Avventura di un fotografo

Avventura di un fotografo

di

Nell’ambito dell’omaggio a Citto Maselli, proposto dalla Festa del Cinema di Roma, viene recuperato Avventura di un fotografo, mediometraggio televisivo del 1983 in cui il regista, prendendo le mosse da un racconto di Calvino, scandagliava in maniera impietosa e auto-ironica le ossessioni pseudo-artistiche di un intellettuale borghese.

La camera oscura

A uno scrittore, che passa gran parte del suo tempo chiuso in casa, regalano una macchina fotografica che diventa la sua ossessione. Invita un’amica a fargli da modella e da lì in poi entrerà in una spirale ottundente alla ricerca della foto ‘definitiva’, rovinando la sua vita come quella della ragazza, con cui nel frattempo ha instaurato una relazione amorosa e morbosa. [sinossi]

Si scriveva di recente, in occasione della pubblicazione del volume di Artdigiland L’avventura di uno spettatore. Italo Calvino e il cinema, che sono ben pochi i film direttamente tratti – o, almeno, ispirati – alle opere dello scrittore ligure. Avventura di un fotografo, mediometraggio televisivo che Citto Maselli diresse nel 1983 per la RAI, appartiene a questa ristrettissima categoria.
Adattamento (e ampliamento) di un racconto di una decina di pagine circa, scritto da Calvino nel 1958 e pubblicato nel 1970 all’interno del volume Gli amori difficili, il film è stato riproposto nel corso dell’undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma all’interno dell’omaggio dedicato all’autore de Gli indifferenti. Ed è un bene, perché Avventura di un fotografo è senz’altro tra le opere meno note e meno viste di Maselli, un film che affronta e rielabora uno dei temi fondanti della sua filmografia: la crisi dell’intellettuale borghese (preferibilmente comunista) nella società italiana del secondo Novecento.
Laddove però, ad esempio, in Lettera aperta a un giornale della sera (1970) il discorso si faceva corale arrivando ad (auto)accusare una intera generazione incapace di agire, in Avventura di un fotografo la crisi non è solo e non tanto di coscienza, quanto più direttamente artistica ed esistenziale. Più intimistica, insomma, nella direzione di un ripiegamento che, nella prima metà degli anni Ottanta, era già evidente a parecchi, intellettuali e non.

E così, prima ancora dei disastrosi rovesci ‘abbracciati’ dal cinema di Maselli nei decenni successivi – pensiamo in particolare, per restare al filone dell’intellettuale al centro della scena, a Le ombre rosse (2009) – in Avventura di un fotografo la riflessione appare riuscita e sensata, anche radicale per certi versi, con in più l’evidente chiave di lettura dell’identificazione pressoché totale tra l’autore e il suo protagonista, Antonino Serra. Questi è uno scrittore di mezza età, che ha avuto un successo internazionale grazie al suo libro dal titolo esplicativo e auto-punitivo Non ancora e che passa le giornate rinchiuso in casa, preferibilmente a letto, sotto a cui ha fatto costruire – tramite un geniale uso dello spazio – una specie di mondo che gli può essere utile senza doversi alzare: apre un cassetto e ha il giradischi, ne apre un altro e vi può attingere della vodka da un mini-frigo e così via, il tutto restando comodamente sdraiato. Il letto è dunque l’ingegnosa esplicazione di una vita – e di un intellettuale, e di un’arte, e di un cinema – che non ha più voglia di guardare al di fuori delle cosiddette quattro mura. È, insomma, la fine del neorealismo, la sua negazione assoluta. E prefigura allo stesso tempo, così come La famiglia di Ettore Scola, di qualche anno successivo (1987), il ‘due camere e cucina’ che sarà il refrain del cinema italiano anni Novanta.

