The Killer

The Killer

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Action muscolare ad alto tasso di spettacolarità, The Killer di Choi Jae-hoon è puro intrattenimento che si innesta da qualche parte fra John Wick e Kill Bill, spingendo consapevolmente sul pedale dell’eccesso in una striscia di combattimenti, sangue e vendetta da cui emergono ancora una volta lo sguardo verso occidente e lo stato di salute dell’industria cinematografica coreana. In prima mondiale al 24mo Far East di Udine.

Non svegliare il can che dorme

Ex sicario in pensione ormai ricco e pronto a una vita ordinaria, l’imperturbabile Ui-kang vive tranquillo con la fidanzata nel loro lussuoso appartamento. Quando lei partirà per una vacanza con un’amica, gli chiederà di ospitare e proteggere Yoon-ji, la giovane figlia adolescente della sua compagna di viaggio. Ui-kang non vorrebbe fastidi dall’adolescente, ma Yoon-ji rimane bloccata con un gruppo di delinquenti e Ui-kang finisce per usare un po’ di violenza per proteggerla. La sera stessa, tuttavia, i giovani gangster vengono trovati morti e Ui-kang è sospettato di omicidio, mentre Yoon-ji viene nuovamente rapita da un’unità di traffico di adolescenti che si rivelerà sempre più vasta e potente. Riportarla a casa sana e salva diventerà per Ui-kang la missione più importante della vita… [sinossi]

Tutto può essere un’arma. Un coltello, una pistola, un fucile di precisione, un’accetta, ma anche una gamba di legno strappata da un tavolo, una bottiglia di vetro, una corda, una finestra, perfino un’automobile lanciata a tutta velocità o magari il salto all’ultimo per evitarla, costringendo chi è al volante all’incidente. Proprio come chiunque può fare parte della fitta rete di villain sempre più potenti da affrontare a decine alla volta e da eliminare uno per uno, dal giovane gangster in motocicletta al più classico poliziotto corrotto e (doppio) doppiogiochista, da un giudice della Corte Suprema pervertito a una matrigna senza scrupoli che traffica in adolescenti con la mafia russa. Quello che conta è giocare apertamente con l’eccesso, procedere per accumulo esasperando i topoi del genere, trasformare ogni singola lotta in spettacolare ed elaborata coreografia, ogni singola informazione in una differente modalità di tortura per estorcerla, ogni singola goccia di sangue in un’intera piscina che diventa rossa, mentre il sardonico antieroe dal cuore buono si inerpica sul sentiero del definitivo riscatto prima salvando la ragazzina in pericolo, e poi sbaragliando nell’inevitabile carneficina l’intera piramide dell’organizzazione criminale che l’aveva rapita per tentare di costringerla a prostituirsi. Del resto mette sin da subito le cose in chiaro The Killer, opera terza con cui coreano Choi Jae-hoon, dopo il cappa e spada di The Swordsman (2020) e il thriller-horror di The Hypnosis (2021), passa a un revenge movie che, senza dimenticare le lezioni (e le pistole dai caricatori pressoché inesauribili) di John Woo, guarda apertamente alle variazioni sul tema hollywoodiane, innestandosi da qualche parte fra i combattimenti di John Wick e la caparbietà (ma anche la benda sull’occhio di una nemica) di Kill Bill, come una risacca di ritorno a oriente di quella stessa onda che aveva portato il cinema di genere asiatico verso le sue riletture a stelle e strisce.

Basta una partenza in medias res, con una lama già insanguinata, con un uomo che combatte da solo contro intere frotte di gangster, con i rapidissimi movimenti di macchina e il montaggio serrato degli action più impetuosi. Una dichiarazione programmatica che è al contempo una premessa e una promessa: non contano tanto la credibilità o l’imprevedibilità della vicenda, ma l’adrenalina nel metterla in scena, lo scontro sempre più esacerbato, la mossa sempre più scaltra contro un nemico sempre più feroce. Il resto, a partire dalla richiesta non particolarmente plausibile che la fidanzata fa al protagonista di ospitare e proteggere per settimane l’adolescente mai vista prima Yoon-ji, diciassettenne «con un fisico già da donna e la testa ancora da bambina» figlia dell’amica con cui sta per partire per una vacanza, è poco più che un MacGuffin, una linea di trama semplicemente funzionale a quella che sarà l’escalation di violenza e di vendetta. Come sono di fatto circostanze funzionali alla crescente furia, e non vere e proprie istanze, pure la tratta di esseri umani, la prostituzione minorile, gli scambi internazionali di vergini con altre organizzazioni criminali, o ancora il continuo mutare dei rapporti di forza e potere (specialmente fra il sicario protagonista e il poliziotto corrotto) man mano che il nemico si svela nei suoi sempre più alti vertici, e la lotta e la vendetta salgono di classe sociale. Ma non è questo che conta nel film. Il reale motore di The Killer, tratto dal romanzo The Girl Who Deserves to Die (2018) di Bang Jin-ho, è costituito dalla sua regia nerboruta, dal suo ritmo ipercinetico tutto duelli corpo a corpo, inseguimenti e sparatorie, dalla sua indubbia capacità di sfruttare i consueti alti standard produttivi, artistici e tecnici del prodotto di genere coreano – si veda, tanto per rimanere a questa edizione del Far East, anche alla voce Special Delivery di Park Dae-min, con cui The Killer sembra, per giovani in pericolo, pregi e difetti, avere più che un qualche grado di parentela.

