Parenti serpenti

Parenti serpenti

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Mustang Entertainment e CG Home Video ripropongono in dvd Parenti serpenti, uno dei più convincenti tra gli ultimi film di Mario Monicelli. Nell’ampio cast corale, Monica Scattini, recentemente scomparsa, ebbe un ruolo da quasi-protagonista per una delle rare volte nella sua carriera.

Dopo i suoi alterni anni Ottanta, Mario Monicelli si presentò alle soglie del decennio successivo con uno spirito imprevedibilmente fresco e giovane. Ormai vicino agli ottant’anni, realizzò Parenti serpenti (1992), film di graffiante cattiveria e sferzante moralismo, che nelle sale non ebbe successo ma che con gli anni si trasformò in un piccolo grande classico, molto amato e citato a memoria da una schiera amplissima di fan. Il destino nelle sale di Parenti serpenti è già a suo modo indicativo di un preciso momento nella storia del nostro cinema: fu messo in sala a primavera inoltrata, praticamente a stagione già conclusa (oltretutto con scarsa lungimiranza, visto che si tratta di una commedia tutta ambientata nei giorni di Natale) e in una generale indifferenza distributiva, come spesso accadeva nel periodo probabilmente più buio in assoluto per la visibilità del cinema italiano. Ormai nemmeno il nome di Monicelli era garanzia di un’adeguata copertura distributiva, complice forse il fatto che i suoi tre film precedenti avevano avuto tiepidissime accoglienze sia di critica che di pubblico. Ma nell’ultima parte della sua carriera, come del resto in tutto il suo lungo percorso artistico, Monicelli aveva regolarmente alternato, da buon artigiano, esiti deboli a improvvise impennate.

In tal senso Parenti serpenti è un picco, l’ultimo della sua carriera prima di dare vita a poche altre opere decisamente minori. Probabilmente tale squillo di riscossa fu anche alimentato dall’incontro con Carmine Amoroso, all’epoca giovane praticante di cinema, già aiuto-regista per Monicelli e autore di soggetto e sceneggiatura per Parenti serpenti. Una sinergia tra vecchio e nuovo che, come raramente accade nel nostro cinema, trovò un efficace punto di fusione. Di recente il film è stato riproposto in dvd da Mustang Entertainment e CG Home Video, e adesso si tramuta anche in triste occasione per ricordare Monica Scattini, scomparsa pochi giorni fa, che ha collezionato una lunga carriera per lo più da caratterista e che in Parenti serpenti trovò uno dei suoi pochi ruoli di maggior rilievo.
È proprio partendo da qui che possiamo trovare una prima chiave di lettura per Parenti serpenti. Monicelli infatti compose il suo film con una scelta forte verso l’assenza di star e attori di primo piano. Per il cast d’attori optò per un’ampia schiera di facce notissime del nostro cinema, ma di cui, salvo poche eccezioni, è sempre stato difficile ricordare il nome. Alcuni di essi hanno consolidato la propria fama negli anni successivi a Parenti serpenti (Marina Confalone); altri sono volti simbolici di tanta commedia nostrana buona e meno buona (Tommaso Bianco e Renato Cecchetto, il più emblematico di tutti: il “bambinone pacioccone” di molto cinema comico anni Ottanta). Oltre ad Alessandro Haber e Paolo Panelli, l’eccezione più evidente è Cinzia Leone, in quegli anni reduce da enorme popolarità televisiva per “La tv delle ragazze”. Tuttavia la linea-guida fu quella della scelta operata su volti e talento: una sorta di grande festa dell’ordinarietà vagamente mostruosa che ben si attagliasse al racconto. Come è ben noto, il film narra infatti un Natale in famiglia nella provincia abruzzese, in un contesto eterogeneo di antico perbenismo e nuova rozza modernità. La riunione di famiglia è scandita in due tempi ben distinti: a una prima parte tutta dedicata a riti e cortesie, segue una seconda in cui deflagrano tutti i conflitti latenti, nel momento in cui i due anziani genitori chiedono ai quattro figli di andare ad abitare con loro per gli ultimi anni che gli restano da vivere. Dopo un parossistico crescendo di liti e recriminazioni, i figli troveranno a modo loro una soluzione.