Come tutte le menti ossessive, maniacali e ombelicali (non a caso, come racconta ad un certo punto, gli ci è voluto un anno per costruire quel letto), Antonino Serra non aspetta altro che farsi coinvolgere totalmente da qualcos’altro. E una macchina fotografica, regalatagli da un semi-sconosciuto, fa proprio al caso suo .
Coinvolta un’amica – che diventa presto l’amante – a fare da modella in casa, Serra si compra apparecchi su apparecchi, cavalletti, bracci meccanici, fari, fino a trasformare il suo appartamento in un set totalizzante, alla ricerca della foto definitiva. Bice, questo il nome della sua compagna di sventure, si presta all’inizio con entusiasmo, poi con sempre maggior impazienza, fino a provare orrore per quest’uomo che, una volta aver scoperto di essere stato tradito da lei, non le ha detto nulla perché vuole continuare a fotografarla insieme all’amante, senza che lei lo sappia. E qui le riprese di Maselli dedicate all’incontro clandestino dei due coincidono esattamente, come punto di vista e come prospettiva, alle foto di Serra, a indicare una immedesimazione sempre più inquietante e sempre più esibita.

Avventura di un fotografo è dunque una riflessione sull’arte e sul cul de sac cui in cui essa è destinata a cadere inevitabilmente: la perfezione non esiste e, come diceva Borges, si mette la parola fine a un’opera non perché ci si ritenga soddisfatti, quanto esclusivamente per pigrizia. Allo stesso tempo non può esistere l’opera senza autore, senza sguardo, senza punto di vista e senza una posizione necessariamente parziale. Questa, infatti, diventa da un certo punto in poi l’aspirazione di Antonino Serra: lasciar fotografare Bice direttamente dall’occhio della macchina, in assenza di sguardo umano; e inventa a tal scopo una serie di meccanismi di autoscatto attivi ogni mezz’ora. Ma anche quel tentativo è destinato a fallire: l’uomo e le sue debolezze si trasferiscono inevitabilmente persino nel mezzo più oggettivo possibile (la fotografia, e dunque anche il cinema) lasciando sempre quel residuo di soggettività che non permetterà mai davvero di ritrarre l’Altro.

In questo gioco teorico, potenzialmente infinito, Maselli riflette non solo sul suo essere regista e sulla sua singolare passione per la fotografia (in particolare per l’autoscatto delle polaroid, come viene raccontato sempre nel volume L’avventura di uno spettatore), ma denuncia in generale un senso di impotenza che fu tipico – e fatale – in quell’inizio degli anni Ottanta: finite le aspirazioni rivoluzionarie, chiusasi la stagione della contestazione, l’intellettuale borghese può finalmente ricominciare a fare quel che gli riesce meglio, vale a dire Nulla!
L’auto-ironia che sostanzia Avventura di un fotografo permette così di sorvolare anche su alcuni aspetti poco convincenti del film, dal doppiaggio molto maldestro a una scansione narrativa che fatica a prendere piede, soprattutto nella prima parte.
E comunque, a rivederlo ora, Avventura di un fotografo appare la perfetta epitome di una generazione, e non è forse un caso che l’attore protagonista, il semi-sconosciuto Paolo Falace, già dalla sua prima apparizione abbia l’aspetto quasi di uno zombie, di un residuo del passato, di un artista-scrittore morente da decenni, forse da sempre. È in lui probabilmente che si incarna la fine dell’intellettuale gramsciano ed è con lui che si palesa la fine di un’epoca di speranze, dell’artista in grado di incidere sul reale. Oggi di tutto questo non sono rimasti altro che biechi simulacri e qualche rado sopravvissuto, tra cui per l’appunto l’ottantaseienne Citto Maselli.

Info
La scheda di Avventura di un fotografo sul sito della Casa del Cinema.
La pagina Wikipedia di Avventura di un fotografo.
Il link Youtube per vedere Avventura di un fotografo.

Articoli correlati

Array
  • DVD

    Le ombre rosseLe ombre rosse

    di Edito da 01 Distribution, Le ombre rosse di Citto Maselli si presenta con una buona qualità delle immagini e con un comparto extra particolarmente sviluppato.
  • Venezia 2009

    Le ombre rosse

    di Presentato a Venezia 2009, il film di Maselli è frutto di uno sguardo indubbiamente amareggiato ma anche lucido e tagliente, portato a scavare nei meandri oscuri di una cocente sconfitta generazionale...