Ripercorrendo e ripotenziando binari narrativi e formali di certo non inediti, ma evidentemente ancora ben lontani dall’esaurire il loro potenziale di intrattenimento, Choi Jae-hoon firma un film consapevolmente industriale, fortemente spettacolare e scevro di qualsiasi possibile pretenziosità, la cui unica reale ambizione è divertire lo spettatore con la fisicità e con l’ironia silenziosa dell’Ui-kang interpretato da Jang Hyuk, già protagonista per Choi dell’esordio alla regia di due anni fa e qui perfetto nel ruolo-topos dell’antieroe freddo e sornione pronto ad affrontare chiunque, in qualsiasi luogo (con tanto di localizzatori GPS e di dolorose sevizie a chiunque sappia dove fare la prossima mossa) e con qualsivoglia arma. Un uomo apparentemente insensibile al dolore proprio e altrui, che non fa una piega quando viene accoltellato e che si ricuce da solo nella cucina di casa la ferita d’arma da taglio, che non ha il minimo cedimento nel sangue freddo nemmeno quando la polizia (corrotta e ricattabile per lo meno fino al prossimo acquirente a cui riuscirà a vendersi, ma Ui-kang non lo può ancora sapere) inizierà a sospettarlo e a interrogarlo, eppure tanto intrepido con i nemici quanto spaventato dall’idea di deludere l’amata, tanto brutale ed efferato nel suo lavoro di sicario quanto inaspettatamente pronto ad affezionarsi alla «teppistella» affidatagli, fino a decidere di completare la vendetta anche quando lei sarà già al sicuro in ospedale, per proteggerla fino in fondo ma anche per un personale senso di giustizia.

È così che, fra le botte da orbi nei magazzini, le macchine che sfrecciano nei porti, i bunga-bunga nelle ville in cui attaccare oppure lasciarsi braccare per poi ribaltare la situazione, i fiumi di sangue che scorrono nelle tempeste di piombo e i veri e propri siparietti comici che puntellano la narrazione (in testa l’improbabile anziano armaiolo costretto a guardare un tutorial al computer per montare un fucile, ma anche l’imperturbabilità laconica con cui il protagonista affronta, tortura e uccide i tanti gangster nemici sa strappare più di una risata), The Killer lascia emergere dallo sfondo i dilemmi introspettivi del suo protagonista, sicario stanco di uccidere che avrebbe voluto chiudere per sempre con la morte e con quel mondo, e che invece si ritrova di nuovo in missione per caso, la prima e unica in carriera per necessità personale e familiare. Non più assassino per contratto, e quindi un criminale, ma al contrario un vero e proprio giustiziere in lotta contro il tempo e contro un intero sistema, apice di una parabola personale e morale al termine della quale ritrovarsi in qualche modo redento. Semmai, a convincere meno, è la scelta di umanizzarlo con un abbraccio in flashback a una vecchia vittima/mandante che lo aveva assoldato per ucciderla, di fatto utile solo come preambolo dell’altrettanto sdolcinato finale da cartolina tutti insieme sulla spiaggia al tramonto. Sarebbe stato probabilmente più che sufficiente lo svilupparsi del rapporto fra Ui-kang e la giovanissima Yoon-ji per dire tutto, il loro iniziale studiarsi e quasi respingersi per poi quasi inevitabilmente trovarsi come un padre e una figlia, fra burrascosi salvataggi, ferite da guarire e scommesse perse da (non) ripagare. Con reciproca comprensione, con affetto, con vicendevole e infinita riconoscenza, sapendo di poter contare l’uno sull’altro qualsiasi cosa accada. Per lo meno su uno schermo, dove vale (quasi) tutto e basta spegnere le luci per godersi il rutilare delle immagini.

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