Carta bianca

Carta bianca

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In Carta bianca di Andrés Arce Maldonado diverse storie di emarginazione e disagio urbano si mescolano, non senza scivolare in qualche caduta di umorismo o in dialoghi dai tratti meno convincenti.

L’inferno sono gli altri

Un pusher marocchino amante dei libri; una badante moldava perseguitata dalle allucinazioni; una grintosa imprenditrice italiana innamorata del proprio cane. Tre vite, tre storie, tre persone che si incontrano e scontrano per le strade di Roma, in un film dal forte impatto sociale ispirato a un fatto di cronaca realmente accaduto: la storia del giovane immigrato Sahid Belamel, morto a Ferrara nel 2010 per ipotermia, sul ciglio di una strada e nell’indifferenza generale… [sinossi]

Trasfigurare un grigio, tragico fatto di cronaca, esplicativo del grado di indifferenza che può essere raggiunto in una qualsiasi città italiana, costruendovi intorno altre storie che facciano da megafono allo spunto iniziale, con tutto il loro carico di cinismo, solitudine e precarie empatie: sembra questo lo scopo che si sono prefissi il regista Andrés Arce Maldonado, già messosi in luce con Falene, e lo sceneggiatore del film Andrea Zauli. Uno scopo in parte raggiunto, in parte imbrigliato nella natura stessa della narrazione, così frammentaria e dispersiva.
Pur essendoci a nostro avviso qualche scollatura, in quanto a tenuta narrativa, Carta bianca finisce per ribadire le doti registiche e umane del regista di origine colombiana, la cui opera prima a dirla tutta possedeva un’intensità ancor più folgorante. Vale quasi la pena di ricapitolare ciò che era stato Falene, uno dei primi titoli forti su qui aveva potuto contare Distribuzione Indipendente, per lanciare nelle sale il meglio del panorama indie nostrano.

Ricapitoliamone un po’ le coordinate essenziali, a partire dalla trama: Bari, nella notte due adorabili falliti stazionano al porto in attesa di un’alba tragica, che ingenuamente loro vorrebbero fosse magica; ad attenderli vi è infatti un colpo improbabile, dilettantesco, organizzato con noncurante approssimazione, ma dal quale si aspettano che il grigiore delle loro vite possa all’improvviso illuminarsi.
Commedia noir immersa nel dialetto pugliese e nel malessere del meridione come in un brodo ricco di sapori, Falene beneficiava innanzitutto dello stato di grazia dei due interpreti in scena, Paolo Sassanelli e Totò Onnis, che con la loro sfaccettata umanità non facevano biasimare nemmeno per un istante la derivazione teatrale (Andrej Longo, l’autore) di un testo filmico, che trovava poi nell’accorto utilizzo del digitale da parte di Andrés Arce Maldonado il compimento ideale.
Ecco, rispetto a Falene, questo nuovo lavoro continua a beneficiare di un’attenzione per la componente fotografica e per il montaggio, che per il cineasta nativo di Bogotà sembrano essere un marchio di fabbrica, ma che non si possono certo dare per scontate in una produzione low budget. Anche l’impegno di gran parte del cast è degno di lode, dal sorprendente tunisino Mohamed Zouaoui che impersona il co-protagonista Kemal a Tania Angelosanto che simula un accento moldavo, da Patrizia Bernardini che interpreta Lucrezia a Valentina Carnelutti che si prodiga in un riuscito cameo.

Tuttavia, rispetto al lungometraggio precedente si avverte in Carta bianca qualche caduta di umorismo, qualche superficialità nei dialoghi che rischia di minare o semplicemente appesantire un impianto narrativo per il resto molto studiato, efficacemente avviluppato agli intrecci che si creano tra differenti storie di disagio metropolitano. Sono piccole stonature, come dicevamo, dovute probabilmente all’ansia di raccontare dell’autore e di chi lo ha assistito, gente che ha saputo comunque realizzare con pochissimi soldi un film che non lascia indifferenti, spingendo lo spettatore a riflettere sulle contraddizioni e gli squilibri che animano il nostro tessuto sociale.

Info
Il trailer di Carta bianca.
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    di Falene, che Andrés Arce Maldonado dirige su sceneggiatura di Andrej Longo, è una sorta di Aspettando Godot che sovverte però il finale beckettiano ma che parla di una vita solo vissuta e mai sognata. Un lavoro fieramente indipendente che segnala la necessità del cinema italiano di guardare negli angoli più nascosti.