The Other Side of Everything

The Other Side of Everything

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Proteso alla ricerca di un punto di sintesi fra gli eventi storici e i ricordi personali, The Other Side of Everything parte da una porta chiusa per tracciare la storia di un appartamento, di un’attivista in lotta contro Slobodan Milošević e di un Paese, la Serbia, nuovamente scosso da preoccupanti venti nazionalisti, più che mai bisognoso di prese di coscienza e di assunzioni di responsabilità. Presentato al Trieste Film Festival nel concorso documentari.

(Non) aprite quella porta

Una porta chiusa dentro un appartamento di Belgrado ha tenuto una famiglia separata dal proprio passato per oltre 70 anni. Non appena la regista inizia un’intima conversazione con la madre, emerge come la faglia della politica scorra nelle loro vite, rivelando una casa e un Paese infestati dalla Storia. La cronaca di una famiglia in Serbia diventa il bruciante ritratto di un’attivista in tempi di grande agitazione e l’occasione di interrogarsi sulla responsabilità di ogni generazione nella lotta per il proprio futuro. [sinossi]

Nel 1929, al tempo del Regno di Serbia, Croazia e Slovenia che già l’anno successivo sarebbe diventato Regno di Jugoslavia, il bisnonno della documentarista Mila Turajlić acquistò con le necessarie approvazioni delle autorità un lussuoso appartamento di oltre 240 metri quadri nel pieno centro di Belgrado. Poco dopo la Seconda Guerra Mondiale, con la creazione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, gli spazi abitativi destinati ai nuclei familiari vennero ridotti, e parte dell’appartamento dei Turajlić venne confiscata per destinarla ad altre famiglie. Con la nazionalizzazione delle proprietà borghesi di Tito, due porte nel salone vennero chiuse e diventarono, da quando la madre della regista aveva solo due anni, il nuovo invalicabile confine della casa, perfetta metafora di quella divisione, di quelle imposizioni e di quelle prese di coscienza che negli anni successivi scorreranno non solo sotto le finestre dell’appartamento, ma anche nelle sue stanze, perché la politica è una responsabilità di tutti che su tutti ricade.
Quando, nel ’79, nacque Mila Turajlić, le porte nell’appartamento erano chiuse da più di trent’anni, e sono rimaste chiuse fino al 2017, per quasi altri quaranta, durante i quali intorno a quelle porte sono esplose guerre civili, è stato dissolto lo Stato Federale di Jugoslavia privando di fatto le persone della propria cittadinanza, si sono perpetrate pulizie etniche e crimini di guerra, si sono subiti bombardamenti e sanzioni, ma soprattutto c’è stata una vera e propria Resistenza, una vera e propria lotta per la democrazia.
Srbijanka Turajlić, madre della regista, ne è stata fra i volti più importanti e schierati, attivista contro Slobodan Milošević prima dall’Università dove insegnava e poi, dopo essere stata licenziata per sostanziale reato d’opinione, dalle piazze, nelle quali i suoi discorsi pubblici hanno richiamato sempre più manifestanti, sempre più persone, fino a quando al suono dei fischietti di protesta non si è sostituito quello delle campane a festa che annunciavano la caduta del criminale di guerra e del suo nazionalismo malato. La Storia, a volte, passa dalla propria casa e dalla propria famiglia, ed è quindi in un certo senso naturale che Mila Turajlić, già nota per il suo Cinema Komunisto con il quale nel 2010 aveva raccontato la Hollywood titina, abbia cominciato a ripensarla da un punto di vista interno, personale, proteso a cercare di sbirciare oltre quelle porte chiuse da settant’anni, proteso a cercare di aprirle così come si apre una coscienza.
The Other Side of Everything, frutto di una vita di riprese e di cinque anni di conversazioni fra una madre e una figlia, non offre solo la realtà intima e umana del personaggio pubblico che fu così importante nel rovesciamento di Milošević, ma ripercorre dalle stanze di una casa/metafora e attraverso una vita “contro” tutta la Storia recente di un Paese, dagli spioncini con i quali controllare chi stesse arrivando temendo la polizia politica alle agitazioni popolari delle quali è necessario fare parte come puro senso di responsabilità.

