Una vera signora

Una vera signora

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Nell’ambito della retrospettiva dedicata alla diva e produttrice Norma Talmadge, è stato proiettato alle 41me Giornate del Cinema Muto di Pordenone Una vera signora (The Lady), turgido melodramma d’amore materno e di riscatto sociale impeccabilmente diretto da Frank Borzage. Un film che attraversa quasi vent’anni fra Francia e Inghilterra senza paura di affrontare i tabù dell’abbandono, della gravidanza e della prostituzione, forte di un’interpretazione dalla strabordante espressività già al tempo quasi unanimemente lodata dalla critica, eppure per molti versi troppo avanti per il botteghino americano del 1925.

Ladies and gentlemen

Polly Pearl, ormai matura proprietaria di un caffè francese, racconta in flashback la sua storia a un gentile avventore del locale. Un tempo cantante di sala in Inghilterra, aveva sposato in segreto il rampollo della nobiltà Leonard St. Aubyns, immediatamente diseredato dal padre a causa della sua relazione con una donna di rango inferiore. Tradita e abbandonata già in luna di miele, si ritrova in un cabaret/bordello di Marsiglia con il figlio neonato da crescere da sola. Al momento della morte dell’ex marito, il padre di lui si presenta a reclamare il nipotino forte di un’ingiunzione del tribunale che considera Polly «indegna» di crescerlo. Messa alle strette, non può che affidare il bambino a una coppia di pastori protestanti nei quali ha piena fiducia, ma negli anni seguenti non smetterà mai di cercarlo. Tornati al presente, nel caffè un giovane soldato uccide accidentalmente il suo superiore ubriaco per salvare una ragazza dalle molestie e perde i sensi nella colluttazione. Dalla sua targhetta identificativa, Polly si renderà conto che si tratta proprio di quel figlio da sempre al centro dei suoi pensieri. Per salvarlo dalla legge Polly cercherà di prendersi la colpa, ma lui rifiuta e va incontro al suo destino, dimostrandosi quel reale gentiluomo che la madre aveva sempre sognato. [sinossi]

