L’avamposto

L’avamposto

di

Realtà e narrazione. Ingenuità e cultura. Le istanze e le problematicità del fare cinema, innanzitutto. Presentato alle Giornate degli Autori dell’80. Mostra di Venezia, L’avamposto di Edoardo Morabito si delinea come un’appassionante riflessione sull’eterno conflitto fra natura e cultura e sulle infinite contraddizioni dell’atto cinematografico.

Another Brick in the Wall (of Homologation)

Eco-guerriero votato alla difesa della regione dello Xixuaú in piena foresta amazzonica, lo scozzese Christopher Clark cerca di organizzare una reunion dei Pink Floyd perché accettino di eseguire un concerto sul territorio in modo da spingere il governo brasiliano a istituire nella zona una riserva naturale. Mentre Chris dà conto della storia e delle evoluzioni della comunità locale, il filmmaker Edoardo Morabito lo segue nei suoi tentativi ardimentosi e fallimentari di organizzare il concerto nella foresta. [sinossi]

Inseguire un sogno. Un sogno di vita e di impegno per la vita. La parabola di Christopher Clark, eco-guerriero dedicatosi a un progetto di salvataggio e recupero di una porzione della foresta amazzonica, intreccia visionarietà individuale e coinvolgimento sociale. Clark è testimone di un’esistenza vissuta come avamposto socio-culturale, è protagonista di una vicenda umana in cui la fuga dal progresso tecnocratico dell’Occidente si traduce in progresso tecno-umanistico. Per molti anni Clark si è dedicato infatti alla realizzazione e preservazione di una comunità nella regione dello Xixuaú in Amazzonia, dalle parti di Manaus, che in qualche modo potesse coniugare in senso eco-sostenibile accettabili condizioni di vita e conservazione del patrimonio geo-naturalistico. La scelta del luogo costituisce già intrinseca metafora: la regione brasiliana si delinea infatti come una delle più incontaminate al mondo, contesto perfetto per inseguire la sfida della conservazione di un territorio lontano da qualsiasi omologazione e dalle derive del cambiamento climatico.

Presentato alle Giornate degli Autori dell’80. Mostra di Venezia, L’avamposto di Edoardo Morabito è innanzitutto il diario intimo e universale di un’esperienza. Chris Clark è il protagonista, ma dietro all’obiettivo permane l’osservazione partecipante di una sorta di etnologo cinematografico, chiamato a confrontarsi continuamente non soltanto con la realtà documentata ma anche con le proprie impressioni, emozioni, riflessioni su quanto egli stesso sta vivendo con Chris e con gli abitanti dello Xixuaú. L’avamposto conserva molto del resoconto antropologico, e non tanto perché è dedicato a una lontana e isolata comunità amazzonica, quanto per la sua natura di documentazione di un’esperienza umana il cui protagonista è un occidentale visionario. Come ogni valido documento etnografico che si rispetti, la personalità del documentatore non è estromessa ed eliminata dal flusso narrativo, bensì è direttamente coinvolta (e registrata nel suo coinvolgimento) nel processo di esperienza e conoscenza. Così si dà ampio spazio alla voice over, in cui Morabito riflette, pensa su se stesso e sulla realtà che gli si dispiega davanti, e soprattutto condivide. Della vita di Chris Clark si restituisce impegno e forza d’animo, fantasia e visionarietà, leggerezza e amarezza. L’avamposto è un film che vive di contraddizioni attive e feconde. Chris Clark si è dedicato con sincero afflato alla battaglia per la salvezza dello Xixuaú, ma al contempo ha potuto condurre quella battaglia grazie alla propria cultura tutta occidentale. Dove finisce l’impegno individuale, e dove inizia l’autodeterminazione di una comunità culturale? È lo stesso Clark, del resto, a registrare l’ominosa tendenza della comunità a cercare nuovi obiettivi tutti omologanti. Se per qualche anno gli abitanti del luogo si sono accontentati di procurarsi il necessario sostentamento tramite l’eco-turismo adempiendo a bisogni primari, successivamente hanno anche iniziato a mostrare bisogni in tutto occidentali – la macchina, la casa al mare… Il consumismo occidentale, la sua irresistibile lucentezza, arrivano ovunque. Del resto, è molto probabile che lo Xixuaú sia venuto in contatto con tale idea del benessere proprio tramite il varco involontario aperto nella foresta dallo stesso Chris Clark. L’eco-turismo comporta nuovi scambi, nuove conoscenze, nuovi orizzonti. Come fare dunque per difendere un patrimonio senza contaminarlo?

