1970

Presentato al 52° Visions du Réel di Nyon, 1970 di Tomasz Wolski ricostruisce un evento cupo della storia polacca, le manifestazioni e gli scioperi del 1970, repressi con la forza dalle autorità. Il regista si avvale da un lato dei filmati di piazza dell’epoca, dall’altra delle registrazioni audio, recentemente saltate fuori, delle telefonate che intercorrevano tra i burocrati di regime che organizzavano la repressione, messe in scena con pupazzi. Emerge una nuova banalità del male.

Gli uomini di plastilina

1970. I lavoratori scioperano in alcune città della Polonia sovietica manifestando contro gli aumenti dei prezzi. Negli uffici dei dignitari la tensione cresce con l’intensificarsi della rivolta. Gli eventi vengono inizialmente affrontati con calma nella speranza di riprendere rapidamente il controllo, ma la situazione degenera gradualmente. [sinossi]

Il documentario d’animazione, o con parti animate, sta diventando una moda e non sempre con risultati entusiasmanti. Di base si tratta di sfidare la apparente contraddizione tra cinema del reale e ricostruzione animata. 1970 di Tomasz Wolski, presentato al 52° Visions du Réel di Nyon, usa l’animazione a pupazzi per sopperire a un’immagine mancante, quella dei burocrati delle autorità che organizzano la repressione delle manifestazioni di protesta. Di queste scene esiste invece un audio, quello delle telefonate intercorse tra di loro, intercettate, da poco disponibile e proposto tal quale dal film, con l’accompagnamento appunto di queste ricostruzioni d’animazione. 1970 ricostruisce il grande sciopero e le manifestazioni di protesta che infiammarono alcune città del nord della Polonia a seguito dello scontento generato da un vertiginoso aumento dei prezzi dei generi di prima necessità. Moti duramente repressi dalle autorità provocando 42 vittime. Il film scorre su due binari. Da un lato i filmati di repertorio di quelle proteste, spesso riprese da punti di vista lontani, dall’altro le scene delle stanze del potere, ricostruite con i pupazzi di cui sopra, straordinariamente somiglianti ai personaggi storici di cui sono modello. Una dicotomia figurativa che ricorda quella de L’immagine mancante di Rithy Panh. Sembra che in tal modo 1970 abbia coperto tutto con immagini vere, o il più possibile vere. Ma l’ambiguità rimane, anche laddove si possa coprire tutto con immagini.

Emerge un quadro storico ben preciso. I manifestanti sono lavoratori, operai, agricoltori e agiscono mossi da ideali socialisti. Si delinea così una differenza tra il socialismo autentico e quello fatto di apparenze dei grigi rappresentanti della nomenklatura. Questi ultimi hanno voci atonali (e sono quelle vere), da burocrati che agiscono automaticamente, senza troppa convinzione, ricordando in ciò la banalità del male di Adolf Eichmann. Tuttavia non sono gerarchi sanguinari, e in più riprese si preoccupano di non fare vittime e ordinano alle forze dell’ordine di salvare alcuni manifestanti rimasti chiusi in un edificio che sta per andare a fuoco. Qui però abbiamo i primi interrogativi. Questi dirigenti di partito sapevano di essere intercettati e controllati? E, in tal caso, si comportavano con questa consapevolezza? E perché non si sono trovate intercettazioni dei piani più alti del potere? L’ambiguità delle immagini riflette gli interrogativi della storia. Si fa riferimento alla repressione sovietica della Primavera di Praga, avvenuta solo due anni prima. E anche per quei fatti del 1970 possiamo formulare gli interrogativi che si sarebbero posti negli anni Ottanta per la messa al bando di Solidarność: pura eliminazione del dissenso o prevenzione di un’invasione sovietica?

Tomasz Wolski usa i pupazzi in modo singolare. Li riprende all’inizio dai corridoi fuori dei loro uffici, come a sottolineare il carattere spionistico di quelle scene e quei dialoghi delle sfere alte del potere. Sono spesso pupazzi immobili, solo di rado sono animati, in stop motion. E su di loro aleggia come una nebbia, per le immagini offuscate. Alla fine verranno afferrati e portati via di scena da delle mani. Sono così rappresentati come dei burattini, degli automi controllati da un potere più in alto, nazionale o sovietico. E la loro fissità si contrappone alla dinamicità delle immagini di piazza, ai manifestanti che urlano “Gestapo” rivolti alle forze dell’ordine. Alle scene scioccanti degli arrestati condotti nelle camionette della polizia. Per tornare a una fissità, quella delle scritte sui muri che rivendicano le libertà fondamentali, a indicare che quelle proteste andavano ben oltre il semplice aumento del costo della vita. Tomasz Wolski chiude il film con le immagini di ogni pupazzo, insieme a quella del corrispettivo personaggio storico, raccontando la loro successiva biografia, secondo un clichè molto usato al cinema. Alcuni rimossi dai loro incarichi, altri arrestati, altri rimasti in carica, avrebbero avuto un ruolo nella legge marziale degli anni Ottanta. E il film elenca anche i nomi delle 42 vittime, con un doveroso epitaffio per tenere viva la loro memoria.

Info
Il trailer di 1970.

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