Dice la Storia che Billy Wilder e il suo co-sceneggiatore Charles Brackett volessero in realtà riferirsi alla tragica vicenda dell’attrice Mabel Normand, sospettata nel 1922 dell’omicidio rimasto impunito del collega e amante William Desmond Taylor e morta in solitudine pochi anni dopo, quando nel 1950 scelsero di creare una crasi fra i due nomi per chiamare il personaggio della protagonista di Viale del tramonto Norma Desmond. Eppure non sembra un’ipotesi troppo peregrina immaginare come il resto della biografia della Norma diva del muto disarcionata dall’arrivo del sonoro, resa immortale dall’interpretazione di Gloria Swanson, potesse avere trovato parziale ispirazione anche nella reale carriera di un’altra Norma attrice e produttrice, Norma Talmadge, tanto in alto come regina del melodramma silente negli anni Venti quanto rapidamente dimenticata dal pubblico del “cinema parlante” dei Trenta, costretta a ritirarsi (pur ricchissima) dalle scene dopo due soli tentativi, e due clamorosi flop, di approccio alla nuova tecnologia e alle nuove tecniche di recitazione. È a lei che le 41me Giornate del Cinema Muto di Pordenone, le settime sotto la direzione di Jay Weissberg, fra lunghi, corti e frammenti hanno deciso di dedicare una retrospettiva di diciotto titoli fra le sue 164 interpretazioni, in una panoramica che ne attraversa i primi ruoli marginali e il grande successo, la definitiva consacrazione critica e i primi scricchiolii al botteghino. Fino all’ultima risoluzione di contratto e a una carriera improvvisamente interrotta per non ripartire mai più. Un percorso di ascesa e caduta in cui The Lady, rintracciabile in alcune fonti italiane anche come Una vera signora, da lei stessa prodotto con la Norma Talmadge Film Corporation per la regia come sempre moderna e tecnicamente impeccabile dell’italo-americano Frank Borzage con cui già nell’anno precedente aveva già realizzato il celebrato Secrets, si pone in una sorta di posizione trasversale: un film ambiziosissimo e un vero e proprio trionfo critico e attoriale oggi come ieri universalmente (o quasi, se si esclude l’unica recensione negativa del tempo) considerato un grande film e fra le migliori interpretazioni dell’attrice, eppure al momento della distribuzione punito da uno sbigliettamento nemmeno lontanamente paragonabile a quello dei più grandi successi della diva, troppo progredito e troppo “europeo” per ambientazione, tematiche e malinconia per incontrare il reale favore di un pubblico americano del 1925 che tendeva a preferire il sorriso al dramma e l’ambientazione moderna statunitense al costume del vecchio continente. Curioso semmai notare come il futuro dello stesso Borzage, all’anagrafe Francesco Borzaga figlio di padre trentino e madre svizzera, dalla sua crisi personale degli anni Quaranta in poi diventerà in qualche modo a sua volta sovrapponibile a quello della sua stella, o a quello del successo solo a metà di Una vera signora, o se si vuole alla storia fittizia di Norma Desmond, salita fino alla cima dell’Olimpo hollywoodiano e poi improvvisamente caduta nel dimenticatoio cinematografico. Un autore versatile e febbrile da diversi titoli all’anno e oltre cento film in carriera, a sua volta considerato al tempo più o meno alla pari dei grandi maestri John Ford e Howard Hawks, ma oggi molto difficilmente ricordato e citato nonostante i due premi Oscar come miglior regista che otterrà nel ’27 e nel ’32 per Settimo cielo e Bad Girl. Ma non divaghiamo troppo con le contestualizzazioni storiche, torniamo al film. Torniamo alla sua calda accoglienza critica e alla sua fredda accoglienza commerciale, alla sua sostanziale rimozione e alla sua tardiva riscoperta come pellicola di culto, considerata (nonostante l’attuale mancanza del secondo rullo e almeno un paio di momenti in cui la degradazione chimica del nitrato ha costretto i restauratori a cartelli aggiuntivi per spiegare ciò che è diventato invisibile) fra i più preziosi cimeli conservati dalla Library of Congress di Capitol Hill.