Vi è molto di amaro, di fatale e quasi di tragico nella vicenda narrata in L’avamposto. È una consapevolezza in tutto pertinente anche a Morabito, che più volte nel significativo commento in voice over dà conto di quanto l’amicizia con Chris sia stata fonte di illusione, necessaria a limitare la deriva verso la tristezza dovuta alla constatazione di un mondo in cui nulla è più possibile ideare o sognare di alternativo a un unico modello dominante. «Forse […] abbiamo cavalcato per un attimo lo stesso sogno impossibile» dice Morabito nelle sue note di regia riguardo al suo rapporto con Chris Clark, «osservando il disastro arrivare. Perché abbiamo preferito vedere il mondo così come non è, piuttosto che morire di tristezza. Ma mentre il […] sogno [di Chris] è un’ipoteca sul futuro, io non ero altro che un turista con un film in testa». In tal senso L’avamposto si traduce anche in territorio di riflessione sugli strumenti precipui del cinema, trasformandosi in atto cinematografico che contiene al suo interno una consapevole riflessione sui propri meriti e limiti. Quanto è necessario spogliare il proprio sguardo d’autore occidentale di fronte a un’operazione di questo tipo? Quanto è possibile uscire da se stessi, dalla propria formazione inevitabilmente plasmata da una cultura condivisa che pure si vorrebbe combattere tramite la propria attività artistica? È possibile liberarsi totalmente, pur con le migliori intenzioni e propositi, dall’approccio esterno di un autore che vuol girare un film, sempre a rischio di finire, un passo dopo, nello sguardo curioso di un turista che resta fatalmente al di fuori delle dinamiche socio-culturali osservate e documentate?

L’avamposto registra tale distanza sia all’interno dello sguardo di chi fa riprese, monta e realizza cinema, sia all’esterno, in quel mondo occidentale di alto profilo che pure si proporrebbe come sostenitore di cause sociali, ambientali e quant’altro. In tal senso assume grande significato l’ultimo capitolo del film, quel ritorno abbastanza inaspettato nell’Occidente moderno e tecnicamente iper-efficiente, dove Chris Clark cerca contatti, appoggi e finanziamenti per realizzare l’idea visionaria del concerto dei Pink Floyd in piena Amazzonia al fine di spingere il governo brasiliano a istituire una riserva naturale nella regione dello Xixuaú. Se prendere contatti diretti con i componenti sparpagliati dei Pink Floyd si rivela difficile, altrettanto Morabito registra la distanza abissale fra due mondi che pur mossi dai più nobili convincimenti non riescono a dialogare. Basti pensare al densissimo incontro fra Chris Clark e una ricca signora londinese. La filantropia si muove su piani altissimi, lontani anni luce dalla realtà terracea dello Xixuaú, che grida da sé, reclama attenzione immediata e assai poco burocratizzata – ed è delizioso e sanamente sbellichevole il breve frammento in cui Chris, in cerca di testimonial per la propria causa, in luogo dei Pink Floyd riceve la proposta di coinvolgere nel progetto l’onnipresente e quasi ovvio Jovanotti.

L’avamposto si chiude anche con qualche nota positiva, poiché il governo brasiliano (si dice in chiusura) ha accettato di istituire la riserva naturale nello Xixuaú. Eppure L’avamposto è percorso da cima a fondo da un diffuso e amarissimo sentimento di sconfitta, dove ad andare incontro allo scacco è un’idea di vita, un modello di pensiero e di progetto. E dove si registrano anche le infinite frammentarietà, contraddizioni e imperfezioni del mezzo, dello sguardo e dell’atto cinematografico. Interrogativi intorno all’essere umano, al fare cinema, all’eterno dissidio fra ingenuità e cultura.

Info
L’avamposto sul sito delle Giornate degli Autori.

  • lavamposto-2023-edoardo-morabito-01.jpg
  • lavamposto-2023-edoardo-morabito-02.jpg

Articoli correlati

Array
  • Venezia 2023

    Venezia 2023 – Minuto per minuto

    Venezia 2023 festeggia le ottanta edizioni della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, contraddistinguendosi per lo spazio rilevante concesso alla produzione nazionale, a partire dalla presenza in concorso di ben sei film italiani.
  • Venezia 2023

    Venezia 2023

    Venezia 2023, ottantesima edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, conferma la struttura che è quella consolidata dal 2012, cioè a dire da quando Alberto Barbera ha ripreso il timone del comando: grande spazio all'occidente con il resto del mondo relegato in un cantuccio.
  • Festival

    Giornate degli Autori 2023 – Presentazione

    Compie vent'anni la più giovane delle sezioni collaterali della Mostra di Venezia. Giornate degli Autori 2023, la cui dedica va ad Andrea Purgatori e Citto Maselli, propone un viaggio attorno al mondo, e alle infinite possibilità di guardarlo, ribadendo la struttura già messa a punto negli ultimi anni.
  • Festival

    Venezia 2023 – Presentazione

    Venezia 2023, ottantesima edizione della Mostra e penultima sotto l'egida di Alberto Barbera, si era inaugurata con la defezione di Challengers di Luca Guadagnino, scelto come film d'apertura. La Mostra ha avuto però la forza di trattenere gli altri film hollywoodiani selezionati, e guarda ancora a occidente.
  • Interviste

    Documentaristi siciliani

    Intervista a Edoardo Morabito, vincitore con I fantasmi di San Berillo di Italiana.doc al Festival di Torino. Con lui abbiamo parlato della nascita di un network di autori del cinema documentario in Sicilia.
  • Torino 2013

    I fantasmi di San Berillo

    di Esordio alla regia per Edoardo Morabito con un film che rintraccia il ventre profondo e popolare di Catania. In Italiana.doc.