Dancing with Maria

Dancing with Maria

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L’esordiente Ivan Gergolet tratteggia con mano ferma il ritratto composito di una danzatrice ostinatamente alla ricerca di nuove forme per esprimere la sua creatività, perché questa è, in fondo, la missione di ogni artista. Dancing with Maria, in concorso alla SIC 2014.

Guarda, la musica!

Maria Fux è un’anziana danzatrice argentina. Nel suo studio nel centro di Buenos Aires accoglie danzatori di qualsiasi condizione sociale, ma anche uomini e donne con limitazioni fisiche e mentali, formando gruppi di danza integrati. Dopo aver sperimentato e trasmesso agli altri per tutta una vita il suo metodo basato sulla percezione dei ritmi interni e sulla simbiosi con la musica, Maria Fux ha preso in consegna un’ultima allieva, forse la più difficile: se stessa. Tutti abbiamo dei limiti che possiamo conoscere e superare. All’età di 90 anni, Maria combatte l’ultima battaglia contro i limiti del proprio corpo… [sinossi]

Probabilmente non esiste una forma espressiva capace di catturare una volta per tutte e nella sua più intima essenza il nascere di un’idea creativa, né alcuna esegesi ermeneutica può risalire alla sua origine prima. Quel che è certo però è che non esiste nulla di più seducente dell’osservare un artista al lavoro. Ed è proprio con questo spirito, appassionato ma anche profondamente rispettoso, che l’esordiente Ivan Gergolet ha deciso di affrontare il suo oggetto d’elezione, la danzatrice argentina Maria Fux, nel documentario Dancing with Maria, unico film italiano (si tratta di una co-produzione Italia/Argentina) in competizione alla 29/esima Settimana Internazionale della Critica.

Prodotto da Igor Prinčič, già fautore di Zoran, mio nipote scemo, film vincitore della SIC lo scorso anno, Dancing with Maria è il ritratto composito di una delle figure più importanti della danza contemporanea a sfondo terapeutico, ritratto ben distante da ogni tentazione agiografica così come da intenti didattici. Il regista goriziano, dichiara d’altronde fin dall’incipit i suoi intenti, con quel lungo piano sequenza a seguire l’ingresso della sua protagonista su un palcoscenico a lei molto caro: la sua scuola di danza. In fondo, sembra volerci dire sin da subito l’autore, quel che ci è dato conoscere di un artista è tutto contenuto nel suo spazio d’elezione e dunque, nel caso di Maria Fux, tutto giace in quella sala e su quel parquet dove ancora oggi, all’età di 93 anni, si esercita e tramanda la sua arte, utilizzando i propri accordatissimi strumenti: la voce e il corpo.

Privo dunque di quel rigore stantio che caratterizza tanta produzione documentaria nostrana, e che apparirebbe qui necessariamente calato dall’altro, Dancing with Maria si pone al servizio del suo personaggio per concentrarsi poi gradualmente su alcune figure che le gravitano attorno: una danzatrice triestina, una coppia di ragazzi down, una donna affetta da Poliomelite e un’ex allieva oggi insegnante proprio nella scuola di Maria a Buenos Aires. Accanto loro, si muove poi un nutrito gruppo di allievi, tra cui anche un unico uomo e una non vedente, ma soprattutto si delinea a tratti un personaggio inafferrabile, che è il motore immobile di questa Storia: l’india Maria Garrido.
Vera e propria metafora vivente dell’ammaliante opacità dell’inconoscibile, Maria Garrido fu trovata da una suora nella foresta quando era poco più di una bambina; sordomuta e inizialmente incapace di stabilire un contatto con l’esterno, Maria, attraverso gli insegnamenti della Fux, riuscì a trovare la propria via all’espressione corporea e dunque alla comunicazione. Questa figura quasi dal portato ancestrale avrebbe meritato forse maggiore spazio e si percepisce una certa frustrazione nel cogliere solo lacerti della sua storia e della sua personalità; ma d’altronde, in quei pochi istanti in cui la si vede in scena, in brevi filmati di repertorio, si comprende bene quanto la sua deflagrante presenza avrebbe finito per trasformare Dancing with Maria in qualcosa d’altro, minandone alla base la coesione.

Dalla storia della Garrido, così come da quelle delle altre allieve qui prese in esame, emerge invece con forza e nitore il grande insegnamento della danza contemporanea, che con il suo accordo complesso di movimenti sganciati da ogni disciplina, riesce a rendere naturale ciò che apparentemente non lo è, e simile o affine ciò che si ritiene diverso.
Senza indulgere in facili sensazionalismi, Dancing with Maria ci immerge dunque in un universo per sua natura “aperto” e accogliente e ci ritroviamo – poco importa se la danza sia tra i nostri interessi – iniziati ad un rituale collettivo trascinante e inclusivo.
Così come la porta della scuola di Maria Fux risulta sempre aperta per nuovi o vecchi allievi, anche a noi spettatori sembra di stazionare proprio su una preziosa zona di confine: quella tra l’io e l’altro, tra chiusura e apertura al mondo, tra limiti fisici e altri auto-imposti, mentre sotto ai nostri occhi e attraverso le movenze degli allievi di Maria, l’espressione artistica prende numerose forme, tutte parimenti giuste.
In tal senso, la stessa protagonista non è altro che un’allieva tra le altre, intenta ora ad osservare e incorporare la musica, ora a danzare al solo suono del vento, ad ascoltare il proprio corpo, sondando i limiti ad esso imposti dalla vecchiaia, perché senza limitazioni forse non esiste la danza, né l’arte tout court. E poco importa dunque se gli arti di Maria Fux non sono flessuosi come un tempo, i suoi occhi, il suono e la modulazione della sua voce, sono altri corpi tra i corpi, danzanti e vivi.

Info
Il trailer di Dancing with Maria.
Dancing with Maria sul sito della SIC.
Il sito ufficiale di Dancing with Maria.
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