È tratto dall’omonimo lavoro teatrale di Martin Brown The Lady, messo in scena all’Empire Theatre di Broadway fra il ’23 e il ’24 con quasi novanta repliche. Un «dramma realistico», come lo stesso autore preferiva definirlo quando qualcuno gli parlava di melodramma, già a teatro capace di infrangere più tabù parlando apertamente di gravidanza e di abbandono, e al contempo di lambire nemmeno troppo velatamente il tema della prostituzione con quel locale “di cabaret” che già sul palcoscenico aveva consapevolmente tutta l’aria di una casa chiusa. Un dettaglio, fondamentale nella parabola di riscatto sociale inter-generazionale fra la madre sconvolta e il figlio perduto, affrontato di petto anche dalla versione cinematografica, non tanto dalla Polly Pearl interpretata da Norma Talmadge che precauzionalmente viene mostrata solo intenta a cantare sul piccolo palcoscenico del locale, quanto dall’inequivocabile avvicinarsi delle sue colleghe agli avventori, e soprattutto dal personaggio della maîtresse Madame Blanche a cui basterà tenere per la prima volta in braccio il neonato Leonard per riscoprire la solidarietà umana. La stessa di chi accetterà di prendere in cura il pargoletto per toglierlo alle grinfie del perfido nonno che, dopo aver tentato di pagare Polly per dimenticare il figlio e averlo diseredato «finché non tornerai a casa solo», lo avrebbe certamente cresciuto egoista, maschilista e classista come quel padre e marito appena morto che non si era fatto alcuno scrupolo a tradirla e ad abbandonarla già in luna di miele da incinta; la stessa di Polly ormai madre costretta dalle circostanze a sacrificare tutto ciò che ha e a perdere il figlio, ma che dopo averlo affidato alle cure della moglie del pastore non smetterà mai di cercarlo, e adesso ormai invecchiata racconta in un lungo flashback i passi della sua storia a un gentile avventore del suo bar. Anche se sarà solo il violento ritorno al presente, nell’ultimissima sezione, a poter chiudere realmente la sua parabola d’amore e di strazio, con il colpo partito per sbaglio e per premura a un soldato nel suo locale, con il momento in cui lo riconosce dalla targhetta identificativa in un incontro tanto agognato quanto ora drammatico, con il momento di guardarsi negli occhi e reciprocamente capirsi e ritrovarsi, senza avere il coraggio, ma in realtà nemmeno il bisogno, di dirsi la verità. Il resto è una sceneggiatura solida e umanissima, che sin dall’inquadratura iniziale con la mano che pulisce il bancone dalla birra fuoriuscita dai boccali Frank Borzage mette in scena in una regia di dettagli e di campi e controcampi perfettamente calibrati, di ellissi temporali e di pensieri (si veda la sequenza in cui il piccolo Leonard viene portato via dalle grinfie del nonno) che illuminano lo schermo di suspense come attrazioni di montaggio, di incastri paralleli (la collega ballerina del primo locale che finirà in sposa dell’allibratore nella vergogna di Polly che le vende un fiore ormai ridotta alla stregua di una senzatetto) e di istanti di straripante potenza emotiva che deflagrano improvvisi (in testa tutta la sequenza londinese alla ricerca disperata e vana del figlio, ma anche il magnifico finale). Perché, soprattutto, Una vera signora è un film forte della sconfinata espressività dell’interpretazione di Norma Talmadge. Una recitazione di occhi che si venano all’improvviso di lacrime e di piccoli dettagli sempre differenti in ogni minimo movimento del corpo, con cui attraversare il lungo arco temporale dalla gioventù alla mezza età, fra la poca felicità e i tanti dolori, fra la gelosia e la disperazione, fra la tensione e la commozione più viva di una madre che ritrova inaspettatamente il figlio proprio nel peggiore momento possibile, tenta di salvarlo prendendosi la colpa del suo accidentale omicidio, e proprio nel momento del suo onorevole rifiuto capisce di aver messo al mondo un gentiluomo, quel signore che aveva sempre sognato diventasse, quel sogno per cui lei – «E tu ti definiresti una signora?», le dicono già all’inizio nel bar, prima ancora che si metta a raccontare di come la povertà e l’abbandono l’avessero costretta al bordello e che il facoltoso suocero la facesse dichiarare dal tribunale «indegna» di crescere il bambino – era stata disposta a sacrificare la sua stessa esistenza di donna e di madre.

Polly Pearl è l’incarnazione di un personaggio forte e dolcissimo, per molti versi proto-femminista nella sua centralità da assoluta protagonista e da donna sola costretta ad emanciparsi e a sopravvivere nella società non certo a sua misura dei primi del Novecento, e per molti versi apertamente politico nella sua umanità proletaria di valori e di sentimenti messa di fronte ai capricci e al classismo di chi è ricco e potente. Una vera signora, capace di amare oltre se stessa, oltre le vicissitudini, oltre le tragedie. Oltre i delitti e oltre i castighi. Di certo, oltre i parziali insuccessi nel botteghino del 1925, ben sapendo che la Storia le avrebbe dato ragione. Il tempo, almeno lui e almeno col grande cinema, sa essere realmente galantuomo. E riportare, almeno per questa settimana pordenonese, Una vera signora e Norma Talmadge (ma pure Frank Borzage, l’altro grande dimenticato) finalmente di nuovo lassù, dove hanno sempre meritato di stare.

Info
Una vera signora sul sito delle Giornate del Cinema Muto.

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