Srbijanka Turajlić, dal momento in cui è stata divisa la casa, ha sempre saputo di essere parte di una “famiglia non grata” fatta di “nemici dello Stato”. I suoi genitori erano quotati avvocati profondamente filojugoslavi, ma pur sempre d’estrazione borghese, socialdemocratici, anticomunisti, tanto da aver concordato con gli amici che alla loro porta si suonasse tre volte per distinguere subito dalla scampanellata singola della polizia e delle autorità. La loro era una situazione simile a quella che la realtà schiuderà ben presto alla macchina da presa della regista e figlia della futura attivista, con un operaio pericolosamente in marcia, senza alcuna protezione, sulla struttura di ferro di una gru: vivevano in un rischio costante, sotto pressione, allo spioncino.
Mila Turajlić entra in The Other Side of Everything quasi come se fosse un noir, o un melodramma, lasciando che le immagini d’archivio e le conversazioni tenute di fronte alla macchina da presa accompagnino il flusso di ricordi e di arte oratoria della madre Srbijanka, ma rimanendo sempre attenta, con un sapido utilizzo delle musiche e con grande cura fotografica, a mantenere una tensione viva, emotiva, fatta di soggettive dagli spioncini, di piccoli dettagli rimasti dal passato che vengono pazientemente spolverati, di specchi, di rifrazioni, di scomposizioni e di sguardi dalla finestra, proprio quella finestra sotto la quale erano esplosi gli scontri. Srbijanka, nella sua vita che riemerge dalle conversazioni con la figlia, ha sempre avuto una forte propensione politica, dai suoi viaggi a Parigi nel ’68 ai focolai di resistenza contro Milošević da lei stessa alimentati dal cuore dell’Università, dall’attivismo sul campo al suo continuo riflettere, ancora oggi, sulla libertà, sulla democrazia, sull’impegno civile, sul concetto stesso di nazione e sui nazionalismi, inevitabili portatori di violenza e conflitti. Che poi sono quegli stessi nazionalismi che, con la crisi dell’Opposizione Democratica di Serbia, negli ultimi anni sono tornati a spirare riportando al governo l’estrema destra del Partito Radicale Serbo, e portando non solo Srbijanka Turajlić, ma finalmente anche la figlia e regista Mila, a interrogarsi sulle responsabilità personali e di ogni generazione nella Storia e nel futuro del Paese. C’è la voglia di andare via, c’è la consapevolezza che: «Non si può vivere in Serbia». Ma c’è anche la consapevolezza che solo lottando dall’interno il Paese si può cambiare, così come, proprio dalla sua casa, una donna e madre ha contribuito in maniera così decisiva a cambiarlo.

Progressivamente, con lo scorrere del tempo, con l’ulteriore modificarsi dello scacchiere politico subito fuori dall’appartamento, con la presa di coscienza di una donna che matura, le domande poste dalla regista alla madre attivista non sono più “cosa è successo?”, ma “cosa hai fatto?”, e poi ancora “cosa avrei dovuto e potuto fare? Cosa posso fare?”. Mila Turajlić si rende conto che la più grave responsabilità della sua generazione è proprio quella di non sapersi assumere le responsabilità come fece quella precedente, e a questo punto di come la casa nella quale entrambe sono nate e cresciute non sia mai stata un rifugio, ma un vero e proprio focolare innervato di politica, nel quale ogni carta trasuda politica, nel quale i muri trasudano politica, nel quale persino le porte trasudano politica.
Già, le porte, quelle porte chiuse da quasi 70 anni, e che adesso, finalmente, possono essere di nuovo aperte, per fare chiarezza, per poter fare una passeggiata dall’altra parte dove ancora – il più puro paradosso – sono conservate le registrazioni audio dei discorsi di Milošević. Dall’altra parte ci sono i vecchi lampadari di ottone, si possono rivedere (o vedere per la prima volta) quei pavimenti del ’29, e il solo fatto di aver riunito ciò che era stato diviso non può che porsi come un messaggio di apertura verso una Jugoslavia che non esiste più se non nei rimpianti. Il riprendere possesso degli spazi nella casa di famiglia è, per Mila Turajlić, la piena presa di coscienza politica, la definitiva assunzione di responsabilità, la maturazione finale come persona prima ancora che come cineasta.
È ora che sia lei stessa a tenere i discorsi, a combattere per la democrazia, a ricevere il testimone e a portare avanti la Resistenza, ogni giorno, con le doti di leadership da tirare fuori, o con il cinema.
The Other Side of Everything, appunto il cinema, ripercorre la Storia di un Paese e la storia personale come un home-movie, nato da una casa e dalla straordinarietà di una madre, ambizioso e stratificato, ma soprattutto profondamente intimo e politico. Certo, non manca forse qualche piccola sbavatura, alcune scelte sembrano dettate più dalla disponibilità degli archivi che dalla reale pertinenza con quanto raccontato, e forse ogni tanto si svia dai reali episodi sociali e politici per scivolare nell’aneddoto. Ma questo, in un lavoro così ostinatamente personale e così profondamente sincero e sentito, non è un vero e proprio difetto, è solo l’occhio di una figlia che sta diventando donna, e che si dichiara apertamente pronta a ricevere un’eredità pesante come un macigno, pesante come una robusta porta, pesante come la Storia. Non è certo poco.

Info
La scheda di The Other Side of Everything sul sito del Trieste Film Festival.
Il sito ufficiale di The Other Side of Everything.
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