coniugi protagonisti, sono una coppia decisamente benestante con l’uomo che è un arrivista che freme per accogliere al meglio il suo ospite, Ridgeway, uno dei suoi più facoltosi clienti. La prima scena, della preparazione dei coniugi a quella visita di riguardo, prosegue con la donna che esce dalla vasca, un primo momento di grande sensualità ed erotismo soffuso che permeeranno tutto il film. La sua uscita dall’acqua richiama la Nascita di Venere di Botticelli. Manca quella conchiglia in cui la dea si adagiava, ma le conchiglie faranno parte di un sottotesto del film così come le metaforiche, e onnipresenti, perle che, come noto, sono prodotte da molluschi bivalvi come le ostriche.

Robert trova in casa una collana di perle che la moglie ha comprato a sua insaputa, provocando stupore e disappunto nel marito. Alice lo rimbrotta con scherno: si tratta di perle finte come dovrebbe essere evidente. Su quel monile si intersecano i significati del film, incarnando il desiderio e lo status symbol, emblema di un mondo fatto di apparenze ma anche del desiderio e del possesso maschile sulla donna. Ridgeway è un uomo molto ricco, noto per essere un grande estimatore di perle e di donne, cosa che fa eccitare, al solo pensiero, Alice. Robert impone alla moglie di non indossare quella collana di bigiotteria, ufficialmente perché non vuole che esibisca oggetti di nessun valore. Lui ama il lusso ma non se lo può permettere. Potremmo anche ipotizzare che non voglia che la donna sia appariscente e possa attirare l’attenzione del ricco cliente, amante di donne e perle come fossero la stessa cosa. Ma sono davvero false quelle perle? Ridgeway si complimenta con la donna per quel magnifico diadema, raccogliedoglielo da terra dopo che si era sfilato dal collo di Alice – che si era dimenticata, casualmente, di non indossarla come richiesto dal marito -, dando per implicito che sia autentico, altrimenti un fine esperto come lui se ne sarebbe accorto. Robert a quel punto si convince che quel gioiello sia genuino e, a sua insaputa, sarà comunque rimpiazzato da uno vero.

La verità è che Ridgeway considera i gioielli solo in quanto espressioni femminili, il cui valore si integra con quello di colei che lo indossa. Le perle devono maturare, aumentare di lucentezza e splendore su seni prosperosi, devono abbinarsi alla carnagione di coloro che le portano. Ovviamente tutta questa poesia maschera il puro desiderio di possesso femminile del ricco imprenditore, che accalappia donne elargendo loro perle un tanto al chilo. E Robert guarda con disprezzo a quelle donnacce pronte a tutto pur di avere un gioiello in cambio. Reputa che tutte le donne avrebbero quell’inclinazione e che lo avrebbe fatto anche la moglie se lui non glielo avesse impedito. Ignora che effettivamente Alice ha accettato una vera collana da Ridgeway. Qui il film sembra adottare un punto di vista maschile particolarmente fastidioso pensando alla riconciliazione coniugale finale, mentre il magnate regala l’ennesima collana a un’altra donna che lo vuole sposare, facendo pure ironia alla facilità di corruzione femminile. Ma il tutto va contestualizzato all’epoca.
Folly of Vanity è un film che si gioca sulle tante ambiguità, che non riguardano solo la presunta autenticità delle collane. C’è per esempio quello scambio di valige tra moglie e marito. E infine l’equivoco sul numero della cabina dello yacht, a causa della manomissione involontaria della cifra da parte dell’addetto alle pulizie mentre la spolvera. Così Alice entrerà nella cabina del coniuge, pensando che sia la sua, e ciò determinerà la loro riconciliazione e il lieto fine, in quell’ottica moralistica, e maschilistica, di cent’anni fa, del film. Anche l’ironia rappresenta un ingrediente chiave del film. Già da quel momento in cui Ridgeway invita i protagonisti in una piccola festa intima in casa sua: si tratta in realtà di uno sfarzoso ricevimento con tantissimi invitati, fatto di danze con sguardi ammiccanti a scambi di coppie, balli sui tavoli, odalische, ballerine con ben pochi indumenti, gente ben vestita e ingioiellata, come si ripeterà poi sullo yacht arrivando alle altalene in barca. A dare il via alle danze due statue femminili che si rivelano quali due ballerine nude. Folly of Vanity straborda di erotismo, di nudità, in un’atmosfera licenziosa nella continua allusione a cedere alla tentazione del lasciarsi andare all’avventura extraconiugale.

Alice cade in acqua ed entra così nel fantastico regno marino di Nettuno. Il film compie un vertiginoso salto, passando dal naturalismo di una satira sociale, alla fantasmagoria magniloquente, al cinema dei trucchi ed effetti speciali molto vicino all’estetica di Méliès. Il reame subacqueo è fatto di sirene preraffaelitiche, nuotatori, tuffatori e saltimbanchi, caverne sommerse, templi greci e fuochi d’artificio, con scenografie sfarzose, sovrapposizioni ed effetti flou. La realizzazione di questa parte fantastica è attribuita a Henry Otto mentre Maurice Elvey ha firmato la rimanente parte contemporanea. Tra le due sezioni del film comunque ci sono tantissimi richiami. L’elemento acquatico è già in partenza presente nella vasca in cui Alice fa il bagno. La forma di conchiglia bivalve, come quella delle ostriche che producono perle, accomuna un numero di danza al party e il trono di Nettuno. Ad Alice viene assegnato un meraviglioso letto pure a forma di conchiglia, anche se di gasteropode (non a due valve). Le ninfe, le moltitudini di nudità, i soldati a petto nudo: ancora torna quell’atmosfera di erotismo dionisiaco delle feste di prima. La società sottomarina condanna però la vanità che domina di sopra, anche se non mancano comunque le meschinità del mondo di superficie, gelosie, rivalità. Alice ha generato scompiglio. Ha fatto innamorare di sé il monarca, si è imposta nel suo cuore a Mare, l’amante del sovrano. Viene espulsa proprio per l’ostentazione di quella collana, che nel mondo di terra l’avrebbe resa una reginetta dell’alta società. Tutto ciò con soddisfazione di Mare, di cui aveva preso il posto nel cuore del sovrano, che pure è adornata di perle. Quell’arcadico mondo che si vuole un mondo di pace è affetto pure da sentimenti meschini, invidie femminili, dominio maschile. Ad Alice non resta che risvegliarsi e consegnarsi in quell’ambiguo happy end.

Info
Folly of Vanity sul sito di Pordenone 2024.

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