Tales from the Dark 1

Tales from the Dark 1

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Stolen Goods. Un uomo solitario, che si arrabatta con i lavori più occasionali, vive con il terrore di rimanere senza un tetto sopra la testa. Ossessionato al punto di parlare da solo nell’angusto appartamento in cui vive, decide di mettere da parte dei soldi rubando urne al cimitero per ricattare i parenti dei defunti. Ma i morti potrebbero non essere d’accordo…
A Word in the Palm. Il veggente Ho è famoso per la sua capacità di risolvere i casi di spiritismo, ma il suo matrimonio sta andando a rotoli. La moglie gli concede un’ultima opportunità per dimostrare a lei e a loro figlio di essere cambiato, ma questo appuntamento è messo in pericolo da un caso particolarmente spinoso, riguardante il fantasma di una collegiale…
Jing Zhe. Chu è un’esorcista che lavora ai bordi di una strada particolarmente trafficata. Una sera la donna riceve da uno spirito il compito di maledire tre uomini e una donna, di cui non conosce i nomi. È l’inizio della fine. [sinossi]

La notte piomba sul Festival di Roma, e per gli ampi corridoi dell’Auditorium si iniziano ad avvertire strane presenze, improvvise folate d’aria fredda, sussurri perduti nel buio. Per evitare ogni fraintendimento, non si vuole tracciare un rapido resoconto del clima dalle parti del quartiere Flaminio, ma dare il giusto risalto a un dittico passato forse troppo in sordina durante la prima giornata della kermesse capitolina. Sullo schermo della Sala Petrassi, infatti, si sono succeduti i due capitoli che compongono il dittico Tales from the Dark, progetto produttivo che, guardando sia a una tradizione consolidata del genere horror, sia allo status di culto raggiunto da determinate serialità televisive (si pensi ai Masters of Horror o all’equivalente spagnolo Pelicula para no dormir), pone uno accanto all’altro alcuni delle personalità di maggior spicco di Hong Kong.
Nel “volume 2”, presentato in anteprima al festival, si sono dati convegno Gordon Chan, Lawrence Lau e Teddy Robin, mentre in questo prototipo, uscito nelle sale hongkonghesi lo scorso luglio – in contemporanea con la tradizionale “festa di fantasmi” – sono stati radunati Simon Yam, Chi Ngai Lee e Fruit Chan.

Nei tre episodi (Stolen Goods, A Word in the Palm e Jing Zhe) si evince il medesimo schema che verrà poi riproposto nel secondo capitolo: due episodi più direttamente relazionati al genere inframezzati da un terzo dai toni rilassati, prossimi alla commedia. Il trittico si apre con l’episodio diretto da Simon Yam, vera e propria icona dello star-system hongkonghese alla sua prima prova come regista: Yam attacca il bulbo oculare degli spettatori con un incipit visionario, in cui gli spettri – qualsiasi sia il senso che si vuole attribuire a tale termine – del cinema passato di Hong Kong tornano a rivivere. Un prologo che è anche un breve viaggio nei fantasmi quotidiani di una metropoli caotica e dalle strade bagnate dalla pioggia. In questo universo ectoplasmatico acquista forma la parabola umana di Kwan (interpretato, ça va sans dire, sempre da Yam), disturbato e solitario operaio ossessionato dal terrore di perdere la propria casa. La sua soluzione, che ovviamente finirà per ritorcerglisi contro, è quella di rubare le urne al cimitero sperando poi di poter ricattare gli eredi rimasti in vita. Un piccolo compendio di cinema dell’orrore, analisi politica – per quanto basilare – dei problemi che affliggono Hong Kong e dimostrazione di libertà creativa che, anche quando non coglie in pieno il bersaglio, non può comunque lasciare indifferenti. Il monumentale (in tutti i sensi) Lam Suet regala un gradito cameo.

Lo spirito hongkonghese del tempo che fu lo riporta in vita A Word in the Palm, diretto da Chi Ngai Lee (con ogni probabilità il nome meno noto in Occidente, nonostante una prolificità non indifferente durante tutti gli anni Novanta): una commedia horror vecchio stile, dominata dalla sublime recitazione di Tony Leung Ka-fai e Kelly Chen. Tra cristalli, cd masterizzati con esecuzioni di Chopin, collegiali suicidatesi in mare, e appuntamenti a cena che non si possono perdere, A Word in the Palm diverte lo spettatore e rassicura sul mantenimento delle ottime tradizioni cinematografiche di Hong Kong anche negli anni successivi all’Hangover.
E di tradizioni si occupa anche il segmento diretto da Fruit Chan, grande eretico del cinema di Hong Kong proprio nell’instabile periodo del passaggio dal protettorato britannico alla Cina: opere come A Longest Summer, Durian Durian, Public Toilet e Hollywood Hong Kong hanno segnato in maniera indelebile la nuova generazione di cineasti hongkonghesi venuta alla luce negli anni a ridosso della fine del millennio. Tra l’altro il suo Dumplings, inserito nel 2004 nel film a episodi Three… Extremes era tratto (proprio come tutti i cortometraggi dei due Tales from the Dark) da un’opera di Lilian Lee, tra le principali novelliste del “porto dei fiori”. Jing Zhe conferma una volta di più il talento registico di Chan, in grado di lavorare contemporaneamente su più piani: il suo corto mescola infatti l’horror – mostrato senza alcun freno inibitore – al melò e perfino a uno sguardo quasi documentario sulla convulsa vita metropolitana di Hong Kong.

Superiore al comunque interessante Tales from the Dark 2, questo primo capitolo spaventa, diverte, affascina e mostra una vitalità nell’elaborazione dell’immaginario che dovrebbe essere sempre salutata con peana e grida di giubilo. E di terrore, si intende…

 

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