Tsili

Tsili

di

Prosegue l’indagine di Amos Gitai sui concetti di casa, identità e appartenenza con un film rarefatto e raffinato, ma non per questo meno duro. Fuori concorso al Festival di Venezia 2014.

Dov’è la mia casa?

Anni Quaranta del ‘900. Tsili, una giovane donna ebrea, si nasconde in un bosco nei dintorni di Černivci. Tutta la sua famiglia è stata deportata nei campi. Con l’istinto di un animale, si costruisce un nido nella foresta e sopravvive, senza far rumore, in piena zona di combattimento. Un giorno Marek scopre il suo nascondiglio e, quando scopre che anche lei è ebrea, si trasferisce con lei nel nido. Ma un giorno Marek si reca al villaggio in cerca di cibo e non torna più. Quando la guerra finisce e Tsili lascia il suo nascondiglio. Sul suo cammino incontra i sopravvissuti dei campi e insieme si dirigono verso una barca che li porterà in un’altra terra. [sinossi]

Ogni anno viene prodotto un certo quantitativo di pellicole sull’Olocausto e le persecuzioni contro gli ebrei, ma sono davvero pochi i film che propongono anche una riflessione su questi eventi storici. È oramai prassi consolidata d’altronde, distribuire due o tre film sull’argomento in prossimità della giornata della memoria, ma si tratta spesso (con le dovute eccezioni, per carità, pensiamo all’interessante Hannah Arendt della Von Trotta, distribuito nel gennaio scorso) però, di film che affrontano tutto un patrimonio di “storie” legate a quegli eventi, storie che sono tutte accomunate dal medesimo senso di abbrutimento, dalle medesime privazioni e sofferenze, storie che meriterebbero spesso il coraggio di uno sguardo più complesso rispetto a quello imperante, di stile prettamente biografico. L’israeliano Amos Gitai è uno di quegli autori che ha fatto dell’identità, del rimosso (Disengagement), degli integralismi religiosi (Kadosh) del proprio paese il nucleo pulsante di un’intera filmografia, dedicata non tanto a raccontare vicende che declinano temi a lui cari, bensì a ricercare costantemente – e anche attraverso la narrazione – un significato (o dei significati) dietro gli eventi, l’universale all’interno del molteplice, senza per questo negare la forza dell’individuo.

Va in tale direzione anche il suo ultimo lavoro Tsili, film misterioso e rarefatto, co-prodotto anche dalla nostrana Citrullo International e presentato fuori concorso a Venezia 2014. Protagonista della vicenda/non vicenda è una ragazza – la Tsili del titolo – la cui famiglia è stata deportata nei campi di concentramento e che ora ha trovato rifugio nella foresta nei dintorni di Černivci. Mentre i bombardamenti infuriano sopra la sua testa e sopra le cime degli alberi, Tsili si riconverte a uno stadio ferino, si ambienta nella natura, si nutre di bacche, si costruisce un nido, proprio come quello degli uccelli. L’arrivo di un altro sfollato, Marek, cambia però gli equilibri della situazione e Tsili si sdoppia, dando vita a un altro personaggio di donna. Tratto dal romanzo “Paesaggio con bambina” di Aharon Appelfeld, Tsili si configura dunque come un nuovo capitolo della riflessione di Gitai su identità (singola, plurima), appartenenza (ripetute le domande del ragazzo che chiede “Sei di qui? Dove sono i tuoi genitori?”) e casa, questa volta esemplificata dalla bella metafora del “nido”.
Siamo molto lontani dal rigore impeccabile di Ana Arabia, presentato lo scorso anno in concorso sempre al Festival di Venezia. Tsili accompagna infatti la sua meditazione metaforica con immagini ammalianti, a tratti oniriche, la cui matrice ispirativa si accosta a quella dei preraffaelliti. L’idea è che la realtà ferina in cui si ritrova la protagonista sia forse assimilabile d un incubo, rimossa già dall’inconscio e negata come “realtà possibile” proprio mentre la si vive. E questo ben si accorda poi con lo sdoppiamento della protagonista, nel quale ci pare possibile identificare anche una riflessione sulla fondazione di Israele e sul suo “status plurimo”, dal momento che una delle due Tsili, con l’arrivo del ragazzo, da “ospitante si fa “ospite”, mentre la lotta per il predominio nel nido assume connotati sessuali. Il destino di Tsili appare in ogni caso segnato: il suo viaggio la condurrà probabilmente verso un’ambita terra promessa, dove dovrà chiedere un posto nel nido di qualcun altro. Il portato metaforico del film appare strettamente collegato a questo essere molteplice del personaggio di Tsili, che Gitai ha deciso di assegnare a tre attrici diverse: Sara Adler, Meshi Olinski e infine Lea Koenig, della quale sentiamo solo la voce. Tre interpreti per un unico personaggio stanno a significare il forte intento del regista di raccontare non un dramma personale legato all’Olocausto, bensì una tragedia collettiva, non un ricordo appartenuto a qualcuno, bensì una, la memoria condivisa. Altrimenti Tsili sarebbe solo un altro volto tra i volti, che non riuscirebbe mai neanche ad accostarsi alla verità di quelle ragazze e bambine che il regista ci mostra nei filmati di repertorio, che chiudono il suo film con uno squarcio di acre realtà.

INFO
La scheda di Tsili sul sito della Biennale
  • tsili-2014-amos-gitai-01.jpg
  • tsili-2014-amos-gitai-02.jpg
  • tsili-2014-amos-gitai-03.jpg
  • tsili-2014-amos-gitai-04.jpg
  • tsili-2014-amos-gitai-05.jpg

Articoli correlati

Array
  • Festival

    Venezia 2014Venezia 2014

    Per due settimane, a cavallo di settembre, il Lido si popola di film, registi e attori: tutte le nostre recensioni e gli articoli da Venezia 2014.
  • Archivio

    Ana Arabia

    di Amos Gitai torna a riflettere sul concetto di casa, radici e appartenenza, raccontando la storia di una famiglia arabo-israeliana in un unico, calibratissimo piano sequenza.