Come già in altre sue occasioni (uno fra i tanti, Romanzo popolare, 1974, che conduce uno studio crudele sulla fisicità di un uomo incapace d’invecchiare), Monicelli segue una coerente e salda estetica del brutto. Ma paradossalmente, per uno dei suoi racconti più crudeli in assoluto, abbandona i toni esasperati del grottesco scopertamente deformante per aderire invece a una sorta di “realtà-più”. Certo, buona parte dei personaggi sono evidenti macchiette, a cominciare dall’accentuazione di dettagli antiestetici (enormi bigodini, abbigliamenti casalinghi di rara sciatteria, calzettoni su tute e pigiamoni, trucco pesantissimo per chi ha ambizioni di eleganza, e chi più ne ha più ne metta) fino alla dichiarata scelta di attori assai poco fotogenici, sui quali peraltro operano spesso primissimi piani a loro volta deformanti. Altrettanto decisiva risulta però l’operazione condotta su luoghi, luci e ambientazioni. Se Monicelli deforma lievemente i personaggi, d’altro canto lascia che i luoghi parlino più o meno da soli. In tal senso è significativa già la sequenza d’apertura: una passeggiata nel centro di Sulmona (città di rara, austera bellezza) condotta con una serie di lunghi piani-sequenza, a presentare prima di tutto un luogo e la sua anima. Tutto quel che vi è aggiunto di artificiale concorre al senso di squallore: le illuminazioni natalizie fuori dai negozi, lo sciame di persone impellicciate che fanno le vasche, i trucchi e le pettinature. E’ la Provincia Italiana, assunta quasi a categoria dello spirito fuori dalla storia, tanto che non casualmente, a fare da corredo a tali immagini, vi è la voce off del bambino narrante, che riferisce una serie di panzane a cui la famiglia l’ha costretto a credere, credendoci a sua volta. Sono per lo più leggende sulla città (il passaggio di Garibaldi, la discesa della Madonna…), quelle che si tramandano in forma di luogo comune per somma abitudine tutta italiana, e che costituiscono uno dei tratti più salienti di un’assoluta antropologia provinciale nostrana. Lo stesso spirito di geografia del brutto ritorna poi nella sequenza finale, il veglione di Capodanno in cui Monicelli non opera alcuna deformazione in sede di ripresa, bensì lascia che sia il profilmico a mostrarsi per squallido quale è. In mezzo, un acido ritratto di famiglia che si profila come una delle rarissime testimonianze del nostro cinema dedicate a un periodo molto sofferto della nostra storia, quello post-muro di Berlino e pre-berlusconiano, quando la già debole identità nazionale subiva i suoi colpi più violenti e ancora non si sospettava sotto quale mostruosità politico-antropologica avrebbe ritrovato una propria dimensione. In tal senso le battute che risuonano sui “meriti” della DC e la sua mentalità clientelare (“Se non era per mio marito e la DC, a pulire i cessi stavi”) e il disorientamento del PCI dopo il crollo sovietico, assumono i tratti di una vera e propria Italia terminale, che rimanda in scena se stessa in modo meccanico e svuotato di senso, ormai fuori dalla realtà.

Non a caso in Parenti serpenti la contingenza entra tutt’al più dalla finestra, o dalla tv perennemente accesa in sala da pranzo. La famiglia resta infatti chiusa quasi esclusivamente all’interno dell’appartamento degli anziani genitori, e le maschere di cui è composta si collocano in una dimensione aspaziale e atemporale; da un lato è probabilmente decisiva l’origine del testo di Carmine Amoroso (l’aveva scritto in prima istanza come testo teatrale), dall’altro Monicelli compie comunque una scelta coerente, secondo la quale l’appartamento si trasforma in spazio concentrazionario simbolicamente connotato. In tal senso è significativa la tirata di Marina Confalone che sollecita i parenti a diffidare di chiunque, lodando la correttezza e sincerità della sua famiglia. E’ un ideale tutto italiano provinciale, un rinchiudersi nevrotico nel nucleo familiare che diventa conforto e prigione, sedativo per le proprie paure e invincibile fonte di frustrazione. E, in ultima analisi, luogo deputato a un eterno psicodramma in forma di reenactment che però non ha mai funzioni terapeutiche, ma soltanto distruttive.
Poi certo l’oggetto di tanto sbranarsi rientra del tutto nella consolidata tradizione della commedia nazionale: corna, interessi economici, sessualità frustrate (la cognata ninfomane, il figlio gay che fa coming out), ipocrisie, egoismo spacciato per altruismo.

Ma sotto la veste di un film burlesco e assai divertente (uno dei più francamente esilaranti tra gli ultimi di Monicelli), Parenti serpenti ha un’anima acida e disperata come pochi altri. Lo domina una cupezza senza via di scampo. A ciò concorre la sua sagace capacità di farci anche empatizzare a tratti con i suoi personaggi, senza concederci mai la consolazione di una catarsi. Ci si accora per l’umiliazione di Marina Confalone, rimproverata per il suo altruismo, e un attimo dopo si ride quando è messa di fronte a un’umiliazione ancora più schiacciante (le riviste porno dove suo marito è ritratto mentre fa sesso con la cognata). Ci si commuove per le crisi di pianto di Monica Scattini, che non può avere figli, non si dà pace e si sente sola, e un attimo dopo si ride per il suo grido spaventato davanti al marito, che si propone come improbabile consolatore. In tutto questo, Monicelli concede un solo momento di sospensione: il passaggio della Squilla, antica tradizione natalizia a cui nonna Trieste tiene molto. Uno squarcio d’antico e ancestrale in un paesaggio umano tanto brullo e squallido. Ma attenzione, Monicelli non è clemente nemmeno con i vecchi. Nonna Trieste è sì depositaria di un bagaglio antico di tradizioni e riti, a cui Monicelli pare guardare con un filo di nostalgia tramite un facile confronto con l’aridità moderna. Ma è una nostalgia apparente, assolutamente non veritiera. Perché nonna Trieste è depositaria di quell’antichità nel bene e nel male, ovvero è la principale convinta testimone di tutto quel familismo soffocante tipicamente italiano che è causa prima di un tale schiacciante panorama antropologico. La sacralizzazione della genitorialità, il dovere di fare figli, il senso della vita tutto racchiuso esclusivamente nel procreare, la priorità della famiglia su ogni cosa: l’Italia, eterna progenitrice di se stessa.

Info
La scheda di Parenti serpenti sul sito della CG Home Video.
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